tag:blogger.com,1999:blog-5194900508586860222024-03-13T10:08:50.505-07:00Israel day by daymanuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.comBlogger226125tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-55439939119904238462014-07-06T06:26:00.002-07:002014-07-06T06:26:35.039-07:00finalmente- pare- hanno preso i responsabili dell'uccisione del giovane palestinese.
era ora! manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-75777873406284702552014-01-11T09:34:00.001-08:002014-01-11T09:34:24.942-08:00Oggi è morto Arik Sharon, ma in realtà era già morto otto anni fa, quando entrò in coma dopo un ictus , e oggi è solo spirato, dopo una settimana di agonia .
Arik era prima di tutto un soldato, un condottiero nella guerra di Kippur nel Sinai e il responsabile di Sabra e Shatila in Libano.
Un uomo coraggioso e un leader coraggioso, non aveva paura di nulla e di nessuno , neanche della morte , e gli ci son voluti otto anni e una settimana perché si arrendesse all’inevitabile . Il cuore, fortissimo, non cedeva.
Uomo di destra e odiato dalla sinistra, è morto odiato dalla destra e moderatamente rivalutato dalla sinistra per avere smantellato negli ultimi mesi della sua vita, le colonie della Striscia di Gaza .
Sapeva essere freddo , crudele e vendicativo , ma sapeva anche essere affettuoso e fedele e carismatico, era diretto ma anche molto manipolativo, sapeva essere durissimo ma anche affettuoso.
Era un politico di altri tempi, di un altro secolo, e non lasciava nessuno indifferente, mai.
manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-18130621063568157112012-11-19T01:41:00.003-08:002012-11-19T01:41:55.168-08:00attesaaltra giornata di attesa.
attesa di cosa?
è come se fossimo tutti ad attendere che succeda qualcosa.
tregua? cessate il fuoco?
missile ?
ogni rumore ti innervosisce.
me ne sto in casa a scrivere ( sto scrivendo un giallo) l'aria è bella tiepida . si starebbe così bene. i carri armati continuano a scendere verso sud. sabato li ho visti, erano tutti infangati. e se me ne andassi al mare?
ci vado.
manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-82749363764938695722012-11-17T12:13:00.001-08:002012-11-17T12:13:53.795-08:00Il leader di Hamas, Jabari, ucciso mentre si discuteva una tregua a lungo termine di Nir Hasson - 17/11/2012 Ore prima di essere ucciso, l’uomo forte di Hamas, Ahmed Jabari, aveva ricevuto la bozza di un accordo di tregua permanente con Israele, che comprendeva meccanismi per mantenere il cessate il fuoco nel caso di scontri tra Israele e le fazioni della Striscia di Gaza. La notizia viene dall’attivista pacifista israeliano Gershon Baskin, che ha contribuito ha mediare tra Israele e Hamas nelle trattative per il rilascio di Gilad Shalit e da allora ha mantenuto un rapporto con dirigenti di Hamas.
Baskin ha dichiarato giovedì ad Haaretz che alti dirigenti israeliani erano al corrente dei suoi contatti con Hamas e i servizi segreti egiziani, mirati a formulare una tregua permanente ma che, ciò nonostante, essi hanno approvato l’assassinio.
“Penso che abbiano commesso un errore strategico,” ha affermato Baskin, un errore “che costerà la vita di un grande numero di innocenti di entrambe le parti.”
“Questo sangue avrebbe potuto essere risparmiato. Quelli che hanno preso la decisione devono essere giudicati dagli elettori, ma, con mio rammarico, otterranno più voti proprio per questo,” ha aggiunto.
Baskin aveva fatto la conoscenza di Jabari quando aveva operato come mediatori tra David Meidin, il rappresentante israeliano nei negoziati per Shalit, e Jabari. “Jabari era l’onnipotente in carica. Riceveva sempre i messaggi tramite un terzo, Razi Hamad di Hamas, che lo chiamava Mister J.”.
Baskin aveva inviato messaggi quotidiani per mesi prima della formulazione dell’accordo. Aveva mantenuto aperto il canale di comunicazione con Gaza anche dopo il completamento dell’accordo su Shalit.
Secondo Baskin, negli ultimi due anni Jabari aveva interiorizzato la consapevolezza che le tornate di ostilità con Israele non erano di beneficio né ad Hamas né agli abitanti della Striscia di Gaza e causavano soltanto sofferenze, e aveva agito molte volte per evitare di lanci di Hamas contro Israele.
Ha affermato che anche quando Hamas era stato forzato a partecipare al lancio di razzi, i suoi razzi finivano sempre in spazi israeliani aperti. “E ciò era voluto,” ha chiarito Baskin.
Nei mesi recenti Baskin è stato continuamente in contatto con dirigenti di Hamas e anche con i servizi segreti egiziani, nonché con dirigenti di Israele, i cui nomi rifiuta di divulgare. Alcuni mesi fa Baskin ha mostrato al ministro della difesa, Ehud Barak, una bozza dell’accordo e sulla base di tale bozza è stato creato un comitato interministeriale sul problema. L’accordo doveva essere la base per una tregua permanente tra Israele e Hamas, che avrebbe prevenuto le ripetute tornate di scontri.
“In Israele,” Baskin ha detto, “hanno deciso di non decidere e nei mesi recenti ho preso l’iniziativa di sollecitare di nuovo.” Nelle settimane recenti egli ha rinnovato il contatto con Hamas e con l’Egitto e proprio questa settimana era in Egitto a incontrare personaggi di vertice del sistema dei servizi segreti e con un rappresentante di Hamas. Egli afferma di essersi formato l’impressione che la pressione esercitata dagli egiziani sui palestinesi perché smettano gli attacchi sia stata seria e sincera.
“Era destinato a morire; non un angelo né un giusto uomo di pace,” ha detto Baskin di Jabari e dei suoi sentimenti dopo l’uccisione, “ma il suo assassinio ha ucciso anche la possibilità di ottenere una tregua e anche la capacità di operare dei mediatori egiziani. Dopo l’assassinio ho parlato, arrabbiato, con quelli di Israele e loro mi hanno detto: “Ti abbiamo sentito e stiamo chiamandoti per chiedere se hai sentito qualcosa dagli egiziani o da Gaza.”
Dopo l’assassinio Baskin ha avuto contatti con gli egiziani ma non con i palestinesi. Secondo lui, gli egiziani sono molto razionali. Hanno detto che è necessario lasciare che si asciughi il sangue fresco. “La gente dei servizi segreti egiziani sta facendo quel che sta facendo con il permesso e l’autorizzazione del regime e apparentemente è gente che crede molto in questo lavoro,” afferma.
“Io, fondamentalmente, sono triste. E’ una cosa triste per me. Sto assistendo all’uccisione di persone ed è questo a rendermi triste. Mi dico che con ogni persona che è uccisa stiamo procreando la prossima generazione di odiatori e terroristi,” aggiunge Baskin.
manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-6742125581631161702012-11-17T10:07:00.001-08:002012-11-17T10:07:50.025-08:00e rieccomi al blog.
Siamo a quattro giorni di " guerra" perchè non di vera e propria guerra si tratta....non saprei che nome dare a questa strana situazione. mi sembra una guerra finta da cui nessuna delle parti guadagnerà qualcosa, neanche il minimo guadagno. ( i morti veri invece ci sono , a Gaza e Kiriat Malachi ,e loro di certo hanno già perso al 100%)
e naturalmente non è per niente finta per chi a Beer Sheva, Nahal Oz o Ashdod ( quest'ultima è praticamente qui dietro l'angolo da Tel Aviv ) passa giornate intiere in rifugio. e un pò neanche per me.
Ma non ho paura. Questione di età , penso. E poi non ho bambini piccoli di cui preoccuparmi.
Durante la guerra del golfo, vent'anni fa, tutti gli altri membri della famiglia ( due figli e un marito) erano stati arruolati, ed ero sola con Joni.
Cmq non ho rifugio, non ho una stanza, dico una, che non abbia finestre, quindi anche se avessi paura neanche volendo non saprei dove rifugiarmi
Oggi, due giorni dopo gli allarmi e i missili su tel aviv - che per fortuna sono tutti finiti in mare vicino a Jaffa - Tel Aviv sembra normale: il teatro dietro casa mia funziona normalmente , le strade sono quasi normalmente affollate, in spiaggia stamattina malgrado il cielo grigio c'era anche un bel gruppo di italiani Ma normale non è. Come suona l'allarme , la sorpresa ti prende allo stomaco. è un riflesso normale, immagino.
e i politici?
i politici sono gli unici che se la stanno godendosela alla grande passando da una intervista alla radio a una alla televisione , e in più alla vigilia delle elezioni , una vera pacchia, tutto tempo televisivo regalato.
oggi il generale Russo ( bellissimo uomo tra l'altro...) ha detto che questa guerra finta potrebbe continuare ancora settimane.
Io credo di no.
manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-47160130895894596922012-06-03T01:45:00.000-07:002012-06-03T01:45:06.327-07:00madonna in israeleLo dico io non lo dico?
Lo dico . Non li reggo più questi mega star . No, non la reggo , Madonna.
Per una settimana, qui a Tel Aviv , la bionda rock star è stata praticamente la mia vicina di casa e sabato scorso sono persino inceppata sui suoi figli al mare, nella spiaggia di Frishman. Uno biondo, due neri . Si dà il caso, infatti, che la sua vita a Tel Aviv si svolga tutta dietro casa mia tra il centro della Kabalà (in cui l'ho vista entrare , senza sapere che era lei , dopo che i paparazzi, sfiniti, se n'erano ormai andati , a mezzanotte) e l'Hotel Dan di fronte al mare. Ma è stata qui a modo suo: Madonna e i rock star del suo genere, moderni dei, vivono in un mondo parallelo. Un mondo in cui all'interno dello stadio del concerto vengono costruite 34 stanze apposta per loro (compresa una stanza per la sarta personale e la massaggiatrice personale e l'estetista personale e la lavanderia personale e una nursery di 100 metri con ingresso solo dalla stanza della star). Un mondo in cui il contatto con la realtà quotidiana è sempre più flebile, fino a quasi sparire.
Ha detto di credere nella pace, così , in generale. Sacerdotessa della religione in cui lei è la Madonna ha affermato che i suoi fans , in quanto tali, non possono non credere nella pace, così in generale .E ha invitato al concerto tutte , o quasi tutte le ong israelo-palestinesi per la pace. Alcuni non hanno accettato l'invito (ricordando alla regina del pop che in tutte le sue visite in Israele non si era mai e poi mai interessata di pace), quelli che hanno deciso di accettare si sono trovati , seduti nei peggiori posti in assoluto dello stadio, tra 33000 fans urlanti ( una trentina di fans si son persino sentiti male) a godere lo spettacolo dell'ingresso della dea , tra ballerini vestiti da frati, suono di campane, oscure preghiere in ebraico e lei che esce da una croce.
E lo spettacolo è stato naturalmente curato e bello e entusiasmante e straordinario e del tutto vuoto e inutile, e per un attimo questo paese si è sentito come un paese normale , in cui succedono cose normali come l'inizio di un tour internazionale di una star internazionale.
Adesso è partita.
Mi ha scritto un fan di madonna , mio lettore, chiedendomi se ero ad Abu Dhabi.
No , gli ho risposto, sono a Tel Aviv.
E Madonna? Mi ha chiesto.
È come se qui non ci fosse mai stata, ho risposto.manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-42951068300850306472012-04-20T08:29:00.000-07:002012-04-20T08:35:01.450-07:00una lettera che ho ricevuto ieri, tradotta liberamente e un pò accorciataScrivo queste righe dopo quattordici anni in cui sono stato zitto.... cercherò di mettere sulla carta i miei pensieri e i miei sentimenti a proposito dell'incidente avvenuto il 26 febbraio 1998.
Il mio nome è G. L. e suo figlio Yoni è stato il mio amatissimo comandante durante il servizio militare all'avamposto Karkom in Libano.
Ogni anno per il Giorno della Memoria in Israele penso a suo figlio..
Ogni anno mi sono detto che dovevo venire a incontrarmi con voi durante il Memorial Day.
Perchè devo la mia vita a suo figlio .
Vede, è stato lui che mi ha bloccato e non mi ha permesso di salire per primo alla piattaforma di osservazione come gli avevo chiesto, lui che mi ha impedito di essere in una posizione che mi avrebbe ucciso. Lui che è morto al mio posto quel maledetto giorno -.
Sono l'ultima persona che lo ha visto prima della sua morte, il primo a soccorerlo dal ponte di osservazione insieme ad altri combattenti feriti e uccisi.(...)
Poi, al funerale mi hanno permesso di venire. Sono rimasto all'avamposto.
Alcuni giorni dopo, durante i sette giorni di lutto , sono venuto a trovarvi ma certo non vi ricordate di me.
(...) Yoni era un comandante straordinario ,sempre sorridente , allegro, un ragazzo che dava tutto di se ai suoi soldati e ai suoi amici . Sarà sempre ricordato come un ragazzo straordinario, pieno di amore e di valori umani, da lui ho imparato molto e solo grazie a lui sono vivo oggi.
vi auguro fortuna, salute e longevitàmanuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-12267410428460366432012-03-23T07:00:00.003-07:002012-03-23T07:10:29.512-07:00incidente....<a href="http://3.bp.blogspot.com/-srtkKYHd9fw/T2yD7oIq6uI/AAAAAAAADV0/2GHdecniNUs/s1600/gali%2Bin%2Bmaschera.jpg"><img style="cursor:pointer; cursor:hand;width: 200px; height: 150px;" src="http://3.bp.blogspot.com/-srtkKYHd9fw/T2yD7oIq6uI/AAAAAAAADV0/2GHdecniNUs/s200/gali%2Bin%2Bmaschera.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5723094286890363618" /></a><br /><a href="http://1.bp.blogspot.com/-TvdQ5nJbv10/T2yCItt0nEI/AAAAAAAADVo/o3K5Ux6zog4/s1600/macchina.jpg"><img style="cursor:pointer; cursor:hand;width: 150px; height: 200px;" src="http://1.bp.blogspot.com/-TvdQ5nJbv10/T2yCItt0nEI/AAAAAAAADVo/o3K5Ux6zog4/s200/macchina.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5723092312703409218" /></a><br />questa è la macchina dell'investitore di mia nipote gali subito dopo l'incidente.<br />è ancora piena di dolori ma sta cominciando a muoversi....e a ricevere le amiche che vengono a trovarla...<br />eccola qui. gali è quella di sinistramanuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-43471700546990098372012-03-04T23:54:00.002-08:002012-03-04T23:56:34.190-08:00rieccomi a tel aviv!.. e fa quasi più freddo che in italia.<br />certo più che a scicli.<br />pubblico un'intervista a daniele giannetti che ha appena pubblicato un libro sui campanari di virgoletta<br />ll mARTEdì: <br />Daniele Giannetti<br /> <br />Margherita Portelli<br /><br />Farsi affascinare da un suono, e restituirlo in immagine. Innamorarsi di una tradizione che sopravvive e pensare che sia doveroso documentarla. Fare reportage a una manciata di metri da casa, per dimostrare che il consueto, spesso, è di una bellezza che in nostri occhi si sono disabituati a scorgere. È un osservatore, Daniele Giannetti, e non si offenderà se diciamo che guardare gli riesce forse ancora meglio che scattare. Le foto del 27enne nativo di Fornoli - una pugno d’anime in Lunigiana - e trapiantato a Parma per motivi di studio (Biologia), saranno in esposizione dal 1° al 23 marzo negli spazi dell’Informagiovani di via Melloni, nella mostra «Virgoletta, il borgo dei campanari». Lo abbiamo incontrato.<br /><br />Di che si tratta?<br />Virgoletta è un paesino della Lunigiana, uno dei borghi più belli della zona, in cui sopravvive la tradizione di suonare le campane a corda manualmente. Cinque anziani signori, che suonano le campane come veri e propri strumenti, con un repertorio che spazia da Vecchio scarpone a la Piemontesina bella, ma che non hanno idea di come si scriva la musica o di che cosa sia una nota. Cinque tasti, cinque campane, cinque note e, dunque, cinque campanari! Niente alta tecnologia, niente elettronica, ma solo meccanica. Mi sono fatto affascinare da questa tradizione, ho pensato che sarebbe stato il caso di documentarla, perché potesse sopravvivere nella memoria, e così sono andato là, con la mia macchina fotografica, domenica dopo domenica, a scattare foto.<br /><br />Da lì è nata la mostra?<br />In realtà dietro la mostra c’è il progetto editoriale. Da qui a breve uscirà infatti un libro di fotografie dal titolo «Virgoletta, il borgo dei campanari», edito da Giacchè. Una gran bella soddisfazione per me, la concretizzazione di un progetto partito un po’ per caso, ma al quale mi sono subito appassionato.<br /><br />Anche la musica è una tua passione?<br />In effetti oltre a studiare Biologia all’università frequento il conservatorio: suono il clarinetto.<br /><br />Che tipo di fotografia prediligi?<br />Io in realtà sono un fotografo naturalista. Amo scattare foglie, insetti, fiori. Stare nella natura e “cacciare” quei particolari bellissimi che ci offre. Si chiama macrofotografia.<br /><br />Da quanto tempo scatti?<br />Praticamente da sempre, iniziai da bambino con le macchine a pellicola perché mio papà era un appassionato. Poi con il tempo sono passato al digitale; ma non amo modificare le foto. La postproduzione deve limitarsi all’essenziale.<br /><br />Ma il fotografo di professione, ti piacerebbe farlo?<br />Non nascondo che mi affascina pensare di poter fare della fotografia il mio mestiere, ma non sono sicuro che lo sceglierei come lavoro. E’ un universo sempre più precario, che riserva sempre meno attenzione ai grandi reportage. Purtroppo si dà meno considerazione all’immagine, e l’approccio è troppo sbrigativo.<br /><br />Il volume con le foto di Daniele Giannetti: «Virgoletta, il borgo dei campanari» (Edizioni Giacché, 2012), sarà nelle librerie da aprile e in vendita a Parma presso "la Bancarella" di Strada Garibaldi.manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-55358135318579279602012-02-13T23:22:00.000-08:002012-02-13T23:23:36.858-08:00africani in medioriente.Sepolti nel deserto del Sinai<br />Da Nigrizia di febbraio 2012: storia di migranti mercificati<br /><br /><br />Silvia Boarini da Tel Aviv<br />Molti sono eritrei, ma arrivano anche da altri paesi dell’Africa subsahariana. Cercano di raggiungere Israele, lasciandosi alle spalle oppressione e miseria. Spesso diventano prede di trafficanti di esseri umani e di organi. E la comunità internazionale? <br />Mary è stupita di sentire ancora il respiro del figlio tra le sue braccia. Era sicura fosse morto, ucciso da una delle pallottole sparate dalle forze egiziane contro i migranti che tentano di raggiungere Israele. Ricorda che gridava: «Abbiamo bisogno di aiuto», e non credeva alle parole del soldato israeliano di fronte a lei che diceva: «Ora sei al sicuro». Era davvero al di là del filo spinato. L’incubo del Sinai finalmente alle sue spalle.<br />Nei 15 mesi che aveva trascorso nelle mani di Muhammad, uno dei contrabbandieri beduini che controllano il traffico di migranti nel Sinai, aveva subito pestaggi, era stata stuprata e aveva visto suo figlio, di 2 anni, picchiato e tenuto semisepolto nella sabbia. «È dura nel Sinai», dice con lo sguardo nel vuoto. Cerca parole più forti, ma non riesce. «Ti legano braccia e gambe – spiega incrociando mani e piedi – e ti picchiano ogni giorno, perché vogliono soldi».<br />Mary, 27 anni, nigeriana, è in Israele da poco più di un anno. Nella serata tiepida di Tel Aviv, siede su un muretto vicino al rifugio dell’organizzazione non governativa African Refugee Development Centre (Ardc), diventata la sua casa, dopo i cinque mesi trascorsi nel centro di detenzione israeliano di Saharonim.<br />Il rifugio si trova nel quartiere di Shapira che, assieme al vicino Neve Sha’anan, è la casa di migliaia di africani. Mary saluta le donne che passano in strada. Dice: «Ci conosciamo tutti qui. Abbiamo avuto esperienze simili. Ho anche ritrovato persone che erano passate per le mani di Muhammad. Erano sorpresi di vedere me e mio figlio vivi».<br />Dice che suo figlio ancora pensa che Muhammad possa tornare a picchiarlo in qualsiasi momento: «Non c’è stata notte in cui io e Valentine non abbiamo pianto, o giorno in cui non siamo stati picchiati per quei soldi. Appendevano mio figlio per il collo, perché mi decidessi a chiamare qualcuno, ma non avevo nessuno da poter chiamare».<br />Quindici mesi di torture, di botte e stupri non bastarono a convincere Muhammad che Mary era sola al mondo. «Fu il padre di lui a liberarmi. Pagò il mio riscatto, dando un cammello al figlio». Continua: «Ho visto gente venire uccisa perché non poteva pagare. Spesso mi domando: ma davvero è successo tutto questo e siamo ancora vivi? Non c’è che ringraziare Dio».<br />Nella tragedia, Mary ha avuto fortuna. In un servizio mandato in onda in novembre, l’americana Cnn ha documentato il traffico illecito di organi collegato al Sinai. Migranti che non riescono a pagare vengono operati in cliniche mobili e poi abbandonati a morire nel deserto, mentre gli organi espiantati vanno a salvare qualche ricco paziente negli ospedali del Cairo.<br />Nella clinica gestita da Physicians for Human Rights-Israel (Phr-I), a Jaffa, suor Aziza Kidané, missionaria comboniana, sente spesso storie di violenze simili a quelle subite da Mary. In un anno e mezzo, alla Phr-I sono state raccolte 819 testimonianze di clandestini entrati dal Sinai. Fame, sete, torture e morte caratterizzano la traversata. Tra gennaio e novembre 2011 le stime del ministero degli interni israeliano parlano di 13.683 “infiltrati” (così sono definiti coloro che entrano illegalmente in Israele).<br /> <br /> <br />Venduti e rivenduti<br />Suor Aziza spiega che, fino a un anno e mezzo fa, non si sapeva niente del Sinai. In clinica arrivavano feriti, depressi, donne che chiedevano di abortire, ma non si sapeva cosa avessero passato e, soprattutto, non si capiva la sistematicità delle violenze subite. Sono state le interviste ai nuovi arrivati nella clinica di Phr-I a portare alla luce l’incubo che è diventato il deserto egiziano.<br />«Abbiamo scoperto il traffico di esseri umani, le torture e la grande sofferenza. È stato un forte shock per tutti. Siamo stati noi i primi a lanciare l’allarme. Poi, anche il Papa ne ha parlato».<br />In una stanzetta anonima, suor Aziza e una volontaria accolgono una ventenne eritrea che arriva con il fidanzato. Lui le aveva mandato i 3mila dollari necessari per la traversata, nella speranza di potersi riunire in Israele. Il viaggio cominciò con una guida, che la fece uscire illegalmente dall’Eritrea; poi, una volta in Sudan, la violentò. La ragazza è finalmente arrivata in Israele, ma si ritrova in una clinica per immigrati e chiede di abortire. Suor Aziza, con una punta di speranza: «Il fidanzato ha accettato la situazione e le rimane accanto».<br />Mentre il traffico di esseri umani rimane impunito e produce guadagni da capogiro, la violenza cresce. Ancora suor Aziza: «Chi arriva in clinica è a pezzi psicologicamente e fisicamente. Arrivano tutti con un sogno. Israele è il paese di Gesù e della Bibbia. Una volta qui, però, si ritrovano a dormire nel Levinsky Park». È lì, nel degradato quartiere di Neve Sha’anan, che gli immigrati gravitano. Il parco è vicino alla stazione degli autobus di Tel Aviv, dove gli immigrati vengono spediti dai centri di detenzione con un biglietto di sola andata. Se non portano le ferite di un viaggio andato male, al mattino si radunano sul ciglio della strada, sperando di essere scelti per una giornata di lavoro mal pagato.<br />Aggiunge la comboniana: «Alcuni sono stati venduti e rivenduti per 35- 40mila dollari. Ora si trovano sulle spalle il peso di dover ripagare il debito alle loro famiglie. Ma non c’è lavoro e non c’è integrazione. Perciò soffrono molto. Si trovano sperduti».<br />Shahar Shoham, portavoce di Phr-I, è convinta che si possa fare di più a livello internazionale. Assieme ad altre ong, tra le quali le italiane Agenzia Habeisha, di padre Mussie Zerai, ed EveryOne Group, Phr-I ha denunciato la situazione nel Sinai, ha fatto i nomi dei criminali coinvolti e specificato i luoghi in cui i clandestini sono tenuti in ostaggio, torturati o usati come schiavi dai trafficanti. Dice Shoham: «Sappiamo dove sono i campi di tortura e abbiamo passato le informazioni alle autorità competenti. Ci vuole un’azione della comunità internazionale per fermare questo traffico di esseri umani. Bisogna arrestare i colpevoli, smantellare i campi e curare le vittime. E si può fare ora».<br />Al consolato egiziano di Tel Aviv, un ufficiale la pensa diversamente e punta il dito contro gli stessi irregolari, i quali, pur sapendo di rischiare la vita, dice, «continuano a fidarsi di noti criminali e a pagare loro alte cifre per intraprendere un viaggio illegale». Che il Sinai sia fuori controllo, afferma l’ufficiale, è un’accusa insensata. Gli accordi di pace del 1979 con Israele prevedono che rimanga demilitarizzato. Ma dopo i recenti attacchi al gasdotto di Al-Arish – che raggiunge anche lo stato ebraico – e a Eilat, lo scorso agosto, Israele ha dato il nulla osta a un aumento delle truppe egiziane. I trafficanti beduini, però, sono armati e non si sottomettono al controllo di uno stato che a malapena li considera.<br />Nel dicembre 2010, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Acnur) fece pressione sul governo egiziano perché liberasse circa 250 migranti e profughi detenuti nel Sinai. L’Egitto assicurò che si stava muovendo per localizzare e liberare gli ostaggi. A oggi, però, nulla è cambiato. Le ong parlano di altre centinaia di africani detenuti in container sepolti nel deserto del Sinai. La situazione, secondo Nic Shlagman, portavoce dell’Ardc, è peggiorata: «Si è innescato un tale giro di affari che si è arrivati al punto in cui persone che non vogliono nemmeno emigrare vengono rapite dai campi profughi, portate nel Sinai e mandate in Israele dietro pagamento del riscatto».<br />Nemmeno da Israele arrivano proposte per sconfiggere una rete criminale con tentacoli che giungono fino a Tel Aviv. L’ufficio stampa del ministero degli interni fa sapere che le informazioni ricevute dalle ong sono state passate alla polizia. Ma niente si è mosso.<br />C’è solo da augurarsi che Egitto, Israele e la comunità internazionale non vogliano ignorare questa situazione.<br /> <br /> <br />240 km di muro<br />Grazie al dubbio titolo di “unica democrazia” del Medio Oriente, Israele rimane, comunque, l’unico paese della regione in grado di garantire protezione a chi, purché non arabo, cerchi un futuro sicuro. Come ogni paese di frontiera nelle rotte globali della migrazione, fatica a far fronte alla situazione. All’inizio del 2012, Israele ha approvato una legge che inasprisce le misure contro i migranti irregolari. Per evitare infiltrazioni – come si legge nel testo – la nuova normativa consente la detenzione fino a tre anni, senza processo, di chi attraversa il confine privo permesso, senza distinzione neanche per i minori. Non solo: chiunque aiuti i migranti, anche se operatore umanitario, può essere condannato fino a 15 anni di carcere. «Lo scopo della legge è impedire che i migranti, rifugiati compresi, entrino in Israele, ignorando la Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato, ratificata anche da Tel Aviv nel 1952», ha dichiarato l’Associazione per i diritti civili (Acri). Il governo, in dicembre, ha varato un piano da 167 milioni di dollari per arginare il flusso dei migranti, che prevede, oltre all’estensione della durata della detenzione, anche la realizzazione di un muro lungo i 240 km che dividono l’Egitto da Israele, multe per i datori di lavoro che assumono in nero gli irregolari e l’elaborazione di una strategia per il rimpatrio dei migranti.<br />Erano stati proprio gli accordi Libia- Italia del 2009, rinnovati di recente dal governo Monti, a innalzare, a suo tempo, un invisibile muro sulle coste della Libia e a contribuire all’impennata migratoria verso Israele. Tra il 2010 e il 2011, infatti, dal Sinai sono entrati circa 28mila illegali, più del doppio di quanti ne erano entrati tra il 2005 e il 2009. Si parla di cristiani e musulmani, che qui minacciano non solo l’economia, ma anche il carattere ebraico dello stato.<br />Seduto in un bar eritreo vicino al Levinsky Park, Hailé Mengisteab, trentaquattrenne presidente del Comitato della comunità eritrea in Israele, è convinto che non ci sia muro che possa bloccare la determinazione di chi vuole una vita migliore. Lui stesso, dopo vari tentativi di raggiungere l’Italia dalla Libia, non ha rinunciato, ma ha solo cambiato destinazione.<br />Mentre il nord del mondo s’illude che, chiudendosi a riccio, possa risolvere un problema globale e mentre Netanyahu si prepara a visitare l’Africa per discutere il rimpatrio di sudanesi ed eritrei (vedi box), gli unici a non perdere di vista il contesto e l’origine della loro situazione sono gli immigrati stessi.<br />Gli eritrei in Israele sono il 61% dei profughi. Raggruppati in varie organizzazioni, si adoperano sia a sensibilizzare la società israeliana alle difficoltà degli immigrati, sia a ottenere sostegno dalla comunità internazionale per far cadere la dittatura di Isaias Afwerki, che da 18 anni tiene le loro vite sotto completo controllo. Coscrizione obbligatoria che vede giovani trascorrere decenni nell’esercito, mancanza di libertà di stampa, incarcerazioni arbitrarie e persecuzione religiosa sono alcuni dei problemi a cui i profughi eritrei cercano di sfuggire. Afferma Mengisteab: «La classe politica che ci governa ci definisce traditori. I traditori sono loro: hanno perso qualsiasi legittimità». Assieme ad altre organizzazioni della diaspora eritrea nel mondo, il comitato lavora sodo per coronare le ambizioni democratiche degli eritrei.<br />Il legame con la propria terra rimane forte. Mengisteab sa di dar voce anche alle speranze dei suoi connazionali, quando dice di voler tornare al più presto in un’Eritrea libera: «Mi mancano la mia lingua, le mie montagne e le mie tradizioni». Sono ricordi e un’identità che non si possono ritrovare nella musica di sottofondo e nelle decorazioni colorate di un bar eritreo a Tel Aviv.<br />Box: Una città in Sud Sudan per gli africani d’Israel<br />Martedì 20 dicembre il presidente sud-sudanese Salva Kiir si è recato in visita dal presidente israeliano Shimon Peres, incontrando anche il primo ministro Benjamin Netanyahu. Un incontro che conferma gli ottimi rapporti che intercorrono tra il nuovo stato africano e Israele, tra i primi paesi a riconoscere l’indipendenza delle regioni meridionali del Sudan da Khartoum, in seguito al referendum del gennaio 2011, che ha dato il via libera alla secessione. È forse proprio in segno di riconoscenza per il tempestivo riconoscimento, che il presidente Kiir ha dedicato a Israele la prima visita ufficiale da quando è in carica. Del resto, l’Africa Orientale, a causa della sua continua conflittualità, è considerata da Gerusalemme una regione di estrema importanza per il commercio delle proprie armi. Anche se la visione di Israele va ben al di là dei soli aspetti economico-commerciali. Netanyahu, infatti, ha identificato in alcuni paesi della regione possibili alleati per contenere l’espansionismo arabo-islamico in Africa. In particolare Juba, Nairobi e Kampala sono riconosciute come le capitali strategiche con cui avere rapporti privilegiati. Non a caso, la visita di Kiir è stata preceduta di alcune settimane da quella del primo ministro kenyano Raila Odinga, al quale Netanyahu avrebbe promesso un impegno militare maggiore nella lotta contro i ribelli islamisti somali.<br />Gli incontri dei vertici istituzionali israeliani con Kiir includevano anche il rafforzamento della collaborazione nei campi dello sviluppo tecnologico, dell’industria, dello sviluppo idrico e delle nuove rotte del petrolio sudanese. Il Kenya ha in cantiere la costruzione di uno scalo petrolifero a Lamu, che dovrebbe essere utilizzato anche da Juba.<br />Nei colloqui si è parlato anche degli 8.000 immigrati che, negli ultimi anni, dal Sud Sudan sono entrati illegalmente in Israele. E che fanno parte di quella massa di immigrati africani – si parla di 40mila persone negli ultimi 6 anni – di cui Gerusalemme vorrebbe disfarsi. Per questo, come ha raccontato il quotidiano economico israeliano Calcalist, uno dei progetti discussi tra la delegazione israeliana e quella sud-sudanese è stata la costruzione in Sud Sudan di una nuova città dove facilitare il reinserimento sociale per decine di migliaia di migranti africani che vivono attualmente in terra israeliana. Secondo il giornale, Gerusalemme è pronta a partecipare alla costruzione di un campo di accoglienza immenso, «grande quasi come una città», dove raccogliere una parte dei 50mila migranti entrati illegalmente nello stato ebraico: 30mila di questi sono eritrei e 15 mila sudanesi. I dirigenti israeliani sarebbero anche disposti a pagare le loro spese di trasporto e una quota per ogni migrante, al quale verrebbero offerti corsi di specializzazione in vari settori (Giba).manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-8741503816638299302012-02-11T22:48:00.002-08:002012-02-11T22:58:32.458-08:00pauraquesto articolo è come se l'avessi scritto io dopo una notte insonne ....<br /> è tanto che non scrivo , ma quando si avvicina febbraio e l'anniversario di Joni ( il 23 saremo al cimitero, lui è morto il 26 febbraio e sono 14 anni) devo fare i conti, tutti gli anni, con i miei incubi . e allora è meglio che stia zitta-<br />ma Gideon Levy l'ha scritto per me: il governo degli eroi che fa paura agli israeliani.<br />eccolo<br /><br /> Le minacce di Teheran vanno prese sul serio. Ma attaccare l’Iran è una follia<br /><br /><br /><br />di Gideon Levy <br /><br />Tra le persone che leggono queste righe c’è chi non supererà l’inverno. Probabilmente alcuni di loro non moriranno di morte naturale. <br />Se diamo credito alle minacce di questi giorni, Israele attaccherà gli impianti del programma nucleare iraniano entro l’inizio della primavera. Se le parole si trasformeranno in fatti, centinaia – se non migliaia – di israeliani moriranno sotto i colpi della controffensiva missilistica di Teheran<br />Qualcuno sostiene che Israele vuole solo fare pressione sull’Iran. Ma le minacce di questo tipo tendono a sfuggire al controllo di chi le ha lanciate, e alla fine possono scatenare una guerra nonostante l’obiettivo iniziale fosse un altro. Teheran potrebbe scegliere di giocare d’anticipo e sferrare un disperato attacco a Israele. C’è anche chi sostiene che l’offensiva israeliana sarà un successo: i jet decollano, sganciano le bombe e distruggono gli impianti nucleari iraniani, <br />senza lasciare all’Iran l’opportunità di vendicarsi. <br /><br />Ma le cose potrebbero anche andare diversamente. In ogni caso dobbiamo ammetterlo: siamo in pericolo, Israele (forse) si prepara ad attaccare l’Iran. E allora <br />sì che dovremmo avere paura. <br /><br />Ma l’impressione è che la maggioranza degli israeliani non ha paura. Nessuno sta abbandonando il paese in preda al panico, nessuno sta accumulando scorte. La decisione viene lasciata a un piccolo gruppo di persone convinte che l’opinione pubblica, come sempre, si idi ciecamente di loro. Il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro della difesa Ehud Barak decideranno cosa bisogna fare, e noi israeliani li sosterremo silenziosamente. Non facciamo affidamento su di loro se si tratta di domare un incendio come quello che ha distrutto la foresta di Carmel o amministrare i loro uffici. Ma un attacco all’Iran? La vita e la morte (soprattutto la morte) su larga scala? In quel caso, ci ridiamo. È sempre andata così nelle guerre di Israele. Prima che venissero combattute, il popolo sosteneva <br />i suoi leader. Dopo invece, quando il sangue era stato versato in abbondanza e le conseguenze erano davanti agli occhi di tutti, ce la siamo presa con loro.<br /><br />Scelte discutibili. <br /><br />Tutte le guerre combattute da Israele dal 1973 sono cominciate a causa di scelte discutibili. Nessuna guerra era inevitabile e nessuna guerra ha portato benefici che non si potevano ottenere con altri mezzi. Sono state tutte guerre disastrose, anche se a soffrirne le conseguenze peggiori sono stati i nostri avversari. La più folle di tutte, la guerra in Libano nel 2006, è stata anche la più catastrofica. Vale la pena di ricordarlo quando parliamo di un attacco all’Iran, che evidentemente sarebbe ancora più folle. <br /><br />Sia nella guerra in Libano sia in quella nella Striscia di Gaza, Israele ha perso più di quanto abbia guadagnato. Ma se davvero scoppierà, la guerra con l’Iran ha <br />le potenzialità per diventare la più devastante di tutte. Possiamo anche credere alle rassicurazioni di Barak, ma le previsioni parlano comunque di centinaia di vittime tra i civili. <br /><br />Il programma nucleare iraniano è pericoloso, ma lo sono anche quelli del Pakistan e della Corea del Nord. Eppure il mondo ha imparato a conviverci. Un attacco israeliano potrebbe rendere l’Iran ancora più pericoloso. Sulle conseguenze dello scontro è stato detto di tutto. Nella migliore delle ipotesi il risultato sarebbe un rallentamento nel programma di Teheran per lo sviluppo di armi nucleari, ma potrebbe anche succedere il contrario, e i piani del governo iraniano potrebbero subire un’accelerazione. Inoltre le relazioni tra Israele e Stati Uniti peggiorerebbero inevitabilmente e le città israeliane potrebbero essere investite da una <br />pioggia di missili. La verità è che Israele deve fare di tutto per impedire a Teheran di dotarsi di un arsenale nucleare, e deve evitare di scatenare un’altra guerra inutile. <br /><br />La decisione, però, è nelle mani sbagliate. Non possiamo più dipendere dagli Stati Uniti per scongiurare la minaccia di una guerra, e non possiamo più dipendere dal governo israeliano per la sicurezza del nostro paese. Un governo che ignora l’opportunità di raggiungere un accordo con i palestinesi è un <br />governo pericoloso.<br /><br />È arrivato il tempo della paura. Non ci resta che ammetterlo e farlo capire anche agli altri. È passato molto tempo dall’ultima volta in cui Israele è stato governato da leader codardi, il genere di persone che per timore agisce in modo saggio e con prudenza. Per troppo tempo siamo stati governati da eroi, quelli che non ci pensano un attimo prima di trascinare il paese in un attacco militare pericoloso e insensato. E allora forse è arrivato il momento di fargli capire come stanno le cose: abbiamo p-a-u-r-a.manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-49896452943138789972012-01-03T08:12:00.000-08:002012-01-03T08:15:12.577-08:00intervista ad AdnkronosTel Aviv, 3 gen. (Adnkronos) - Gli ultraortodossi in Israele dovrebbero andare a lavorare, come succede a New York. Non è più possibile dare a tutti i loro uomini un sussidio per studiare nelle scuole rabbiniche. Solo così si potrebbe risolvere il crescente problema fra laici e ultrareligiosi che sta agitando la società israeliana, afferma la scrittrice Manuela Dviri Vitali Norsa, intervistata dall'Adnkronos. <br />Il problema dello scontro fra laici e ultraortodossi "c'è sempre stato", nota la Dviri, ma ora "è cresciuto" perchè in questi anni "non vi è stata data una risposta" e nel frattempo il numero degli ultrareligiosi è aumentato perchè nelle loro famiglie vi sono "da sette a dieci-undici figli". Gli haredim, letteralmente "i timorati", i più religiosi fra gli ortodossi, "non fanno il servizio militare, gli uomini studiano nelle scuole rabbiniche e spesso le famiglie vivono in condizioni di semi povertà grazie alle piccole borse di studio dello stato. In genere lavorano solo le donne, nelle loro scuole o nel mondo dell'Hi tech". <br />All'interno di questo mondo, spiega l'autrice israeliana, "ci sono delle frange veramente fanatiche", una sorta di "religiosità anarchica, di rifiuto dello Stato". "La prima soluzione -afferma- è togliere loro queste borse di studio in modo che debbano lavorare, che escano da questa bolla irreale. Ritornare nella realtà aiuterebbe anche loro a vivere in una maniera piu economicamente dignitosa". E, se non fanno il servizio militare, dovrebbero almeno fare quello civile come gli arabi israeliani o le donne religiose. Del resto, ricorda la Dviri, nella tradizione ebraica, "solo i migliori venivano destinati allo studio" non certo tutti. (segue) <br />(Civ/Col/Adnkronos <br />Israele: la scrittrice Dviri, ultraortodossi dovrebbero lavorare come gli altri (2) <br />(Adnkronos) - Essendo in crescita numerica gli ultraortodossi vengono sempre più difesi in parlamento, nota la scrittrice, "ma verrà il momento in cui tutto questo dovrà cambiare, perchè non è possibile che i laici reggano sulle loro spalle chi non lavora". <br />Il mondo degli ortodossi, avverte la Dviri, è comunque vasto e articolato. "Va fatta una distinzione fra ortodossi 'light' che vivono vite normali, solo osservando maggiormente le regole della religione e indossano la papalina fatta all'uncinetto, poi vi sono quelli con la papalina nera, un pò meno 'light', le cui donne hanno la testa coperta, e infine vi sono gli haredim, e al loro interno quelli ancora più religiosi fino ad arrivare ai fanatici che addirittura non riconoscono Israele".manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-4562662797602615282012-01-01T11:20:00.000-08:002012-01-01T11:22:04.305-08:00אליה אחמדיכמו חוט אריאדנה, (זה שעזר לתזאוס לצאת מהמבוך) היה עבורי הבלוג של אליה אלמחדי, הבלוגרית המצרית . http://arebelsdiary.blogspot.com<br />כמו סירנה מפתה, מהסיפור על אודיסאוס, הצעירה המצרית גרמה לי להיכנס לעולמה ולעולם חבריה, צעירים מהפכניים מצריים, שלאחרונה נעלמו כמעט כולם מהכיכרות, אחרי הניצחון של האחים המוסלמים ושל הסלפיטים בבחירות לפרלמנט המצרי. <br />בתמונה שהיא צילמה את עצמה, היא יפהפייה ; יש לה עיניים שחורות, היא עירומה, נועלת נעליים אדומות, לובשת גרבי בריות סקסיות, ורד אדום בשערה שדייה קטנות ומוצקות, ועיניה מביטות במיקס של תמימות וחוסר בושה אל תוך המצלמה. בתמונות אחרות, היא מכסה בעזרת מדבקה את העיניים, את הפה ואת אבר המין. היא נראית כמו סתם ילדה, אבל היא לא. <br />היא אמיצה. <br />כל יום אני חוזרת לדף הבלוג שלה כדי לראות אם היא עדיין שם, אם לא החשיכו אותה, אם היא לא נעלמה. בפייסבוק היא איננה כבר. ומה- 23 לאוקטובר היא שותקת. כל עוד היא עדיין קיימת אני מרגישה יותר רגועה. היא מגדירה את עצמה חילונית, ליברלית, פמיניסטית, אינדיבידואליסטית וצמחונית. היא בת עשרים, ומאז שפרסמה את תמונתה היא הפכה לסלבריטי. <br />"צילמתי את עצמי בבית הורי" אמרה אליה לCNN , והסבירה שהמדבקות מייצגות את הצנזורה על הידע שלנו, על הביטוי שלנו ועל המיניות שלנו. בעמוד שלה היא מוסיפה שהיא זועקת כנגד חברה של אלימות, של גזענות, של הטרדה מינית ושל צביעות. <br />מאות הודעות נענו לפרובוקציה שלה. במדינתה מצרים, יותר ויותר נשים מתכסות בחיג'אב וניקב ויחד עם זאת מספר מקרי האונס וההטרדה המינית עולים מדי יום. בחלק מההודעות מברכים את אליה על אומץ לבה, אבל רבים מאוד, ביניהם גם המהפכנים של כיכר תחריר, בזים לה ופוגעים בה. ההודעה האחרונה שאני קוראת היא של אישה שמאשימה אותה בכך שהיא יותר גרועה מבהמה. לדבריה, החופש אינו חופש להתפשט והאדם נולד עירום אבל צריך להתבייש במערומיו. אחרים מפקפקים באפשרות שיוזמתה תוכל באמת לעזור למצב האישה במצרים ובעולם הערבי כולו. <br />הקריאה של אליה חצתה במהירות את המרחק הגאוגרפי הזעיר שבין מצרים לישראל, מרחק שהוא כמעט בלתי עביר היום מבחינה פוליטית. אור טפלר, בחורה ישראלית בת עשרים ושמונה, החליטה להיענות לפרובוקציה. היא הוציאה קריאה בפייסבוק וגרמה לארבעים נשים ישראליות להיפגש ולהצטלם יחד ערומות, כדי להראות את התמיכה שלהן "בצורה לגיטימית ובלתי אלימה" לדבריהן. <br />"אנחנו עונות לה כי היא אישה כמונו, צעירה, אמביציוזית, ומלאת חלומות....וכדי לתת לעולם הזדמנות להתבונן ביופי המיוחד של הנשים הישראליות", הן אמרו. ולפניהן הציבו שלט, כתוב בערבית ובעברית, שאומר: "תמיכה באליה אחמדי - האחיות הישראליות". <br />למעשה גם לאחיות הישראליות יש מה לדאוג. <br />היופי שלהן, שהוא כל כך חופשי ופתוח בתל אביב, נעשה יותר ויותר נדיר ברחובות ירושלים, עיר שבה יש נשים יהודיות שבוחרות לנסוע באוטובוס נפרד, גברים מקדימה, נשים וילדים מאחור. עיר שבה פניהן של נשים נעלמות משלטי החוצות כדי לא לפגוע ברגישויות של הדתיים.<br />מלחמת התרבויות בין העולם הדתי, שטבעו פונדמנטליסטי וטוטאלי, לבין העולם החילוני, שטבעו מודרני וליברלי, כבר החלה והיא חוצה דתות ומדינות במזרח התיכון. האם יצליחו אור ואליה והחברות במזרח התיכון במשימתן? אני פסימית. <br />ובינתיים אני רצה לראות אם אליה עדיין שם. בתמונה שלה, בבלוג שלה. והיא עדיין שם, ולבלוג הגיעו תמונות, ציורים ובדיחות חדשות מנשים מכל העולם. <br />בקשר לאור, אני לא דואגת לה. בישראל, לעת עתה, הדמוקרטיה, אם כי בקושי, עדיין מחזיקה מעמד.manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-71638843938413241292011-12-29T22:29:00.000-08:002011-12-29T22:30:53.840-08:00che strano caso....questa notte Aliaa Elmahdi ha ricominciato a scrivere nel suo blog.<br />era da ottobre che era in silenzio.manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-75969610770027732512011-12-29T13:37:00.000-08:002011-12-29T13:40:53.883-08:00e in ebraico (תרגום לעברית לכתבה שנכתבה ופוסמה באיטלקית לעיתון GQ(כמו חוט אריאדנה, (זה שעזר לתזאוס לצאת מהמבוך) היה עבורי הבלוג של אליה אלמחדי, הבלוגרית המצרית. http://arebelsdiary.blogspot.com<br /> כמו סירנה מפתה מהסיפור על אודיסאוס, הצעירה המצרית גרמה לי להיכנס לעולמה ולעולם חבריה, צעירים מהפכניים מצריים שלאחרונה נעלמו כמעט כולם מהכיכרות אחרי הניצחון של האחים המוסלמים ושל הסלפיטים בבחירות לפרלמנט המצרי. <br />בתמונה שבה היא צילמה את עצמה היא יפהפיה : יש לה עיניים שחורות, היא עירומה, נועלת נעליים אדומות, לובשת גרבי בריות סקסיות, ורד אדום בשערה ושדיים קטנות ומוצקות מביטות במיקס של תמימות וחוסר בושה אל תוך מצלמה. בתמונות אחרות היא מכסה בעזרת מדבקה את העיניים, הפה ואת אבר המין. היא נראית כמו סתם ילדה אבל היא לא. היא אמיצה. <br />כל יום אני חוזרת לדף הבלוג שלה כדי לראות אם היא עדיין שם, אם לא החשיכו אותה, אם היא לא נעלמה. בפייסבוק היא איננה כבר. ומה- 23 לאוקטובר היא שותקת. כל עוד היא עדיין קיימת אני מרגישה יותר רגועה. היא מגדירה את עצמה חילונית, ליברלית, פמיניסטית, אינדיבידואליסטית וצמחונית. היא בת עשרים, ומאז שפרסמה את תמונתה היא הפכה לסלבריטי. <br />"צילמתי את עצמי בבית הורי" אמרה אליה לcnn והסבירה שהמדבקות מייצגות את הצנזורה על הידע שלנו, על הביטוי שלנו ועל המיניות שלנו. בעמוד שלה היא מוסיפה שהיא זועקת כנגד חברה של אלימות, של גזענות, של הטרדה מינית ושל צביעות. <br />מאות הודעות ענו לפרובוקציה שלה. במדינתה ,מצרים, יותר ויותר נשים מתכסות בחיג'אב וניקב ויחד עם זאת ומספר מקרי האונס וההטרדה המינית עולים מדי יום. בחלק מההודעות מברכים את אליה על אומץ לבה, אבל רבים מאוד, ביניהם גם המהפכנים של כיכר תחריר, בזים לה ופוגעים בה. ההודעה האחרונה שאני קוראת היא של אישה שמאשימה אותה בכך שהיא יותר גרועה מבהמה. לדבריה, החופש אינו חופש להתפשט והאדם נולד עירום אבל צריך להתבייש במערומים. אחרים מפקפקים באפשרות שיוזמתה תוכל באמת לעזור למצב האישה במצרים ובעולם הערבי כולו. <br />הקריאה של אליה חצתה במהירות את הקילומטרים המעטים שמפרידים בין מצרים לישראל, מרחק שהוא כמעט בלתי עביר היום מבחינה פוליטית. אור טפלר, בחורה ישראלית בת עשרים ושמונה, החליטה לענות לפרובוקציה. היא הוציאה קריאה בפייסבוק וגרמה לארבעים נשים ישראליות להיפגש ולהצטלם יחד ערומות, כדי להראות את התמיכה שלהן" בצורה לגיטימית ובלתי אלימה" . <br />"אנחנו עונות לה כי היא אישה כמונו, צעירה, אמביציוזית, ומלאת חלומות....וכדי לתת לעולם הזדמנות להתבונן ביופי המיוחד של הנשים הישראליות..." הן אמרו. ולפניהן הציבו שלט, בערבית ובעברית, שאומר "תמיכה באליה אחמדי - האחיות הישראליות". <br />למעשה גם לאחיות הישראליות יש מה לדאוג. <br />היופי שלהן ,כל כך חופשי ופתוח בתל אביב, בכל יום נעשה יותר ויותר נדיר ברחובות ירושלים, עיר שבה יש נשים יהודיות שבוחרות לנסוע באוטובוס נפרד, גברים מקדימה, נשים וילדים מאחורה. עיר שבה פנים של נשים נעלמות משלטי החוצות כדי לא לפגוע ברגישויות של הדתיים. <br /><br />מלחמת התרבויות בין העולם הדתי, מטבעו פונדמנטליסטי וטוטאלי ,לבין העולם המודרני מטבעו חילוני וליברלי, כבר החלה, והיא חוצה דתות ומדינות במזרח התיכון. <br />האם יצליחו אור ואליה והחברות המזרח תיכוניות במשימתן? אני פסימית. <br />ובינתיים אני רצה לראות אם אליה עדיין שם .בתמונה שלה, בבלוג שלה. והיא עדיין שם ולבלוג שלה הגיעו תמונות, ציורים בדיחות חדשות , מנשים מכל העולם. <br />בקשר לאור, אני לא דואגת לה. בישראל, לעת עתה, הדמוקרטיה, אם כי בקושי, עדיין מחזיקה מעמד.manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-66199873705687487512011-12-29T13:36:00.000-08:002011-12-29T13:37:13.108-08:00e lo stesso articolo , in araboe un pò accorciato....<br />قد يكون مستقبل الشرق الأوسط متوقف فقط عليها. منذ أشهر أقوم بزيارة مُدَوَّنة الجميلة علية الحمدي – المدوِّنة المصرية - تقريباً بشكلٍ يومي، كي أتأكد عما إذا كانت لا تزال هناك. ومن خلال مدونتها، استطعت – تماماً مثل أليكس في بلاد العجائب – أن أدخل عالم شباب ميدان التحرير.<br />منذ أكتوبر وهي صامتة، ولكنها لا تزال هناك، عارية في اعتراضها ضد الأصوليين؛ دفاعاً عن الحرية.<br />رداًّ على طلبها الصامت، أجاب الكثيرون، مثلما قام الكثيرون بِسَبِّها.<br />إحدى أكثر الإجابات إثارةً للجدل تلك التي أدلى بها 40 فتاة إسرائيلية قُمن بتصوير أنفسهن وهن عاريات، لخوض نفس المعركة، في بلد قريب من الناحية الجغرافية، ولكنه من الناحية المعاصرة بعيد كل البعد.<br />هل ستنتصر قتيات الشرق الأوسط في معركتهن ضد الأصوليين، دفاعاً عن الحرية والديمقراطية؟<br />أتمنى ذلك.<br />حتى هذه اللحظة، لا تزال الديمقراطية تقاوم في إسرائيل.manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-32012829063614077212011-12-29T09:45:00.000-08:002011-12-29T09:47:52.318-08:00dal sito di gq, un mio articolo, in arabo e in ebraicoCome un filo d'Arianna è stato per me il blog di Aliaa Elmahdi, la blogger egiziana http://arebelsdiary.blogspot.com<br />Come una sirena tentatrice la giovanissima mi ha fatto entrare nel suo mondo e in quello dei suoi compagni, dei giovani egiziani arrabbiati come Alaa Abdel Fattah e Mina Daniel, ormai tutti come spariti dalle piazze egiziane dopo la vittoria dei fratelli musulmani e dei salafiti nel primo e secondo turno di elezioni parlamentari. <br />Nella foto in cui si è auto-ritratta è bellissima: nuda, ballerine rosse, calze nere autoreggenti, una rosa rossa tra i capelli e due piccoli seni acerbi spudoratamente dritti come lo sguardo dei suoi occhi neri che guardano l'interlocutore in un mix di ingenuità e spudoratezza. In altre foto un adesivo le copre gli occhi, la bocca e il sesso. Sembra una ragazzina qualunque, ma non lo è.<br />È coraggiosa.<br />Ogni giorno torno alla pagina del suo blog per vedere se è ancora lì, se non l'hanno oscurata. Se non è sparita. Da facebook è sparita. Ed è dal 23 ottobre che tace. Ma finché esiste mi sento più tranquilla. Si definisce "laica, liberale, femminista, vegetariana, individualista". Ha vent'anni e, da quando ha postato la sua foto, è diventata una celebrità. "Ho scattato la foto io stessa nella casa dei miei genitori", ha rivelato Aliaa alla CNN. E spiega che gli adesivi gialli rappresentano "la censura sulla nostra conoscenza, la nostra espressione e la nostra sessualità". <br />Sulla sua pagina dice che il suo è "un grido contro la società della violenza, del razzismo, della molestia sessuale e dell'ipocrisia". Centinaia di messaggi commentano la sua provocazione, in un Egitto in cui si moltiplicano le donne coperte con il higiab o il niqab nonché gli stupri e le molestie sessuali.<br />Alcuni si congratulano con Aliaa per il suo coraggio, ma moltissimi, anche tra i compagni di piazza Tahrir, la insultano. L'ultimo commento che leggo è di una donna che l’accusa di essere peggio di un animale perché "la libertà non è spogliarsi, e l'uomo nasce nudo, ma deve vergognarsi di esserlo". Altri mettono in dubbio che la sua iniziativa possa davvero servire a migliorare la condizione della donna in Egitto e nel mondo arabo.<br />Il suo appello ha attraversato i pochi chilometri tra Egitto e Israele, uno spazio ormai insormontabile, e Or Tepler, israeliana, 28 anni, ha deciso di rispondere alla provocazione. Con un appello lanciato su facebook ha fatto incontrare 40 ragazze israeliane che hanno posato nude per una fotografia di gruppo, "a dimostrare il nostro sostegno in modo non violento e legittimo a una donna che è come noi, giovane, ambiziosa, piena di sogni... e per offrire al mondo l'occasione di ammirare la bellezza speciale delle donne israeliane". In primo piano hanno messo la scritta in arabo e in ebraico che dice “Sostegno ad Aliaa Elmahdi. Le sorelle israeliane”.<br />Anche le sorelle israeliane, del resto, hanno di che preoccuparsi da quando la loro bellezza, così libera e sfacciata a Tel Aviv, è sempre più rara da vedere nelle strade di Gerusalemme, dove ci sono donne ebree che scelgono di viaggiare in autobus segregati, uomini davanti, donne e bambini dietro, e dai cartelloni pubblicitari sono spariti i volti delle donne per non offendere la sensibilità dei religiosi. <br />Il conflitto di civiltà, tra il mondo religioso, per sua natura a volte fondamentalista e integralista, e quello moderno, per sua natura di solito laico liberale e progressista, è palesemente in atto. E poco importa quale sia la religione.<br />Ce la faranno le Or e le Aliaa e le loro compagne mediorientali?<br />Io sono pessimista.<br />E intanto vado a vedere se Aliaa è ancora lì. C'è ancora. E al blog si sono aggiunte foto, disegni, vignette, di simpatizzanti dal mondo intero. Quanto a Or, per il momento non c'è di che preoccuparsi. In Israele la democrazia, a fatica, ancora resiste.<br /><br />P.s. questo articolo verrà tradotto e con la sua uscita verrà anche pubblicato come post sul blog di Aliaa (in arabo), sul mio blog e sulla mia pagina di facebook (in arabo ed ebraico). E nel frattempo in Israele i laici, insieme a non pochi ortodossi "normali" , hanno deciso di scendere in piazza.<br />Migliaia hanno protestato contro il fanatismo religioso e per mantere il carattere liberale e democratico dello Stato. <br /><br />כמו חוט אריאדנה, (זה שעזר לתזאוס לצאת מהמבוך) היה עבורי הבלוג של אליה אלמחדי, הבלוגרית המצרית. http://arebelsdiary.blogspot.com<br /> כמו סירנה מפתה מהסיפור על אודיסאוס, הצעירה המצרית גרמה לי להיכנס לעולמה ולעולם חבריה, צעירים מהפכניים מצריים שלאחרונה נעלמו כמעט כולם מהכיכרות אחרי הניצחון של האחים המוסלמים ושל הסלפיטים בבחירות לפרלמנט המצרי. <br />בתמונה שבה היא צילמה את עצמה היא יפהפיה : יש לה עיניים שחורות, היא עירומה, נועלת נעליים אדומות, לובשת גרבי בריות סקסיות, ורד אדום בשערה ושדיים קטנות ומוצקות מביטות במיקס של תמימות וחוסר בושה אל תוך מצלמה. בתמונות אחרות היא מכסה בעזרת מדבקה את העיניים, הפה ואת אבר המין. היא נראית כמו סתם ילדה אבל היא לא. היא אמיצה. <br />כל יום אני חוזרת לדף הבלוג שלה כדי לראות אם היא עדיין שם, אם לא החשיכו אותה, אם היא לא נעלמה. בפייסבוק היא איננה כבר. ומה- 23 לאוקטובר היא שותקת. כל עוד היא עדיין קיימת אני מרגישה יותר רגועה. היא מגדירה את עצמה חילונית, ליברלית, פמיניסטית, אינדיבידואליסטית וצמחונית. היא בת עשרים, ומאז שפרסמה את תמונתה היא הפכה לסלבריטי. <br />"צילמתי את עצמי בבית הורי" אמרה אליה לcnn והסבירה שהמדבקות מייצגות את הצנזורה על הידע שלנו, על הביטוי שלנו ועל המיניות שלנו. בעמוד שלה היא מוסיפה שהיא זועקת כנגד חברה של אלימות, של גזענות, של הטרדה מינית ושל צביעות. <br />מאות הודעות ענו לפרובוקציה שלה. במדינתה ,מצרים, יותר ויותר נשים מתכסות בחיג'אב וניקב ויחד עם זאת ומספר מקרי האונס וההטרדה המינית עולים מדי יום. בחלק מההודעות מברכים את אליה על אומץ לבה, אבל רבים מאוד, ביניהם גם המהפכנים של כיכר תחריר, בזים לה ופוגעים בה. ההודעה האחרונה שאני קוראת היא של אישה שמאשימה אותה בכך שהיא יותר גרועה מבהמה. לדבריה, החופש אינו חופש להתפשט והאדם נולד עירום אבל צריך להתבייש במערומים. אחרים מפקפקים באפשרות שיוזמתה תוכל באמת לעזור למצב האישה במצרים ובעולם הערבי כולו. <br />הקריאה של אליה חצתה במהירות את הקילומטרים המעטים שמפרידים בין מצרים לישראל, מרחק שהוא כמעט בלתי עביר היום מבחינה פוליטית. אור טפלר, בחורה ישראלית בת עשרים ושמונה, החליטה לענות לפרובוקציה. היא הוציאה קריאה בפייסבוק וגרמה לארבעים נשים ישראליות להיפגש ולהצטלם יחד ערומות, כדי להראות את התמיכה שלהן" בצורה לגיטימית ובלתי אלימה" . <br />"אנחנו עונות לה כי היא אישה כמונו, צעירה, אמביציוזית, ומלאת חלומות....וכדי לתת לעולם הזדמנות להתבונן ביופי המיוחד של הנשים הישראליות..." הן אמרו. ולפניהן הציבו שלט, בערבית ובעברית, שאומר "תמיכה באליה אחמדי - האחיות הישראליות". <br />למעשה גם לאחיות הישראליות יש מה לדאוג. <br />היופי שלהן ,כל כך חופשי ופתוח בתל אביב, בכל יום נעשה יותר ויותר נדיר ברחובות ירושלים, עיר שבה יש נשים יהודיות שבוחרות לנסוע באוטובוס נפרד, גברים מקדימה, נשים וילדים מאחורה. עיר שבה פנים של נשים נעלמות משלטי החוצות כדי לא לפגוע ברגישויות של הדתיים. <br /><br />מלחמת התרבויות בין העולם הדתי, מטבעו פונדמנטליסטי וטוטאלי ,לבין העולם המודרני מטבעו חילוני וליברלי, כבר החלה, והיא חוצה דתות ומדינות במזרח התיכון. <br />האם יצליחו אור ואליה והחברות המזרח תיכוניות במשימתן? אני פסימית. <br />ובינתיים אני רצה לראות אם אליה עדיין שם .בתמונה שלה, בבלוג שלה. והיא עדיין שם ולבלוג שלה הגיעו תמונות, ציורים בדיחות חדשות , מנשים מכל העולם. <br />בקשר לאור, אני לא דואגת לה. בישראל, לעת עתה, הדמוקרטיה, אם כי בקושי, עדיין מחזיקה מעמד.manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-29756744640808944622011-12-28T10:42:00.000-08:002011-12-28T10:48:23.859-08:00donne e ultraortodossivisto che ormai qui non si parla-giustamente - d'altro, e visto che nell'autobus segretato c'ero andata anch'io, pubblico ora l'articolo che avevo scritto circa un mese fa (è uscito su vanity fair).<br /><br /><br />Se chiudo gli occhi e torno a quelle ore, rivedo il viso pallido della giovane donna e il suo sguardo, immobile, fisso su di me. Io che sorrido e mi muovo imbarazzata, lei che continua a fissarmi, impassibile, senza alcuna espressione, e senza batter ciglio.<br /><br />Mi ero vestita come loro, prima di uscire di casa per il mio primo viaggio nell'autobus "mehadrin", termine che letteralmente vuol dire "perfetto" e si usa per definire il super kosher, l'estremamente ligio alle regole della religione ebraica.<br />Nel caso dell'autobus, vuol dire anche volontariamente separato, segregato, donne e bambini dietro, uomini davanti, secondo una nuova e molto discussa "moda" degli "haredi", cioè degli ultra osservanti, degli zeloti, dei fautori di un'osservanza fanatica delle leggi della torah e della divisione dei sessi nei luoghi pubblici per mantenere intatta la purezza e la modestia delle donne.<br />Trasformata in una “haredi”, senza neppure una traccia di trucco, in gonna nera lunga fino al polpaccio, calze nere, scarpe chiuse, maglietta con le maniche lunghe e capelli coperti da un berretto, avevo persino provato, malgrado il caldo (35 gradi all'ombra), una strana e per nulla spiacevole, quasi esilarante sensazione di totale libertà, come fossi diventata trasparente. Come se avessi smesso di essere una donna e perso ogni desiderio di piacere a chichessia o di essere osservata. Come se avessi smesso per poche ore di essere me stessa.<br />"Vedo che ti sei travestita, ma lo capiranno comunque che non appartieni a quel mondo" ha commentato la mia amica Judith, la scrittrice Judith Rotem (il suo libro "Lo strappo" è pubblicato in Italia da Feltrinelli), quando le sono comparsa davanti così conciata; “lo capiranno dal modo in cui cammini, da come tieni la testa, muovi le mani, guardi in faccia la gente, ridi. Io, invece, senza fare alcuna fatica, passerò inosservata" ha affermato con sicurezza. “È un mondo in cui sono nata e cresciuta, un mondo che ho lasciato e dal quale, con grande gioia, ho portato via i miei sette figli". <br />Bney Berak, polverosa e caotica cittadina che ricorda uno shtetl polacco ed è appena alla periferia della scintillante, gaudente e super laica Tel Aviv, è stata la nostra prima fermata. <br />Salite dalla porta anteriore nell'autobus vuoto, abbiamo pagato e ci siamo diligentemente sedute nei sedili dietro. Erano le 11 e 30. L'autista, laico, ben camuffato anche lui con una gran papalina in testa, ci ha dato il resto senza alzare la testa e senza guardarci in faccia. <br />Judith ha tirato un sospiro di sollievo: andando a trovare suo figlio, l'unico rimasto “haredi” della sua famiglia, le è capitato di essere stata pesantemente insultata dai passeggeri maschi per essere salita dalla porta anteriore; dalla paura è scesa, è risalita dalla parte posteriore e si è fatta tutto il viagggio, terrorizzata, in un angolo, e senza biglietto. <br />Questa volta è andata meglio. Rilassata e comodamente seduta nella mia poltrona dell'autobus di linea che intraprendeva il lento cammino in salita nella direzione delle colline intorno alla cittadina (estremamente “haredi”) di Ramat Beit Shemesh, mi son guardata intorno .<br />Solo allora, e con mia grande sorpresa , ho notato che la stragrande maggioranza dei viaggiatori erano donne, tutte comodamente sedute, come noi, nei sedili posteriori.<br />"Dove sono finiti i maschi?" ho chiesto delusa a Judith, mentre un soldatino, appena salito, si guardava intorno sorpreso e imbarazzato e alla fine decideva di sedersi dalla parte "giusta", tra i quattro cinque uomini davanti. <br />"A quest'ora sono nella Yeshivà (la scuola rabbinica)" ha risposto, "tutti chiusi a studiare tra quattro mura più di 12 ore al giorno. Naturalmente c'è chi ama lo studio dei testi sacri, c'è chi lo fa con passione e non desidera o sogna altro, ma c'è anche chi preferirebbe un'altra vita. Un mio giovane lettore, per esempio, uno che mi ha scoperta grazie alla lettura clandestina dei miei libri ‘profani’ in una biblioteca pubblica, non desidera che andarsene".<br />"E perché non lo fa?"<br />"È come attraversare un oceano, passare dall'altro lato del mondo. Peccato. Chissà quanti Einstein, Freud e Rubinstein, chissà quanti straordinari Woody Allen che non conosceremo mai si nascondono tra le mura di quelle Yeshivà. Quanti talenti sprecati. Nessuno di loro ha mai letto o mai leggerà un libro ‘normale’, o un giornale laico, o guarderà un programma alla tivù..."<br />"O parlerà al cellulare" ho continuato, rendendomi conto, dall'irreale silenzio tutto intorno, che nessuna donna aveva il cellulare. <br />"E a che cosa mai servirebbe loro il cellulare" ha commentato Judith sarcastica, "per parlare con le amiche??". <br /><br />Non è difficile viaggiare in autobus segregato se segui le regole, seduta da brava nei sedili posteriori.<br />Tutto diventa più complicato se ti siedi davanti, “alla Rosa Parks” (la coraggiosa antisegregazionista di colore americana), ben tre file più avanti.<br />Judith e io l'abbiamo fatto al viaggio di ritorno, dopo essere scese al capolinea e risalite nello stesso autobus con lo stesso autista ormai convinto che fossimo importanti funzionarie (travestite) del ministero dei Trasporti.<br />E questa volta c'erano in autobus anche molti uomini, usciti dalla Yeshivà per la pausa pranzo. Una donna, sola, si è seduta accanto a noi. Non ci siamo scambiate una parola. <br />Una fermata dopo l'altra gli uomini continuavano a salire, sempre più numerosi, e a sedersi davanti, guardandoci stupiti, forse scandalizzati, per quei posti "rubati" a loro.<br />Le donne e i bambini, cariche di pacchi, sacchetti, carrozzine, continuavano ad accomodarsi dietro.Le sentivamo parlare a voce bassa tra di loro. Di bambini, di pannolini, di pappe, di lavoro.<br />Judith le ascoltava, seria, e commentava, con gli occhi sempre più tristi: "Fin da piccole sono indottrinate a rimanere nel loro posto nel mondo: prima ad aiutare la mamma con i fratellini, poi a sposarsi giovanissime, a mettere al mondo 10, 12 bambini, a lavorare per mantenere la famiglia mentre gli uomini studiano. Il giorno più felice della loro vita è il matrimonio (combinato, naturalmente), ma quello è anche il giorno in cui comincia la loro durissima vita vera".<br />"Per questo" ha aggiunto "io piango sempre ai matrimoni".<br />E mentre mi svelava pazientemente i meandri di quelle vite per me misteriose e sconosciute come fossero di un altro pianeta, nell'autobus, silenzioso e quasi cupo malgrado i moltissimi bambini, la tensione saliva. <br />E una voce si è alzata da dietro, una voce giovane, una bella voce di donna.<br />"Donne" ci ha gridato, "alzatevi e spostatevi, ci sono uomini in piedi, non c'è più posto davanti!".<br />Judith, la nostra sconosciuta vicina ed io abbiamo risposto che non ci sognavamo neanche, che era nostro pieno diritto sederci dove volevamo, che da parte nostra gli uomini potevano anche stare in piedi o sedersi accanto a noi, e che in un mezzo pubblico non ci sono divisioni o segregazioni di alcun genere.<br />Poi è tornato quello strano, irreale silenzio. Dalla parte degli uomini neanche una parola.<br />E io mi sono imbestialita. Mi è venuto da urlare che perfino la protesta, da vigliacchi, la fanno fare alle loro donne fino a farle diventare nemiche di se stesse, dei loro diritti, del loro stesso corpo, ma sono stata zitta.<br />Tanto a che sarebbe servito? Dal caldo, le calze autoreggenti stavano cominciando a scendermi giù per le gambe, la testa mi prudeva sotto il berretto e una ragazza dal viso scarno mi guardava immobile, impassibile, senza batter ciglio.<br />Ho provato a sorridere, ma lei non ha risposto.<br />"Sta cercando di capire chi sei, da dove vieni, perché sei qui, che cosa vuoi" mi ha spiegato Judith.<br />E siamo scese.<br /><br /><br />P.S. Secondo la Corte suprema israeliana gli autobus segregati nei quali, per ragioni di «modestia», gli uomini siedono nel settore anteriore e le donne in quello posteriore sono illegali. <br />Secondo la Corte le compagnie pubbliche israeliane non possono imporre la separazione per sesso nei loro mezzi di trasporto, uomini e donne possano però decidere di sedersi separati su base volontaria. La strana moda quindi continua e malgrado ci siano anche tra gli “haredi” alcuni e alcune che vi si oppongono, come la nostra compagna di viaggio, il numero degli autobus segregati (che ufficialmente non esistono) continua ad aumentare.<br />E naturalmente gli “haredi”, che sia chiaro, non hanno alcun monopolio sulla religione ebraica, che grazie a Dio, è tutta un'altra cosa.manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-39855887199508487782011-12-03T22:32:00.000-08:002011-12-03T22:42:09.582-08:008 e 30e non ho ancora aperto il giornale. adesso la mia nuova angoscia è l'iran. svegliarsi una mattina e scoprire di essere nel pieno di una nuova guerra fatta scoppiare per pura stupidità , con missili nei centri della città. ma ehud barak il ministro della difesa) adora giocare coi fiammiferi. non è che lo dica solo io, lo dice l'ex capo del mossad. meir dagan, lo dice persino il ministro della difesa americano.<br />speriamo bene. <br />domani mattina ho l'aereo per milano.<br />è alle 7 il che vuol dire alzarsi alle 4 e essere in aeroporto alle 5.<br />poi da malpensa a padova , e il giorno dopo sicilia per 4 giorni. poi di nuovo padova e alla fine virgoletta.<br />se almeno si dimagrisse viaggiando... invece no. si ingrassa.manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-80512241727817968612011-12-02T06:58:00.000-08:002011-12-02T07:03:26.443-08:00rieccomioggi ho parlato per la radio di trieste e mi sono resa conto che era tanto, tantissimissimo che non scrivevo nel blog e lunedì sono di nuovo in partenza per 15 giorni.<br />è venerdì sera , e c'è una pace, un silenzio , qui a tel aviv.<br />e un cielo terso, un'aria tiepida.<br />com'è facile e bello amare questo paese quando smetti di pensare a quello che sarà.<br />a quello che sta succedendo ( la legge bavaglio, quella contro le ong di sinistra e dei diritti umani ecc.).<br />quando , per un attimo, smetti di aver paura del futuro.manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-8056877880305159722011-11-21T15:04:00.000-08:002011-11-21T15:14:18.796-08:00l'infedeletorno al mio povero blog a lungo abbandonato per troppo da fare ....<br />sono appena tornata a casa dalla diretta con l'infedele. c'era l'eco. che fatica.<br />e adesso sto seguendo l'infedele da casa.<br />solo che qui è l'una di notte , anzi di più.<br />strano questo mondo in cui tutto succede in diretta e in diretta adesso non riesco ad addormentarmi.manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-12181124276501041882011-10-18T13:16:00.000-07:002011-10-18T13:19:24.126-07:00הפעם בעבריתבמשך שבוע שלם מהיום שנודע על שחרורו של גלעד שליט לא שמענו אלא על גלעד שליט, לא ראינו אלא גלעד שליט, לא קראנו אלא גלעד שליט, לא דיברנו אלא גלעד שליט, וזאת אחרי חודשים ושנים ארוכות של קמפיין מפואר, מאוד אישי, קדחתני, במהלכו דמותו נכנסה לבית של כל משפחה והפך ללא ידיעתו ל"ילד של כולנו".<br /><br />עד כדי כך נכנס לחיינו שנכדותיי התאומות בנות השלוש יודעות לדקלם איך בדיוק הוא נשבה, כמה כואב להוריו ומתי ואיך הוא יחזור. אתמול בתכניות רדיו וטלוויזיה אינסופיות נראו מנחים מותשים, טוחנים דק דק את הנושא, עם הורים שכולים בעד ובנגד, משפטנים, מומחים, אלופים במיל' וקולונלים בהווה, שבויים לשעבר מסוריה ומצרים ופסיכולוגים למצבי חירום. הרגשתי שהכל כל כך דחוס ומיותר, הרגשתי צורך בשקט. די למילים, הייתי זקוקה לאוויר.<br /><br />והיום, ברגע מזוקק אחד, הכל השתנה אצלי: גלעד שליט סוף סוף חזר. והוא לא ילד, והוא ודאי לא שלנו, הוא בטח לא של ראש הממשלה למרות שהוא ניסה לנכס אותו לעצמו, ובסופו של דבר גם לא של אבא ואמא. פתאום הכרנו חייל צעיר, אדם בזכות עצמו, לחוץ, רזה אבל גם רהוט, רציני ואינטיליגנטי.<br /><br />האיש הצעיר הזה עלה למדינה שלמה במחיר יקר מאוד אבל אל לנו לבקש שיחזיר לנו משהו בתמורה. מגיע לו סוף סוף לחיות את חייו שלו ושישכח מאיתנו ושאנחנו נניח לו, גם אם מחרתיים אחד המשוחררים יחזור לסורו ויעשה מה שכל כך חששנו ממנו. זה מה שכל אחד מאחל לילד שלו.<br /><br />הכותבת היא עיתונאית, והיתה פעילה למען היציאה מלבנוןmanuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-2448435730552983522011-10-18T11:33:00.000-07:002011-10-18T11:38:31.650-07:00il ritorno di gilad shalit ( un mio articolo da vanity fair online )http://www.vanityfair.it/news/mondo/2011/10/18/manuela-dviri-gilad-shalit-forza<br />Questa mattina le mie nipotine, due gemelle di tre anni, erano tutte eccitate. «Oggi», dicevano, «Gilad Shalit torna a casa». Ho chiesto loro chi fosse, questo Gilad Shalit, e mi hanno risposto: «All'asilo ci hanno spiegato che delle persone cattive lo hanno strappato ai suoi genitori ma che finalmente torna a casa». Tutti gli israeliani, che abbiano tre o cento anni, si sono messi stamane davanti alla televisione o alla radio, a seguire le immagini di questo giovane caporale. Improvvisamente, Gilad Shalit è diventato parte delle nostre famiglie. Tutto Israele ha chiesto che venisse liberato.<br /><br />Le prime immagini che abbiamo visto sono quelle di un ragazzo molto pallido e molto magro, quasi abbagliato dalla luce, avvolto in una divisa paramilitare. Due persone lo sostengono, come se non riuscisse a reggersi in piedi da solo. Una giornalista egiziana lo intervista, quasi fosse un interrogatorio. Lui risponde in ebraico e le sue risposte sono immediatamente tradotte in arabo. Tra una risposta e l'altra respira a fondo, come se fosse vittima di un'enorme tempesta emotiva interna. Gli chiedono quali sono i suoi piani per il futuro. «Sogno il momento in cui rivedrò i miei genitori». «Ho temuto di non tornare mai». «Spero che questo scambio sia un passo avanti per la pace», risponde. E sorride. Sono i primi sorrisi da quando è stato rilasciato. Ora sembra meno fragile. Gli chiedono se vuole aggiungere qualcosa, ma lui è finalmente un uomo libero: non vuole più rispondere, si alza e se ne va. Il commentatore israeliano dice che per un ragazzo che è stato per cinque anni tagliato fuori dal mondo non sembra così perso come si temeva. Alla televisione un ex prigioniero delle carceri siriane spiega il modo di muoversi di Gilad. Si muove come se fosse seduto su una sedia a dondolo, e questo è tipico di chi è stato a lungo in carcere e si trova in una situazione emotiva difficile. <br /><br /><br />Shalit ha da fare: deve tornare in Israele. Lo attendono le visite dei medici e poi il primo ministro. Solo allora, finalmente, potrà riabbracciare i suoi genitori. Ma questo incontro rimarrà segreto. Tutti noi credevamo di conoscerlo, dopo aver visto la sua immagine stampata ovunque, ma ci sbagliavamo. È molto più forte di quanto ci aspettassimo. Credevamo di veder tornare a casa un ragazzino distrutto. E invece il ragazzino è tornato a casa giovane uomo, coerente, lungi dall'essere distrutto dopo ben cinque anni e mezzo di isolamento.manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-34611093125006060182011-10-15T11:58:00.001-07:002011-10-15T12:06:25.534-07:00un mio articolo per gqhttp://www.gqitalia.it/viral-news/articles/2011/10/gilad-shalit-sara-liberato-scambio-di-prigionieri-israele-hamas-manuela-dviri-per-gq<br />Il ritorno a casa di Gilad Shalit. E quella promessa fatta a ogni ebreo: un intero popolo è pronto a lottare per te<br />12 ott 2011 — Manuela Dviri<br /><br />Gilad Shalit, il soldato israeliano da 5 anni e 4 mesi nelle mani di Hamas, tornerà a casa presto: Israele ha acconsentito a uno scambio con 1027 prigionieri. Un prezzo troppo alto? No, spiega l'editorialista di GQ Manuela Dviri. Perché "Israel arevim ze ba ze": ogni ebreo è responsabile per tutto il resto del popolo. Ed è pronto a ogni sacrificio per salvare un altro ebreo<br /><br /><br />--------------------------------------------------------------------------------<br /><br />Era sera quando improvvisamente sono state interrotte tutte le trasmissioni radiofoniche e televisive. Per un attimo ho avuto paura. Di solito succede per gli attentati o per le guerre. Invece è stata solennemente e gioiosamente annunciata la prossima liberazione, anzi, "il ritorno a casa", del giovane soldato Gilad Shalit, prigioniero a Gaza in totale isolamento per ben cinque anni e quattro mesi, in cambio di 1027 prigionieri palestinesi. Mi sono commossa.<br /><br />E lo spazio si è riempito subito di parole, come sempre succede in questi casi, perché adesso e non prima, qual è il prezzo da pagare, se non la pagheremo cara in futuro...<br /><br />Eppure, incredibilmente, nell'opinione pubblica c'è pochissima opposizione allo scambio: 1.000 prigionieri palestinesi per un solo soldato non sembrano affatto un prezzo troppo alto da pagare.<br /><br />La risposta forse la si può trovare in un concetto del tutto ebraico: "Israel arevim ze ba ze", cioè ogni ebreo è responsabile dell'altro, è garante dell'altro. O, meglio, ogni ebreo è responsabile di tutto il resto del popolo. In questo caso vuol anche dire che ogni soldato che parte per combattere deve sapere che un intero popolo lotterà per lui, se mai ce ne sarà bisogno.<br /><br />Adesso non resta che attendere il ritorno di Gilad, tra qualche giorno.<br /><br />Una delle condizioni dello scambio era che Gilad stesse relativamente bene. E questa è la tacita domanda che leggi negli occhi dei genitori, nei loro visi per la prima volta sorridenti e poi subito di nuovo contratti. Sognano, lo capisci, una vita normale. Del tutto anonima, tranquilla: nella guerra di Kippur, esattamente 38 anni fa, Noam Shalit, il padre di Gilad, aveva perso un fratello gemello, Yoel.<br /><br />Penso che se potesse , urlerebbe "adesso basta"manuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-519490050858686022.post-82761042872642312472011-10-14T01:39:00.000-07:002011-10-14T01:44:10.170-07:00da haaretz, un articolo importanteda haaretz di luglio<br />Israele sta attraversando una crisi di fiducia rispetto al suo futuro; lo stato ebraico si dibatte tra due realtà contrastanti: da un lato il tentativo di dar vita ad una società morale, democratica e creativa; dall’altro la prosecuzione di politiche inique nei confronti dei palestinesi, come l’esproprio delle loro terre, la costruzione del muro di separazione, le centinaia di posti di blocco disseminati in Cisgiordania. Tutto ciò determina un diffuso senso di colpa all’interno della società israeliana – sostiene il filosofo e psicanalista israeliano Carlo Strenger<br /><br />L’analisi che proponiamo di seguito fa parte di un insieme di articoli che pubblicheremo nel tentativo di dare una panoramica del dibattito riguardante il futuro del conflitto israelo-palestinese<br /><br />In occasione del convegno annuale sullo ‘stato della nazione’ organizzato dall’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale, M.K. Avishay Braverman (membro del partito laburista (N.d.T.) ) ha lamentato che Israele sta andando in pezzi. Il nostro sistema educativo, di cui un tempo in Israele s’andava fieri, è allo sfascio; la corruzione nella pubblica amministrazione è alle stelle; le nostre università stanno morendo di fame; e il debito pubblico è drammatico quasi quanto quello del Brasile.<br /><br />Le lamentele di Braverman riflettono un disagio generalizzato che pervade lo stato d’animo della popolazione israeliana. Per la prima volta nella storia di Israele lo scetticismo riguardo alle sue possibilità di sopravvivenza, le preoccupazioni sul suo sistema di norme statali, e l’interrogativo se esisterà ancora fra 50 anni, serpeggiano nella società e nei media. Ciò è strano, se si pensa che in passato Israele è stato in situazioni di pericolo esterno ben più gravi, e che oggi le sue risorse economiche e militari sono meglio sviluppate che mai.<br /><br />Allora perché Israele è incapace di affrontare i suoi problemi sociali? Perché gli scandali per corruzione, lo stato penoso del nostro sistema educativo, o lo stallo della nostra situazione geopolitica, non portano la gente in piazza? Dopo Sabra e Chatila l’opinione pubblica israeliana era eccitata: centinaia di migliaia di persone si mobilitarono per dimostrare in quella piazza dove 13 anni più tardi Yitzhak Rabin sarebbe stato assassinato. La Commissione Kahan, nominata a seguito delle pressioni della protesta popolare, stabilì che Ariel Sharon non era adatto a svolgere il ruolo di ministro della difesa in futuro.<br /><br />In passato Israele era certo della sua moralità. Il sentimento attuale che la società israeliana stia andando in pezzi riflette invece qualcosa di essenzialmente inedito: <strong>Israele non è più certo dei suoi fondamenti morali</strong>. Tale paralisi riflette un diffuso senso di colpa riguardo al comportamento attuale di Israele. <strong>Da un lato Israele sta facendo un grosso sforzo per dar vita a una società morale, democratica e creativa; dall’altro, nei Territori occupati Israele continua a costruire doppi sistemi stradali, a espropriare le terre palestinesi, a tagliare in due i villaggi palestinesi con il muro di sicurezza</strong>, a impedire alle donne palestinesi di raggiungere gli ospedali per partorire. Sotto questo aspetto, la psiche collettiva di Israele ricorda quella di una personalità scissa in situazione post-traumatica. Gli uomini che hanno subito un trauma, in genere legato al servizio militare, spesso sono capaci di mantenere una apparenza di rispettabilità durante il giorno, per poi dare sfogo a scoppi di violenza apparentemente inspiegabili quando ritornano a casa la sera.<br /><br />La psiche collettiva di Israele funziona in modo similare: a partire dal 1948 poco dopo l’Olocausto, fino al 1967, l’esistenza di Israele fu realmente in pericolo. Il Paese dipendeva soltanto dal suo valore in battaglia, mentre disponeva solo di pochi alleati fedeli. Proprio come se non ci fossimo mai affrancati dal passato, continuiamo ad agire come se Israele fosse ancora un piccolo e isolato ‘Yishuv’ (letteralmente ‘insediamento’; con tale termine si indicano gli ebrei che risiedevano in Palestina prima della creazione dello stato di Israele (N.d.T.) ) minacciato di estinzione immediata, e come se ogni nostra azione fosse giustificata dalla necessità di salvaci la vita. Israele, come società e come paese, accetta e rispetta il principio morale dei diritti umani universali. Dentro di noi, sappiamo bene che è moralmente indifendibile il fatto che causiamo sofferenze a milioni di palestinesi in Cisgiordania per mezzo degli insediamenti costruiti in profondità nei Territori. Eppure lasciamo questo che accada. Badiamo alla nostra convenienza e tentiamo di tacitare la nostra coscienza dicendo: “Non c’è un interlocutore”, o “I posti di blocco sono necessari per impedire gli attacchi terroristici”, o ancora “Guardate che cos’è accaduto quando abbiamo lasciato Gaza! Ce ne siamo andati, e tutto ciò che abbiamo ottenuto sono gli attacchi dei razzi Qassam!”<br /><br />Mentre l’ultima affermazione ha una qualche validità, tutti i sondaggi evidenziano che la maggior parte degli israeliani crede che gli insediamenti all’interno della Cisgiordania mettano a repentaglio la sicurezza di Israele invece di accrescerla; e anche gli esperti militari sono di questo parere. E questi insediamenti sono la ragione principale che è alla base della stragrande maggioranza dei posti di blocco e degli espropri che rendono la vita impossibile ai palestinesi, e che hanno portato quasi tutti i palestinesi a ritenere che Israele, in realtà, non desideri la pace.<br /><br />C’è solo un modo per porre fine al disagio generalizzato e spazzar via il timore che Israele sia costruito sulle sabbie mobili. È rimettere in sesto la spina dorsale di moralità che è stata danneggiata dalla scissione della psiche israeliana tra una metà rispettabile che crede nella democrazia e nei diritti umani, e l’altra metà che insensibilmente e automaticamente continua a violare tutte le norme in cui tutti noi crediamo. Dobbiamo assolutamente recuperare la capacità di fare un sincero esame di coscienza per ritornare a essere responsabili delle nostre azioni.<br /><br />Io prevedo che la paralisi terminerà nel momento in cui Israele troverà la volontà politica di dire ai coloni: “noi comprendiamo il vostro dolore e la vostra rabbia, ma abbiamo fatto un terribile errore inviandovi nei Territori. La sopravvivenza morale e politica di Israele dipende dal vostro ritorno a casa”.<br /><br />Solo quando ci sveglieremo al mattino con la consapevolezza che non ci sono più orrori indifendibili da mettere a tacere, non più giovani soldati inviati a compiere un incarico che li segnerà per tutta la vita, e non più donne palestinesi che perdono i loro bambini solo perché non riescono a giungere in tempo all’ospedale, noi saremo capaci di superare gli enormi problemi interni alla nostra società.<br /><br />La psiche israeliana ha bisogno di essere liberata dal fardello insostenibile della colpa, se veramente vogliamo ritrovare la nostra capacità di superare le avversità, e la convinzione che abbiamo il diritto di vivere in questa terra. Solo allora sarà liberata anche la creatività e l’intraprendenza che riconosciamo nella gestione degli affari di Israele, nella ricerca e nello sviluppo, nel fiorire della scena artistica, al fine di creare quella società che tutti noi desideriamo.<br /><br />Carlo Strenger, filosofo e psicanalista, insegna presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Tel Aviv; è membro del comitato permanente di monitoraggio sul terrorismo della World Federation of Scientistsmanuela dvirihttp://www.blogger.com/profile/13876728399944515584noreply@blogger.com0