mercoledì 28 settembre 2011

non è che sto battendo la fiacca...

bè , forse anche un pò. è che qui tra una cosa e l'altra , c'è sempre troppo da fare.
metti ieri, per esempio.
ieri ho cucinato per rosh ha shanà
ho fatto
agnello arrosto
3 polli ripieni
patè di fegato
gnocchi
spezzatino
dolce
reghel krushà ( chi non sa che cos'è pazienza)
pesto
salsa di pomodoro
marmellata di fichi
al mercato c'era aria di festa e tutti si facevano gli auguri di buon anno e il giornale yediot aharonot ci fa sapere che secondo la loro ultima inchiesta, l'88% degli israeliani è felice di esserlo e soddisfatto della propria vita.
siamo una terra di matti.
o come mio padre avrebbe detto "se non son matti non li vogliamo"
e buon anno a tutti
שנה טובה

giovedì 22 settembre 2011

che giornata

.. quella di ieri. attaccata alla tivù che ha trasmesso in diretta il discorso di Obama e l'incontro Bibi-Obama in cui le parole contraddicevano il linguaggio che i loro corpi, uno accanto all'altro eppure lontani millemiglia l'uno dall'altro, trasmettevano.
ore poco felici.
lascio parlare Thomas Friedman.la sua preoccupazione è genuina .
quanto a me, non sono venuta a vivere qui per trovarmi alla fine in una specie di ghetto volontario . non di tutto abbiamo colpa, per carità, ma bibi e la zarina sara , sua moglie ( non la nomino per caso , la sua influenza su Bibi non è da poco) sono una vera e propria calamità per questo paese.

Repubblica, 20.9.11
Israele è in pericolo se si isola dal mondo
di Thomas L. Friedman

NON sono mai stato tanto preoccupato per il futuro di Israele. Lo sgretolamento dei pilastri della sicurezza di Israele - la pace con l´Egitto, la stabilità della Siria e l´amicizia con Turchia e Giordania - abbinato al governo più inetto dal punto di vista diplomatico e più incompetente dal punto di vista strategico della sua storia hanno messo lo Stato ebraico in una situazione pericolosissima.
Il governo americano è stufo marcio di questi leader israeliani, ma è ostaggio della sua inettitudine, perché in un anno di elezioni la potente lobby filoisraeliana può costringere la Casa Bianca a difendere lo Stato ebraico all´Onu anche quando sa che il governo di Tel Aviv sta portando avanti politiche che non sono né nel suo interesse né nell´interesse degli Stati Uniti.
Israele non è responsabile del rovesciamento del presidente egiziano Hosni Mubarak o delle rivolte in Siria, o della decisione della Turchia di cercare di ritagliarsi un ruolo guida a livello regionale scagliandosi cinicamente contro Israele per aver spaccato il movimento nazionale palestinese fra Gaza e Cisgiordania. Quello di cui il primo ministro israeliano Bibi Netanyahu è responsabile è di non aver messo in campo, in risposta a tutte queste trasformazioni, una strategia in grado di difendere gli interessi di Israele sul lungo periodo.
Anzi no, una strategia Netanyahu ce l´ha: non fare nulla, rispetto ai palestinesi o rispetto alla Turchia, che lo costringa ad andare contro la sua base, a scendere a compromessi con le sue idee o a inimicarsi il suo principale partner di coalizione, l´estremista di destra Avigdor Lieberman, che ricopre l´incarico di ministro degli Esteri. Dopo di che, chiedere aiuto agli Stati Uniti per bloccare il programma nucleare iraniano e per farsi tirar fuori da pasticci di ogni genere, ma fare in modo che il presidente Barack Obama non possa chiedere nulla in cambio mobilitando i Repubblicani al Congresso per mettergli i bastoni fra le ruote e incoraggiando i principali esponenti della comunità ebraica a insinuare che Obama è ostile a Israele e sta perdendo i voti degli ebrei. Ecco qua: non si può certo dire che Netanyahu non abbia una strategia.
«Anni di sforzi diplomatici per far accettare Israele in Medio Oriente sono crollati in una settimana con l´espulsione degli ambasciatori dello Stato ebraico da Ankara e dal Cairo, e con la frettolosa evacuazione del personale dell´ambasciata da Amman», ha scritto Aluf Benn sul quotidiano israeliano Haaretz. «La regione sta rigettando lo Stato ebraico, che si rinchiude sempre di più dietro mura fortificate, sotto la guida di una leadership che rifiuta qualsiasi cambiamento, movimento o riforma […] Netanyahu ha dato prova di una passività totale di fronte ai drammatici cambiamenti avvenuti nella regione e ha consentito ai suoi rivali di prendere l´iniziativa e fissare l´agenda».
Che cosa avrebbe potuto fare Israele? L´Autorità Palestinese, che negli ultimi cinque anni ha fatto grandi passi avanti nella costruzione delle istituzioni e delle forze di sicurezza di uno Stato in Cisgiordania, alla fine si è detta: «I nostri sforzi per costruire lo Stato non hanno indotto Israele a fermare gli insediamenti o a impegnarsi per giungere alla separazione dei Territori Occupati, perciò in pratica non stiamo facendo altro che sostenere l´occupazione israeliana. Andiamo alle Nazioni Unite, facciamoci riconoscere come Stato all´interno dei confini del 1967 e combattiamo Israele in questo modo». Una volta resosi conto della situazione, Israele avrebbe dovuto proporre un suo piano di pace o cercare di influenzare la diplomazia dell´Onu con una risoluzione che riaffermasse il diritto sia del popolo palestinese che di quello ebraico di avere uno Stato all´interno dei confini storici della Palestina, e facendo ripartire i negoziati.
Netanyahu non fatto nessuna delle due cose e ora gli Stati Uniti si stanno barcamenando per disinnescare la crisi, per non essere costretti a opporre un veto alla proposta di creare lo Stato palestinese, una mossa che potrebbe rivelarsi disastrosa in un mondo arabo che marcia sempre più verso l´autogoverno popolare.
Quanto alla Turchia, la squadra di Obama e gli avvocati di Netanyahu in questi ultimi due mesi hanno lavorato instancabilmente per risolvere la crisi nata dall´uccisione di civili turchi da parte di agenti delle forze speciali israeliane nel maggio del 2010, quando la flottiglia turca cercava in tutti i modi di sbarcare a Gaza per portare aiuti alla popolazione. La Turchia pretendeva scuse ufficiali. Poi però Bibi ha smentito i suoi stessi avvocati e ha respinto l´accordo, per orgoglio nazionale e per paura che Lieberman lo usasse contro di lui. Risultato: la Turchia ha espulso l´ambasciatore israeliano.
Quanto all´Egitto, la stabilità lì ormai è un ricordo e qualunque nuovo Governo al Cairo dovrà fare i conti con pressioni populiste antisraeliane più forti che mai. Tutto questo in parte è inevitabile, ma perché non mettere in campo una strategia per minimizzare il problema proponendo un vero piano di pace?
Ho grande simpatia per il dilemma strategico di Israele e non mi faccio nessuna illusione sui suoi nemici. Ma Israele oggi non offre ai suoi amici - e Obama è fra loro - nessun elemento per difenderlo. Israele può scegliere di combattere contro tutti oppure può scegliere di non arrendersi e attutire il colpo ricevuto con un´apertura, sul fronte delle trattative di pace, che gli osservatori equilibrati possano considerare seria, in modo da limitare il suo isolamento.
Purtroppo oggi Israele non può contare su un leader o su un esecutivo capace di simili sottigliezze diplomatiche. Non resta che sperare che gli israeliani se ne rendano conto prima che questo Governo precipiti ancora di più lo Stato ebraico nell´isolamento, trascinandosi dietro l´America.
Traduzione di Fabio Galimberti

lunedì 12 settembre 2011

sgridata..

ho fatto venire l'ansia anche a mia sorella eva (e a molti altri).
eva chiede che racconti che poi questa mattina sono uscita, sono andata al mercato , (il shuk hacarmel), ho comprato susine e pomodori per fare la pummarola e la marmellata col mio nuovissimo e splendido bimby , e per finire mi son fatta fare un foot massage tailandese che mi ha lasciata FELICEMENTE riposata e rilassata.
insomma, poi trovo sempre il modo di andare avanti e star meglio. e adesso mi son messa a lavorare.
eva, stai tranquilla.
ogni giorno è un miracolo.

SVEGLIARSI LA MATTINA

mi ero dimenticata questa sensazione di angoscia diffusa che mi prende la mattina quando mi sveglio a Tel Aviv .
quando sto via a lungo me la dimentico e torno a preoccuparmi dei problemi italiani.
che mi sembrano così insignificanti quando torno qui.
non è per me che mi preoccupo , io ho già vissuto. ne ho già avuto abbastanza.
mi preoccupo per i figli, per i nipoti. per l'ultima nata che ha appena sei mesi e non so dove Michal ( speriamo che non legga il blog..) abbia trovato il coraggio di metterla al mondo.
MI sveglio la mattina e leggo haaretz e mi prende una gran tristezza: siamo sempre più isolati , ( vedi turchia, vedi egitto) e se già il mondo sta diventando pericoloso e senza sicurezze per tutti ,qui potrebbe diventare una trappola mortale,e la gente comincia a dirlo a voce alta.( fino a poco tempo fa era un pensiero che veniva tenuto ben nascosto nell'inconscio collettivo)
e poi siamo in mano a dei politici veramente indecenti, inabili, con una moglie di Primo Ministro ( sara netanyau) nota per le sue crisi isteriche , per i suoi maltrattamenti nei confronti delle collaboratrici domestiche , e per intromettersi negli affari di stato, con un bullo come ministro degli esteri , un ehud barak come ministro della DIFESA .
è un brutto momento. ci vorrebbe un miracolo.
non dovrei smettere di credere nei miracoli.

martedì 6 settembre 2011

e anche questo è successo d'agosto mentre facevo la nonna

(uscito sul sito di vanity fair)
Sono passate solo poche ore dal gravissimo attacco terroristico avvenuto nel cuore di Israele, nei pressi di Eilat, cittadina turistica sul Mar Rosso. Sono stati attaccati due autobus e una camionetta militare, sono esplose mine, razzi, cinture esplosive. Mentre sto scrivendo queste righe , a poca distanza dalla conferenza stampa del capo di stato maggiore e del Ministro della Difesa, è avvenuto un ennesimo atto terroristico ,con un ferito gravissimo.
Eilat , un simbolo israeliano, splendida spiaggia in questi giorni affollata da moltissime famiglie israeliane che vi arrivano da tutto il Paese per godersi le acque limpide e gli stupendi fondi marini, è stata circondata dalle forze di sicurezza dell’IDF. Il bilancio è pesante: sette morti, decine di feriti.Il Ministro della Difesa Barak, indicando Hamas come responsabile dell’attentato, ha subito dichiarato che le conseguenze saranno gravissime, e la risposta,già iniziata del resto, nei confronti di Gaza, pesantissima.
L’Egitto ha immediatamente dichiarato la sua estraneità all’attentato , e pare che durante gli scontri a fuoco abbia anche ucciso due dei terroristi.

Per il momento, in verità, nessuno può saper con certezza da dove sia partita la cellula terroristica, da dove vengano i suoi membri, chi siano esattamente; di certo erano ben attrezzati, armati, organizzati, esperti, preparati. Non si trattava certo di nulla d’improvvisato.
L’attentato ha lasciato sbalordito e disorientato l’intero Paese, che fino a poche ore fa non si occupava che delle proteste interne per il costo della vita (la mega dimostrazione organizzata per sabato sera è stata immediatamente annullata): il confine che Israele ha con l’Egitto è infatti molto più noto per il florido “business” beduino di contrabbando di droga e donne e passaggio di clandestini africani, che per problemi di sicurezza.
Eppure l’attentato non dovrebbe stupire nessuno, commentano gli analisti, specialmente nella nuova realtà egiziana del dopo Piazza Tahrir. Il terrorismo- dicono- continuerà. Ed è rivolto verso Israele, ma non meno contro lo stesso governo egiziano. Nel nord della Penisola del Sinai, infatti, e nell’Egitto tutto, oltre che a Gaza, è un pullulare di gruppi terroristici , ( se ne conoscono almeno una sessantina ma pare ce ne siano molti di più), tra cui El Kaida, gruppi palestinesi, e altri estremisti islamici.
Non c’è dubbio che dietro ai quattro attentati e alle conseguenti esplosioni al gasdotto che fornisce gas dall’Egitto ad Israele passando attraverso il Sinai ,avvenuti negli ultimi mesi , ci sia proprio uno di questi gruppi. E I sabotatori , tutte le quattro volte, sembrano aver agito indisturbati. Dopotutto , una delle accuse a Mubarak a Piazza Tahrir era stata proprio quella di aver venduto il gas ad Israele a un prezzo non abbastanza elevato.
Insomma , giorni difficili attendono Gerusalemme e il premier Nethanyau.
Per non parlare di Settembre e della possibile dichiarazione unilaterale d’Indipendenza dello Stato Palestinese.
A cui Israele si oppone.

sono tornata- in tutti i sensi

l'estate è stata lunga, faticosa ( con figli e nipoti e altri amici loro eravamo tra dieci e 14 tutti i giorni a pramzo e a cena) io ho lavorato, cucinato e pulito tanto, ma mi sono anche divertita e tutto sommato sono stata bene a fare la sguattera. ecco qui un articolo che è uscito durante l'estate( vanity fair) -



Tutto cominciò col “cottage”.
Il “cottage” è un formaggio fresco tipo yocca dall’inconfondibile scatola con la foto di una casetta nel verde, che un po' ricorda il kibbutz, un po' il sogno (per la gran parte degli israeliani neppur minimamente realizzabile, dato il costo dei terreni edificabili) di una casetta a schiera dove crescere in pace e tranquillità i propri figli.
La "tnuva" che lo produce, società cooperativa di proprietà dei kibuzim, è un altro simbolo del Paese, di tempi in cui si viveva con poco e di poco: “cottage” spalmato sul pane nero (in ebraico “lehem ahid”), più frutta e verdura di stagione, uova, pollo e poco più. E di “lebenia”, una specie di yogurt. Poco, ma se lo potevano permettere tutti, così come l’educazione, ottima e gratuita, e la sanità, ottima anche quella. I ricchi, allora, erano pochi. E le tasse sui prodotti di lusso, altissime.
Altri tempi. Il Paese è cambiato molto. La sua ricchezza è rimasta: creatività, lavoro, intelligenza. Ma sono arrivate anche le bistecche, e i sushi, e i viaggi all'estero, e i croissant al burro per la prima colazione. Ma, soprattutto, è arrivato il liberismo economico.
E persino la “tnuva” è stata venduta. L’ha comprata l'“Apax”, un gruppo internazionale d’investimenti. Che subito, per fare un rapido guadagno, ha aumentato il prezzo del latticino nazionale. Tanto, si dissero, gli israeliani non rinunceranno mai a comprare il loro amato formaggio fresco, da mangiare la mattina e la sera assieme all’insalata di pomodori e cetrioli tagliati fini, conditi con un goccio di limone, una spruzzata di mentuccia e un filo d'olio. Non si sbagliavano. Le vendite continuarono, anche se il prezzo dal 2007 al 2011 era aumentato di quasi l’80%. Dopotutto, si trattava di una perdita di pochi shekalim al mese, per l’israeliano medio. Niente di che.
Ma, come nelle migliori favole, tutto cambiò quando piazza Tahrir (insieme col sistema Facebook) approdò a Tel Aviv.

Andò così: un anonimo signore scrisse su Facebook che ne aveva abbastanza.
Che, a quel prezzo, il “cottage” non l’avrebbe più comprato.
150.000 cliccarono "I like" su Facebook, un milione smisero di acquistare “cottage”.
Le vendite scesero a picco. E le perdite sia per i supermarket sia per i produttori furono enormi, anche perché il formaggio fresco inacidisce rapidamente, questione di una settimana al massimo, specialmente d’estate.
La “tnuva”, visto il collasso, abbassò il prezzo, ma ormai la frittata era fatta. Il vento della protesta era partito.
Dopo, fu la volta della rivolta per il prezzo delle case (ce ne sono circa 50000 libere e vuote, comprate da ricchi cittadini stranieri, ebrei europei a Tel Aviv e Natanya, ebrei americani a Gerusalemme. Tutte nei luoghi migliori: a Tel Aviv vicino al mare, a Gerusalemme, con vista sulle mura di Sulemano il magnifico. Il Paese è piccolo e affollato, di terreni edificabili ce ne sono sempre meno, non è certo un caso che 300.000 israeliani, non tutti per ideologia, abbiano scelto di vivere nei territori, dove le case costano molto meno, ndr.)
Cominciò con una giovane e bella studentessa, molto intraprendente, che non facendocela più a pagare l’affitto, annunciò su Facebook che si sarebbe trasferita, in tenda, nel bel mezzo del costosissimo e chicchissimo viale Rothschild. Il successo dell’iniziativa fu immediato ed esplosivo. Oggi le tende su Rothschild sono 1.200 e non c'e più un buco libero per piantarci una “canadese” fino alla strada a nome del generale Allenby. Il municipio di Tel Aviv fornisce luce e pulizia gratis, e la tendopoli è diventata molto “in”, visitata dai “vip” e dalle persone comuni, quasi un nuovo centro della città. Tendopoli simili sono nate anche nelle periferie.
È, a pensarci, la stessa protesta degli altri giovani del mondo di ceto medio, dall'Egitto alla Spagna all’Inghilterra (forse un po’ più creativa perche' chiede l'impossibile , chiede che per la prima volta al mondo venga abbassato il prezzo del cibo e quindi della vita ) .
Sono giovani spaventati da un futuro incerto, di grandi ricchezze per pochi e borghesia al limite della povertà per molti, e poi povertà vera e propria per moltissimi.
Ogni settimana la protesta aumenta: da decine di migliaia, si è passati a 150.000, poi a 300.000 persone in piazza la terza settimana (in proporzione, è come se in Italia fossero usciti a protestare due milioni e mezzo di persone).
Il premier Netanyahu ha iniziato, finalmente, a temere seriamente per il suo fino ad allora placidissimo governo di centro-destra.

E intanto nella torrida estate mediorientale il dissenso continua: si moltiplicano i cortei contro il caro-vita, le marce di genitori con carrozzine per il futuro economico dei loro bambini, i sit-in alle pompe di benzina, gli scioperi della fame dei medici, le proteste degli assistenti sociali, tutti insieme in un grande “calderone” di malcontento.
“Strana rivolta" ho accennato a uno dei leader di questa estate di fuoco, il fotografo con il quale ho spesso lavorato Eyal Ofer, “lottate per il prezzo dei latticini e quello delle case, ma non per la vita dei nostri figli e per un futuro di pace. Che me ne faccio di una casa e di cibo a buon prezzo se non avrò un paese in cui vivere?”.
“È l’esatto contrario” ha risposto lui, “cercano di bloccare la nostra rivolta dicendo che siamo solo degli anarchici, degli estremisti. Ma noi vogliamo vivere. Prima bisogna avere di che vivere, e solo dopo si può imparare a vivere in pace con i propri vicini. E poi le dimostrazioni per la pace le abbiamo fatte, in passato, e non sono servite a nulla. E se questa protesta, del tutto apolitica, attraverso l'economia, ci portasse in nuove direzioni, mai provate fino a ora ? La rabbia e la delusione di un Paese, comunque, stanno lentamente uscendo allo scoperto, spero che la stessa cosa succeda anche per i palestinesi".

E, a proposito di palestinesi, i nostri vicini, prossimi alla dichiarazione dello loro futuro Stato, stanno seguendo con grandissima attenzione l'estate israeliana.
E si lamentano degli stessi problemi. Con altri numeri, però.
Con 140.000 dollari a Ramallah si può comprare un bell’appartamento di quattro vani in un’ottima zona.
A Tel Aviv, non ci si compra proprio niente.
Non che questo voglia dire che a Ramallah si sta meglio. Per carità.