Per la prima volta a Tel Aviv oggi ha piovuto e il mare è mosso, ma fa ugualmente caldo.
Sono appena arrivate le gemelle ma le ho spedite al tempio con il nonno. Le amo molto ma mi stancano e comunque rimarranno qui fino a domani...
Ho aperto i giornali , coi supplementi del sabato : non c'è ottimismo ,I colloqui di pace per ora vanno malino, anzi male.
A propsito, due articoli usciti su vanity fair delle ultime due settimane
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In questi giorni di settembre, gli ebrei,
in Israele e nel mondo, festeggiano i
yamim noraim, i «giorni terribili» o
di «timore reverenziale», tra il Capodanno
ebraico e Yom Kippur, giornata
di digiuno, pentimento e introspezione.
La parabola talmudica racconta che in
questi giorni Dio fa passare davanti a lui,
per giudicarli, tutti gli uomini, e ognuno
potrà ricevere il perdono per i peccati
contro Dio, ma non per quelli verso altri
uomini, a meno che non sia stato ottenuto
il perdono della persona o esa.
Più o meno negli stessi giorni, cade anche
la festa musulmana di Eid ul-Fitr, che segna
la ne del digiuno del Ramadan, che,
secondo il Corano, è stato istituito perché
tutti i fedeli possano coltivare la pietà. Siamo
quindi in un momento simbolicamente
ideale per i colloqui di pace iniziati tra
israeliani e palestinesi. Il falco Netanyahu
ha persino a ermato solennemente di volere
mettere ne al con itto mediorientale
«una volta per tutte». Parole storiche,
dette da un leader della destra israeliana.
Anche se sulla politica degli insediamenti
la tensione non diminuisce. Tanto da
essere servita da «alibi» per l’ennesimo
assurdo massacro di quattro coloni israeliani.
Obama ha subito avvertito che a
nessuno sarà permesso di sabotare la ripresa
dei negoziati diretti. «Voglio che sia
chiaro a tutti», ha a ermato, «ad Hamas
e a chiunque rivendichi questi odiosi crimini,
che non ci fermeranno dal garantire
una pace duratura».
Sarà. Nessuno, qui in Medioriente, compresa
la sottoscritta, crede che la pace,
duratura o meno, esploderà, come promesso
da Obama, esattamente entro i
prossimi 11 mesi. Nessuno riesce più a
crederci. La retorica della pace ci lascia
ormai indi erenti. Troppe volte abbiamo
visto leader, ogni volta diversi, fare gli
stessi gesti, dire le stesse parole, seduti
allo stesso tavolo.
Eppure non mi arrendo. Non mi arrendo
assieme a tanti altri, a tutti coloro, qui
e nel mondo, che da anni lavorano dal
basso per il futuro degli abitanti di questa
nostra terra.
Non per ottimismo continuiamo, non
per ingenuità, persino non per idealismo,
ma perché non c’è veramente altra
scelta. La nostra è una sorta di preghiera
laica: «preghiamo» non per la Pace con
la maiuscola, parola ormai troppo usata,
troppo grande, diventata vuota a forza
di tradirla, ma per costruire un concreto
modello di convivenza. È chiedere troppo
in questi «giorni terribili»? Qualcuno
ci ascolta?
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A sinistra un cimitero musulmano,
di fronte mare calmo e lucido,
nell’aria il profumo del
pane arabo appena cotto, sul
piazzale donne palestinesi col capo coperto
dal hijab chiacchierano con giovani
israeliane in jeans, uno sceicco vestito
di bianco si apparta con eleganti signori
in giacca e cravatta, orde di bambini
urlanti di tutti i colori e le nazionalità,
palestinesi, israeliani, africani, filippini,
russi, cinesi, scorrazzano ovunque leccando
un gelato.
No, non è la scena di un film di fantascienza
sulla futura pace in Medioriente,
e non sono morta e questo non è il paradiso:
è solo il modo in cui i ragazzi del
Centro Peres per la Pace hanno deciso
di festeggiare la Giornata internazionale
della pace (il 21 settembre), ovunque
dimenticata.
E così, mentre altrove signori in doppiopetto
discutevano di moratorie e colonie
nel nuovo giro di (per ora assai infelici)
colloqui di pace, un piccolo miracolo
avveniva sulla spiaggia di Jaffa: all’inizio
decine, poi centinaia e centinaia di bambini,
israeliani e palestinesi, musulmani,
ebrei e cristiani, si sistemavano tutt’intorno
per formare il simbolo della pace,
stretti uno accanto all’altro, sotto il sole,
ridendo e scalciando, sventolando al
cielo lenzuoli colorati. E chi ci pensava,
lì, a quei tristi colloqui?
Certo non ci pensavano le mie nipoti
(che erano venute con la nonna a festeggiare
la pace).
Con loro ho fatto il giro completo del
più surrealistico, incredibile, libero, colorato
e sgarrupato dei festival, a cui gli
organizzatori avevano invitato non solo
i figli e i nipoti dei partner del conflitto,
i palestinesi e gli israeliani, ma anche i
figli dei rifugiati africani e dei lavoratori
esteri filippini, cinesi, romeni, russi e di
ogni nazione possibile e immaginabile,
e non c’era lingua o colore della pelle
che non fossero rappresentati. Una
meraviglia.
Abbiamo visto insieme uno spettacolo
teatrale di due bambini divisi da un
muro (in arabo e in ebraico), assaggiato
olio extravergine d’oliva israeliano e
palestinese, piantato alberelli della pace,
ammirato una mostra fotografica
israeliana e palestinese, ci siamo fatti
fare reiki per la pace, abbiamo dipinto
la pace, giocato la pace a pallone, mangiato
pita offerta da un fornaio arabo di
Jaffa, gelato messo a disposizione da un
gelataio locale, e pane sottile sottile col
formaggio acido (labane) di una nonna
drusa, e mai durante tutta la giornata s’è
vista la presenza di polizia o di guardie
armate, malgrado il grande numero di
israeliani e palestinesi insieme. E che
bisogno ce ne sarebbe mai stato?
Ce ne siamo tornate a casa al tramonto,
mentre sulla spiaggia stavano iniziando
a suonare le bande rock. È stato un
giorno talmente «normale», un tale modello
di come potrebbe essere la nostra
vita, e talmente emozionante e bello e
libero dalla puzza della paura e del sospetto,
che per un attimo mi è sembrato
tutto vero, tutto possibile, concreto,
realizzabile.
A casa ho trovato l’invito ad andare a
prendermi le maschere anti-gas.
io ti ascolto e conme me tantissime persone che nemmeno si conoscono ma che cercano di tenere accesa questa fiammella di desiderio di una convivenza pacifica fra gli uomini. E come? vediamo bene che fine fanno le tante promesse e assicurazioni con cui i Grandi amano riempirsi la bocca..
RispondiEliminaNon mi scoraggio, io cerco di vivere le mie giornate fatte di azioni piccole o grandi come se dipendesse da me a costruire qualcosa per cui vale esser a questo mondo. Non siamo soli: è questa la nostra forza credimi!
Un forte abbraccio