ogni volta che arrivo qui vengo inghiottita dal mio minuscolo borgo... non ho avuto il tempo per scrivere una parola per interi quindici giorni, tra ospiti di ogni tipo, da Israele e dall'Italia, giri , viaggi piccoli e un pò più lunghi , pranzi e cene, convegni , mostre e premi.
questa sera la mia ospite si è addormentata sul divano e sono scappata al computer,domani sera arriva una coppia di amici da Israele.
il cielo stasera è grigio , si sentono dei bambini che giocano da qualche parte , fa freddo. a casa fa caldo e si sta bene. ho un pò nostalgia di figli , nipoti e avraham , ma sto così bene.
domani si va aLLA festa della castagna a virgoletta.
sabato 30 ottobre 2010
giovedì 14 ottobre 2010
mercoledì 13 ottobre 2010
e di nuovo, pace, con la minuscola, e centro peres
mi chiedono cosa ne pensi io, "pacifista" ( ma con la minuscola) , di tutto quello che sta succedendo ed è successo qui.hanno ragione a chiedermelo. non sono bei tempi.
questa è la mia risposta.
non è molto, ma è meglio di niente.
"faccio"saving children...e se qualcuno ci vuole aiutare...
Il progetto Saving Children nacque nel 2003. Fu allora che per la prima volta dalla morte di mio figlio Joni, soldato ventenne in servizio militare nell’esercito israeliano, cinque anni prima, e tre anni dopo la mia lotta insieme al gruppo delle “Quattro madri” per il ritiro dell’esercito israeliano dal territorio libanese, ebbi l'intuizione che c’era un altro, ulteriore, importantissimo passo avanti da fare.
Scrissi un articolo per il “Corriere della sera”, erano gli anni dell’Intifada, e raccontai di un bambino palestinese di Betlemme malato di leucemia, in cura in Israele.
Scrissi che non potevo credere che a pochi chilometri di distanza, una malattia, in Israele curabile in gran parte dei casi, potesse diventare incurabile in Palestina per mancanza di medici e ospedali specializzati, e d’altra parte diventasse troppo costosa , se curata in Israele, per il bilancio di una normale famiglia palestinese.
Sapevo che molti dei bambini palestinesi malati venivano curati in Europa o in altri Stati limitrofi, ma vista la vicinanza fisica, mi sembrava più giusto , più pratico e più teso a un futuro di pace e normale convivenza umana che la cura avvenisse proprio in Israele, il Paese “nemico”, con l’aiuto della società civile israeliana e di quella italiana, che tanto ha a cuore il destino del popolo e dei bambini Palestinesi. Sognavo di creare un progetto non solo umanitario, ma anche e soprattutto politico nel vero senso della parola, che da una parte funzionasse rapidamente e con la minore burocrazia possibile, dall’altra creasse dei legami a lungo termine tra medici palestinesi e medici israeliani, società palestinese e società israeliana, con l’aiuto del progetto complementare Medilink per il training dei medici Palestinesi in ospedali israeliani. Questo secondo progetto ci unisce al popolo Palestinese nel loro diritto all’autonomia medica grazie a medici altamente specializzati e ad adeguate strutture ospedaliere Palestinesi.
Dall’Umbria arrivò la prima risposta a quell’articolo, e subito dopo si unirono al progetto, che divenne “Saving children”, la Toscana, l’Emilia Romagna, le Marche (con un progetto di costruzione di un’ala per malattie gravi all’Ospedale Augusta Victoria di Gerusalemme est), il Lazio, il Friuli Venezia Giulia, il Piemonte e un piccolo e splendido gruppo di “Amici del Centro Peres” a Torino.
Al dipartimento di Medicina del Centro Peres fu creato un centro logistico che tra i suoi compiti ha quello di coordinare e ottenere dall’esercito israeliano i permessi d’ingresso in Israele per i genitori dei bambini e li segue nel periodo che si trovano in Israele, e il progetto negli anni è diventato molto conosciuto in Palestina dai genitori dei piccoli malati e dalla società civile in generale. E altrettanto lo è diventato in Israele.
Più di 8000 bambini sono stati così curati attraverso “Saving Children”, e mai il progetto si è fermato, neppure nei momenti più bui dei rapporti tra Israele e Palestina, Israele e Gaza.
Non c’è giorno che non mi arrivi una telefonata da Gaza o da Ramallah , e non meno da Tel Aviv e Gerusalemme , per un piccolo paziente Palestinese, e Dio solo sa come tanti riescano a trovare il mio numero di telefono.
Dopotutto io non lavoro al Centro Peres, né ci ho mai lavorato.
Faccio solo la giornalista.
Saving Children
Medicine in the Service of Peace
The Peres Center For Peace
132 Kedem street, Tel Aviv-Jaffa, 68066
Tel: 972-3-5680-639, Fax: 972-3-624-3532
E-Mail: Rachel Hadari,
The "Saving Children" project was launched in 2003 in partnership with the Palestinian pediatric community in response to the needs of essential urgent child-care services that are not found in Palestine .
The project facilitates the referral of Palestinian babies and children to Israeli hospitals for complex investigations, diagnoses, and surgical procedures. The program successfully responds to such needs through thousands of consultation sessions, treatments and advanced surgeries. Typical procedures include open heart surgery, bone marrow transplantation, cochlear implantation, neurosurgery, orthopedic surgery as well as management consultation supporting the decision making process of Palestinian doctors.
The "Saving Children" project has received over 8,000 referrals to date. Of these, over 1650 have been referred for surgeries, about 5350 were referred for diagnostic procedures, management consultations and complex treatment procedures in such fields as genetics, proteomics, enzymes, neurology and neurosurgery, chemotherapy and other complex ailments. Over 500 children were referred for complex treatment such as chemotherapy and rehabilitation procedures unavailable in Palestine. About 1000 have been assessed by the project but eventually rejected by the Palestinian advisory committee, where services were available in Palestine. These patients were directed to the appropriate institution there. The majority of surgical procedures were devoted to open heart surgery, brain and neurosurgery, spine and orthopedic surgery bone marrow transplantation for children with cancer and cochlear implantation. Many of these referrals are newborns and babies where consultations and surgical procedures are not available in Palestine and often mean the only hope for survival. The youngest patient being 2 days old baby, and the oldest – 15 years.
The costs of the procedures and the complicated logistical arrangements are covered entirely by the project with no expenses accruing to the child or family. The Peres Center is dedicated to the overall management of the project. Its task involves coordination between Palestinian and Israeli medical practitioners and institutions, logistics including army entry permits to Israel, transportation, communication with parents, setting hospital appointments, negotiating financial arrangements with hospitals, assuring follow-ups and medical reporting, communication with referring physicians, documenting and reporting and eventually paying the bills.
Following an initial contribution for the treatment of the first child by the Regione Umbria in 2003, Saving Children took off in a big way through the adoption of the project, first by Regione Toscana, followed by the regions of Emilia-Romagna, Lazio, Friuli Venezia Giulia, Piemonte as well as by individuals and foundations from other European countries . Furthermore, the Israeli society contributes its share through discounting the cost of hospital services by 30%-50% off the Ministry of Health published tariff for Israeli patients.
The total financial value of services afforded by the project to-date is over €18,000,000 close to 50% of which has been contributed by the participating Israeli hospitals. Of this balance – over €7,000,000 were donated by the participating Italian regions, while about €2,000,000 were donated by a number of European and American foundations, institutions and individuals.
Saving Children does not merely reduce morbidity and mortality rates of Palestinian children, but its contribution to reconciliation between both civil societies – Israeli and Palestinian is most prominent. There is very little more emotive or appreciated cause than the saving of the life of a child, thus touching the life of an entire extended family.
questa è la mia risposta.
non è molto, ma è meglio di niente.
"faccio"saving children...e se qualcuno ci vuole aiutare...
Il progetto Saving Children nacque nel 2003. Fu allora che per la prima volta dalla morte di mio figlio Joni, soldato ventenne in servizio militare nell’esercito israeliano, cinque anni prima, e tre anni dopo la mia lotta insieme al gruppo delle “Quattro madri” per il ritiro dell’esercito israeliano dal territorio libanese, ebbi l'intuizione che c’era un altro, ulteriore, importantissimo passo avanti da fare.
Scrissi un articolo per il “Corriere della sera”, erano gli anni dell’Intifada, e raccontai di un bambino palestinese di Betlemme malato di leucemia, in cura in Israele.
Scrissi che non potevo credere che a pochi chilometri di distanza, una malattia, in Israele curabile in gran parte dei casi, potesse diventare incurabile in Palestina per mancanza di medici e ospedali specializzati, e d’altra parte diventasse troppo costosa , se curata in Israele, per il bilancio di una normale famiglia palestinese.
Sapevo che molti dei bambini palestinesi malati venivano curati in Europa o in altri Stati limitrofi, ma vista la vicinanza fisica, mi sembrava più giusto , più pratico e più teso a un futuro di pace e normale convivenza umana che la cura avvenisse proprio in Israele, il Paese “nemico”, con l’aiuto della società civile israeliana e di quella italiana, che tanto ha a cuore il destino del popolo e dei bambini Palestinesi. Sognavo di creare un progetto non solo umanitario, ma anche e soprattutto politico nel vero senso della parola, che da una parte funzionasse rapidamente e con la minore burocrazia possibile, dall’altra creasse dei legami a lungo termine tra medici palestinesi e medici israeliani, società palestinese e società israeliana, con l’aiuto del progetto complementare Medilink per il training dei medici Palestinesi in ospedali israeliani. Questo secondo progetto ci unisce al popolo Palestinese nel loro diritto all’autonomia medica grazie a medici altamente specializzati e ad adeguate strutture ospedaliere Palestinesi.
Dall’Umbria arrivò la prima risposta a quell’articolo, e subito dopo si unirono al progetto, che divenne “Saving children”, la Toscana, l’Emilia Romagna, le Marche (con un progetto di costruzione di un’ala per malattie gravi all’Ospedale Augusta Victoria di Gerusalemme est), il Lazio, il Friuli Venezia Giulia, il Piemonte e un piccolo e splendido gruppo di “Amici del Centro Peres” a Torino.
Al dipartimento di Medicina del Centro Peres fu creato un centro logistico che tra i suoi compiti ha quello di coordinare e ottenere dall’esercito israeliano i permessi d’ingresso in Israele per i genitori dei bambini e li segue nel periodo che si trovano in Israele, e il progetto negli anni è diventato molto conosciuto in Palestina dai genitori dei piccoli malati e dalla società civile in generale. E altrettanto lo è diventato in Israele.
Più di 8000 bambini sono stati così curati attraverso “Saving Children”, e mai il progetto si è fermato, neppure nei momenti più bui dei rapporti tra Israele e Palestina, Israele e Gaza.
Non c’è giorno che non mi arrivi una telefonata da Gaza o da Ramallah , e non meno da Tel Aviv e Gerusalemme , per un piccolo paziente Palestinese, e Dio solo sa come tanti riescano a trovare il mio numero di telefono.
Dopotutto io non lavoro al Centro Peres, né ci ho mai lavorato.
Faccio solo la giornalista.
Saving Children
Medicine in the Service of Peace
The Peres Center For Peace
132 Kedem street, Tel Aviv-Jaffa, 68066
Tel: 972-3-5680-639, Fax: 972-3-624-3532
E-Mail: Rachel Hadari
The "Saving Children" project was launched in 2003 in partnership with the Palestinian pediatric community in response to the needs of essential urgent child-care services that are not found in Palestine .
The project facilitates the referral of Palestinian babies and children to Israeli hospitals for complex investigations, diagnoses, and surgical procedures. The program successfully responds to such needs through thousands of consultation sessions, treatments and advanced surgeries. Typical procedures include open heart surgery, bone marrow transplantation, cochlear implantation, neurosurgery, orthopedic surgery as well as management consultation supporting the decision making process of Palestinian doctors.
The "Saving Children" project has received over 8,000 referrals to date. Of these, over 1650 have been referred for surgeries, about 5350 were referred for diagnostic procedures, management consultations and complex treatment procedures in such fields as genetics, proteomics, enzymes, neurology and neurosurgery, chemotherapy and other complex ailments. Over 500 children were referred for complex treatment such as chemotherapy and rehabilitation procedures unavailable in Palestine. About 1000 have been assessed by the project but eventually rejected by the Palestinian advisory committee, where services were available in Palestine. These patients were directed to the appropriate institution there. The majority of surgical procedures were devoted to open heart surgery, brain and neurosurgery, spine and orthopedic surgery bone marrow transplantation for children with cancer and cochlear implantation. Many of these referrals are newborns and babies where consultations and surgical procedures are not available in Palestine and often mean the only hope for survival. The youngest patient being 2 days old baby, and the oldest – 15 years.
The costs of the procedures and the complicated logistical arrangements are covered entirely by the project with no expenses accruing to the child or family. The Peres Center is dedicated to the overall management of the project. Its task involves coordination between Palestinian and Israeli medical practitioners and institutions, logistics including army entry permits to Israel, transportation, communication with parents, setting hospital appointments, negotiating financial arrangements with hospitals, assuring follow-ups and medical reporting, communication with referring physicians, documenting and reporting and eventually paying the bills.
Following an initial contribution for the treatment of the first child by the Regione Umbria in 2003, Saving Children took off in a big way through the adoption of the project, first by Regione Toscana, followed by the regions of Emilia-Romagna, Lazio, Friuli Venezia Giulia, Piemonte as well as by individuals and foundations from other European countries . Furthermore, the Israeli society contributes its share through discounting the cost of hospital services by 30%-50% off the Ministry of Health published tariff for Israeli patients.
The total financial value of services afforded by the project to-date is over €18,000,000 close to 50% of which has been contributed by the participating Israeli hospitals. Of this balance – over €7,000,000 were donated by the participating Italian regions, while about €2,000,000 were donated by a number of European and American foundations, institutions and individuals.
Saving Children does not merely reduce morbidity and mortality rates of Palestinian children, but its contribution to reconciliation between both civil societies – Israeli and Palestinian is most prominent. There is very little more emotive or appreciated cause than the saving of the life of a child, thus touching the life of an entire extended family.
domenica 10 ottobre 2010
premio exodus
sono di nuovo in partenza. venerdì all'alba
parteciperò a due premi, questo è uno,a La Spezia , mi senbra molto interessante , per chi abita in zona. e anche per chi non abita in zona....
http://www.premioexodus.it/index.php
EXODUS 2010 DECIMA EDIZIONE
Programma:
MERCOLEDI' 20 OTTOBRE.
Anteprima Exodus- Sezione Exodus Arte
CAMeC dalle ore 18.00:
Primo piano-Inaugurazione Mostra di Guido Ceronetti "Ti saluto mio secolo crudele"- con inediti
A cura di Marzia Ratti e Francesca V. Sommovigo
in collaborazione con il Fondo Ceronetti di Lugano, Diretto da Diana Rueesch.
Sarà presente l'Autore
Sala conferenze-"Io ricordo Exodus"-
Apertura Spazio video.
Proiezione di una selezione dei filmati esistenti e presentazione dei materiali dell'archivio di testimonianze raccolte durante il Progetto "Io ricordo Exodus".
A cura delle Istituzione per i Servizi Culturali del Comune della Spezia - Archivi Multimediali Sergio Fregoso.
Ideazione e curate da Marzia Ratti, Direttore Istituzione per i Servizi Culturali.
Collaborazione archivistica Maurizio Cavalli.
Interverranno: Marzia Ratti; Maurizio Cavalli; Don Gianni Botto- Fondatore del Gruppo Samuel della Spezia.
All'esterno della sala sarà possibile acquisire tramite offerta libera il dvd dal titolo "La Spezia porta di Sion"-
Incredibile documento Prodotto dal Gruppo Samuel e realizzato dal Gruppo Eliogabalo nel 2006.
Piano terra- "1014 una storia di uomini e numeri" Installazione multimediale sulla partenza degli ebrei dal Golfo della Spezia
Inaugurazione Installazione Museale Multimediale Interattiva di Paolo Ranieri e Beatrice Meoni
Consulenza storica di Maurizio Fiorillo
GIOVEDI' 21 OTTOBRE
Sala Dante ore 17.00
Inaugurazione Ufficiale Premio Exodus
Interverranno:
Angelo Berlangieri- Assessore alla Cultura Regione Liguria
Cinzia Aloisini- Presidente delle Istituzione per i Servizi Culturali della Spezia
Rav Roberto della Rocca- Direttore del Dipartimento Educazione e Cultura dell'UCEI ( Unione Comunità Ebraiche Italiane).
Exodus-La Spezia. Un ponte fra culture, esperienze e religioni: Stretta di mano fra realtà differenti:
Andrea Gottfried- Responsabile di Nessiah- Festival Internazionale di Musiche e Cultura Ebraica. Pisa (Toscana)
Elio Carmi- Antonio Monaco- Responsabili di Oy Oy Oy- Festival Internazionale di Cultura Ebraica. Casale Monferrato (Piemonte).
Menzione Speciale: Decennale di Exodus-
Consegna premio onorifico* a Adolfo Aharon Croccolo, Responsabile del culto della Comunità Ebraica della Spezia.
A seguire: Exodus Incontra ed Ascolta la Testimone dell'Olocausto: Liliana Segre.
Gli incontri dell'intera giornata saranno condotti da Lucia Marchiò- Giornalista de La Repubblica (Ge).
Teatro Civico- Ore 21.15 Una serata con Guido Ceronetti.
Programma: In esclusiva per Exodus: "Il Pensiero-Parola, è Carezza".
Proiezione di un estratto del Documento di Video/Intervista con Guido Ceronetti, realizzato nei mesi da giugno a settmbre 2010 per Exodus.
Progetto e realizzazione Francesca V. Sommovigo. Riprese e Montaggio Sacha Beverini. Fotografie Gianluca Ghinolfi.
A seguire: Un Tempo per parlare-Kairos:
Incontro dal vivo con lo scrittore Guido Ceronetti intervistato dal Vinicio Capossela, musicista
Letture del Maestro Ceronetti dal Qhoelet, da Isaac Singer, Martin Buber, Franz Kafka, David Grossman ed altri
Accompagnato dal suo musicista ed Attore Luca Mauceri detto Baruk
VENERDI' 22 OTTOBRE
Sala Dante-Ore 10.00
Gli autori di Exodus Incontrano il Pubblico e Gli studenti degli Ist. Medi e Superiori Cittadini in:
Religioni che parlano in giro-Tondo. Incontro sul dialogo possibile fra religioni diverse sul tema dell'Esilio.
Coordina Marco Politi-Scrittore, giornalista e vaticanista. Esperto di comunicazione religiosa.
Intervengono:
Kensur Rinpoce Ciampa Tegchock - membro del collegio, nominato abate direttamente da S: Santità il Dalai Lama, Esule in Italia, è uno dei più grandi esponenti del buddismo tibetano in Italia.
Rav Roberto della Rocca- Direttore Dipartimento Educazione e Cultura Ucei
Izzedin Elzir- Responsabile Ucoii ( Unione Comunità Islamiche Italiane).
Claudio Vercelli- Storico di cooperazione e relazioni religiose internazionali.
Letizia Tommasone: Esponente delegata della Consulta delle Comunità religiose della Spezia.
Centro Allende. Ore 15.00.
Progetto speciale a cura della Consulta delle Comunità religiose della Spezia:
"Voci d'esilio: storie e Spiritualità".
Spettacolo e incontri con musiche e danze per la rappresentazione e la spiegazione del tema dell'esilio nelle diverse religioni.
Con i vari esponenti delle minoranze della Consulta.
Sala Dante. Ore 17.00. Convegno aperto al Pubblico:
"Il Segno dell'Esilio ha la forma della Diversità" .
Intervengono:
Marco Politi- L'Esilio come rinascita dell'Eroe.
Anna Foa- L'Esilio come opportunità letteraria.
Manuela Dviri Vitali Norsa- L'Esilio del cuore nella perdita di Sè.
Uno spazio verrà dedicato all'Associazione Internazionale Saving Children.
Urban Center. Ore 19.00.
Ugo Panella- Che io non veda mai più:
Alla presenza dell'autore:
Proiezione e commento di alcuni fra i più significativi reportage civili del fotoreporter internazionale
a seguito delle più importanti ONG mondiali.
Cinema il Nuovo.Ore 21.15.
Proiezione gratuita del Film "Free Zone"
di Amos Gitai.
A cura di Silvano Andreini.
SABATO 23 OTTOBRE.
Sala Dante.Ore 10.00.Convegno aperto al Pubblico:
"Il Segno dell'Esilio ha la forma della Diversità" .
Intervengono: Eugenio Borgna.Le emozioni dell'Esilio respirano ad Arte.
Umberto Veronesi- La Pace come metodo sceintifico Antidoto "naturale contro ogni Esilio.
Uno spazio à dedicato alla Associazione Internazionale Science for Peace.
Centro Allende.Ore 16.30.
Exodus incontra la incredibile testimonianza di Perdono di Eva Kor Mozes
Superstite dell'olocausto e dei terribili esperimenti sui gemelli del dottor Mengele- il "dottor Morte",
Per imparare a sopravvivere, ricordare e perdonare l'Orrore.
Continuando ad esserne Memoria.
Teatro Civico. Ore 17.30.
CERIMONIA UFFICIALE DI CONSEGNA DEL PREMIO EXODUS 2010-X EDIZIONE A:
SHIRIN EBADI- PREMIO* EXODUS 2010
(già premio Nobel per la Pace 2003)
Accompagnata dalla Sua Assistente ed Interprete simultanea Ella Mohammadi
Un toccante Intervento sul tema dell'Esilio del Pensiero- per un Futuro di Pace.
Interverrano alla cerimonia di premiazione:
Claudio Burlando-Presidente Regione Liguria
Massimo Federici- Sindaco della Spezia
Adolfo Aharon Croccolo- Responsabile del Culto delle Comunità Ebraiche della Spezia.
Seguirà i rituali formali della Premiazione il Maestro Cerimoniere del Comune della Spezia ( qui lascia lo spazio per il nome).
Le Opere-Premio sono state realizzate dall'artista Cosimo Cimino.
Tutti gli eventi sono ad ingresso completamente gratuito.
Per informazioni:
www.premioexodus.it
info@premioexodus.it
Direzione Artistica:
Francesca V. Sommovigo
DiStanzeSnc@gmail.com
Presidenza delle Istituzioni Culturali della Spezia
Museo CAMeC-Segreteria della Presidenza
Referente info Premio Exodus Rosanna Volpi
Centro Arte Moderna e Contemporanea
Piazza C. Battisti 1 - 19121 La Spezia
tel +39 0187 734593 fax +39 0187 256773
Ufficio Stampa Comune della Spezia:
Luca della Torre (luca.dellatorre@comune.sp.it)
Federica Stellini (federica.stellini@comune.sp.it)
Telefono: 0187 727 324 - 0187 727 328
Fax: 0187 778 293
email: ufficiostampa@comune.sp.it
parteciperò a due premi, questo è uno,a La Spezia , mi senbra molto interessante , per chi abita in zona. e anche per chi non abita in zona....
http://www.premioexodus.it/index.php
EXODUS 2010 DECIMA EDIZIONE
Programma:
MERCOLEDI' 20 OTTOBRE.
Anteprima Exodus- Sezione Exodus Arte
CAMeC dalle ore 18.00:
Primo piano-Inaugurazione Mostra di Guido Ceronetti "Ti saluto mio secolo crudele"- con inediti
A cura di Marzia Ratti e Francesca V. Sommovigo
in collaborazione con il Fondo Ceronetti di Lugano, Diretto da Diana Rueesch.
Sarà presente l'Autore
Sala conferenze-"Io ricordo Exodus"-
Apertura Spazio video.
Proiezione di una selezione dei filmati esistenti e presentazione dei materiali dell'archivio di testimonianze raccolte durante il Progetto "Io ricordo Exodus".
A cura delle Istituzione per i Servizi Culturali del Comune della Spezia - Archivi Multimediali Sergio Fregoso.
Ideazione e curate da Marzia Ratti, Direttore Istituzione per i Servizi Culturali.
Collaborazione archivistica Maurizio Cavalli.
Interverranno: Marzia Ratti; Maurizio Cavalli; Don Gianni Botto- Fondatore del Gruppo Samuel della Spezia.
All'esterno della sala sarà possibile acquisire tramite offerta libera il dvd dal titolo "La Spezia porta di Sion"-
Incredibile documento Prodotto dal Gruppo Samuel e realizzato dal Gruppo Eliogabalo nel 2006.
Piano terra- "1014 una storia di uomini e numeri" Installazione multimediale sulla partenza degli ebrei dal Golfo della Spezia
Inaugurazione Installazione Museale Multimediale Interattiva di Paolo Ranieri e Beatrice Meoni
Consulenza storica di Maurizio Fiorillo
GIOVEDI' 21 OTTOBRE
Sala Dante ore 17.00
Inaugurazione Ufficiale Premio Exodus
Interverranno:
Angelo Berlangieri- Assessore alla Cultura Regione Liguria
Cinzia Aloisini- Presidente delle Istituzione per i Servizi Culturali della Spezia
Rav Roberto della Rocca- Direttore del Dipartimento Educazione e Cultura dell'UCEI ( Unione Comunità Ebraiche Italiane).
Exodus-La Spezia. Un ponte fra culture, esperienze e religioni: Stretta di mano fra realtà differenti:
Andrea Gottfried- Responsabile di Nessiah- Festival Internazionale di Musiche e Cultura Ebraica. Pisa (Toscana)
Elio Carmi- Antonio Monaco- Responsabili di Oy Oy Oy- Festival Internazionale di Cultura Ebraica. Casale Monferrato (Piemonte).
Menzione Speciale: Decennale di Exodus-
Consegna premio onorifico* a Adolfo Aharon Croccolo, Responsabile del culto della Comunità Ebraica della Spezia.
A seguire: Exodus Incontra ed Ascolta la Testimone dell'Olocausto: Liliana Segre.
Gli incontri dell'intera giornata saranno condotti da Lucia Marchiò- Giornalista de La Repubblica (Ge).
Teatro Civico- Ore 21.15 Una serata con Guido Ceronetti.
Programma: In esclusiva per Exodus: "Il Pensiero-Parola, è Carezza".
Proiezione di un estratto del Documento di Video/Intervista con Guido Ceronetti, realizzato nei mesi da giugno a settmbre 2010 per Exodus.
Progetto e realizzazione Francesca V. Sommovigo. Riprese e Montaggio Sacha Beverini. Fotografie Gianluca Ghinolfi.
A seguire: Un Tempo per parlare-Kairos:
Incontro dal vivo con lo scrittore Guido Ceronetti intervistato dal Vinicio Capossela, musicista
Letture del Maestro Ceronetti dal Qhoelet, da Isaac Singer, Martin Buber, Franz Kafka, David Grossman ed altri
Accompagnato dal suo musicista ed Attore Luca Mauceri detto Baruk
VENERDI' 22 OTTOBRE
Sala Dante-Ore 10.00
Gli autori di Exodus Incontrano il Pubblico e Gli studenti degli Ist. Medi e Superiori Cittadini in:
Religioni che parlano in giro-Tondo. Incontro sul dialogo possibile fra religioni diverse sul tema dell'Esilio.
Coordina Marco Politi-Scrittore, giornalista e vaticanista. Esperto di comunicazione religiosa.
Intervengono:
Kensur Rinpoce Ciampa Tegchock - membro del collegio, nominato abate direttamente da S: Santità il Dalai Lama, Esule in Italia, è uno dei più grandi esponenti del buddismo tibetano in Italia.
Rav Roberto della Rocca- Direttore Dipartimento Educazione e Cultura Ucei
Izzedin Elzir- Responsabile Ucoii ( Unione Comunità Islamiche Italiane).
Claudio Vercelli- Storico di cooperazione e relazioni religiose internazionali.
Letizia Tommasone: Esponente delegata della Consulta delle Comunità religiose della Spezia.
Centro Allende. Ore 15.00.
Progetto speciale a cura della Consulta delle Comunità religiose della Spezia:
"Voci d'esilio: storie e Spiritualità".
Spettacolo e incontri con musiche e danze per la rappresentazione e la spiegazione del tema dell'esilio nelle diverse religioni.
Con i vari esponenti delle minoranze della Consulta.
Sala Dante. Ore 17.00. Convegno aperto al Pubblico:
"Il Segno dell'Esilio ha la forma della Diversità" .
Intervengono:
Marco Politi- L'Esilio come rinascita dell'Eroe.
Anna Foa- L'Esilio come opportunità letteraria.
Manuela Dviri Vitali Norsa- L'Esilio del cuore nella perdita di Sè.
Uno spazio verrà dedicato all'Associazione Internazionale Saving Children.
Urban Center. Ore 19.00.
Ugo Panella- Che io non veda mai più:
Alla presenza dell'autore:
Proiezione e commento di alcuni fra i più significativi reportage civili del fotoreporter internazionale
a seguito delle più importanti ONG mondiali.
Cinema il Nuovo.Ore 21.15.
Proiezione gratuita del Film "Free Zone"
di Amos Gitai.
A cura di Silvano Andreini.
SABATO 23 OTTOBRE.
Sala Dante.Ore 10.00.Convegno aperto al Pubblico:
"Il Segno dell'Esilio ha la forma della Diversità" .
Intervengono: Eugenio Borgna.Le emozioni dell'Esilio respirano ad Arte.
Umberto Veronesi- La Pace come metodo sceintifico Antidoto "naturale contro ogni Esilio.
Uno spazio à dedicato alla Associazione Internazionale Science for Peace.
Centro Allende.Ore 16.30.
Exodus incontra la incredibile testimonianza di Perdono di Eva Kor Mozes
Superstite dell'olocausto e dei terribili esperimenti sui gemelli del dottor Mengele- il "dottor Morte",
Per imparare a sopravvivere, ricordare e perdonare l'Orrore.
Continuando ad esserne Memoria.
Teatro Civico. Ore 17.30.
CERIMONIA UFFICIALE DI CONSEGNA DEL PREMIO EXODUS 2010-X EDIZIONE A:
SHIRIN EBADI- PREMIO* EXODUS 2010
(già premio Nobel per la Pace 2003)
Accompagnata dalla Sua Assistente ed Interprete simultanea Ella Mohammadi
Un toccante Intervento sul tema dell'Esilio del Pensiero- per un Futuro di Pace.
Interverrano alla cerimonia di premiazione:
Claudio Burlando-Presidente Regione Liguria
Massimo Federici- Sindaco della Spezia
Adolfo Aharon Croccolo- Responsabile del Culto delle Comunità Ebraiche della Spezia.
Seguirà i rituali formali della Premiazione il Maestro Cerimoniere del Comune della Spezia ( qui lascia lo spazio per il nome).
Le Opere-Premio sono state realizzate dall'artista Cosimo Cimino.
Tutti gli eventi sono ad ingresso completamente gratuito.
Per informazioni:
www.premioexodus.it
info@premioexodus.it
Direzione Artistica:
Francesca V. Sommovigo
DiStanzeSnc@gmail.com
Presidenza delle Istituzioni Culturali della Spezia
Museo CAMeC-Segreteria della Presidenza
Referente info Premio Exodus Rosanna Volpi
Centro Arte Moderna e Contemporanea
Piazza C. Battisti 1 - 19121 La Spezia
tel +39 0187 734593 fax +39 0187 256773
Ufficio Stampa Comune della Spezia:
Luca della Torre (luca.dellatorre@comune.sp.it)
Federica Stellini (federica.stellini@comune.sp.it)
Telefono: 0187 727 324 - 0187 727 328
Fax: 0187 778 293
email: ufficiostampa@comune.sp.it
articolo di barbara spinelli
LA STAMPA, 10.10.2010
Il giornalismo davanti a un incrocio
BARBARA SPINELLI
Se apocalisse significa letteralmente ritiro del velo che copre le cose, quella che viviamo in Italia è l’apocalisse del giornalismo: è giornalismo denudato, svelato. È giornalismo che si trova davanti a un incrocio: se si fa forte, rinasce e ritrova lettori; se si compiace del proprio ruolo di golem della politica, perde i lettori per il semplice motivo che non ha mai pensato a loro. Diciamo subito che il male oltrepassa la piccola storia del Giornale di Sallusti e Feltri, nonostante la piccola storia sia tutt’altro che irrilevante: se la redazione è stata perquisita come fosse un covo di banditi, è perché da tempo il quotidiano si conduce in modo tale da suscitare sospetti, apprensione.
I suoi vertici orchestrano campagne di distruzione che colpiscono uno dopo l’altro chiunque osi criticare i proprietari della testata (la famiglia Berlusconi, il cui capo è premier): prima vennero le calunnie contro Veronica Lario, poi contro Dino Boffo direttore dell’Avvenire, poi per mesi contro Fini, adesso contro il presidente della Confindustria Emma Marcegaglia. Il male oltrepassa questa catena di operazioni belliche perché tutti i giornali scritti sono oggi al bivio.
La crisi è mondiale, i lettori si disaffezionano e invecchiano, i giovani cercano notizie su altre fonti: blog, giornali online. Philip Meyer, professore di giornalismo all’Università della Carolina del Nord, sostiene che l’ultimo quotidiano cartaceo uscirà nel 2040.
Viviamo dunque gli ultimi giorni della stampa scritta e vale la pena meditarli in un Paese, l’Italia, che li vive così male. Per questo le aggressioni a Fini e alla Marcegaglia sono decisive, vanno studiate come casi esemplari. Si dirà che è storia antica, che da sempre il giornalismo sfiora il sensazionalismo. Alla fine dell’800, chi scriveva senza verificare le fonti veniva chiamato yellow journalist, e i primi giornalisti-liquidatori innamorati del proprio potere politico furono Joseph Pulitzer e William Hearst (Citizen Kane nel film di Orson Welles).
Perché giornalismo giallo? Perché un vignettista di Pulitzer aveva dato questo nome - yellow kid - al protagonista dei propri fumetti. Ma quelli erano gli inizi del grande giornalismo, fatto anche di preziose inchieste. Perfino il compassato Economist apprezzava la cosiddetta furia mediatica. Negli Anni 50, il direttore Geoffrey Crowther prescrisse ai redattori il motto seguente: «Semplifica, e poi esagera» (simplify, then exaggerate).
Ora tuttavia non siamo agli inizi ma alla fine di una grande avventura. Per ogni giornale stampato è apocalisse, e a ogni giornalista tocca esaminarsi allo specchio e interrogarsi sulla professione che ha scelto, sul perché intende continuare, su quel che vuol difendere e in primis: su chi sono gli interlocutori che cerca, cui sarà fedele. Nel declino gli animi tendono a agitarsi ancora più scompostamente, e questo spiega lo squasso morale di tante testate (e tante teste) legate al magnate dei media che è Berlusconi. Se quest’ultimo volesse davvero governare normalmente, come pretende, dovrebbe interiorizzare le norme che intelaiano la democrazia e non solo rinunciare agli scudi che lo immunizzano dai processi ma ai tanti, troppi mezzi di comunicazione che possiede. Lo dovrebbe per rispetto della carica che ricopre. Aiuterebbe l’informazione a rinascere, a uscire meglio dalla crisi che comunque traversa.
Chi scrive queste righe, si è sforzato di avere come sola bussola i lettori: non sempre con successo, ma sempre tentando una risposta alle loro domande. Ritengo che il lettore influenzi il giornalista più di quanto il giornalista influenzi il pubblico: in ogni conversazione, l’ascoltatore ha una funzione non meno maieutica di chi parla. Per un professionista che ami investigare sulla verità dei fatti, questo legame con chi lo legge prevale su ogni altro legame, con politici o colleghi. Una tavola rotonda fra giornalisti, senza lettori, ha qualcosa di osceno.
Tanto più sono colpita dalla condotta di esponenti del nostro mestiere che sembrano appartenere alle bande mafiose dei romanzi di Chandler. Nella loro distruttività usano la parola, i dossier o le foto alla stregua di pistole. Minacciano, prima ancora di mettersi davanti al computer.
Soprattutto, gridano alla libertà di stampa assediata, quando il velo cade e li svela. Hanno ragione quando difendono il diritto alle inchieste più trasgressive, e sempre può capitare l’errore: chi non sbaglia mai non è un reporter. Quel che non si può fare, è telefonare alla persona su cui s’indaga e intimidirla, promettendo di non agire in cambio di qualcosa. In tal caso non è inchiesta ma ricatto, seguito semmai da vendetta. È qui che entriamo nel romanzo criminale, nella logica non dell’articolo ma del pizzino. Il giornalista Lonnie Morgan dice a Marlowe, nel Lungo Addio: «Per come la penso io, bloccare le indagini su un omicidio con una telefonata e bloccarle stendendo il testimone è solo questione di metodo. La civiltà storce il naso in entrambi i casi».
Conviene ascoltare e riascoltare le parole pronunciate dai vertici del Giornale, perché inaudita è la violenza che emanano. Sentiamo quel che il vicedirettore Porro dice al telefono, pochi minuti dopo aver spedito un minatorio sms, a Rinaldo Arpisella, portavoce della Marcegaglia: «Ora ci divertiamo, per venti giorni romperemo il c... alla Marcegaglia come pochi al mondo. Abbiamo spostato i segugi da Montecarlo a Mantova». Perché? «Perché non sembra berlusconiana,... e non ci ha mai filati». Porro s’è presentato tempo fa in tv come «volto umano» del quotidiano (la «belva umana» è secondo lui Sallusti). Il presidente della Confindustria, come Boffo o Fini, ha criticato il premier: questo peccato mortale, non altri ritenuti veniali, indigna i giornalisti-vendicatori.
Il turpiloquio non è perseguibile: alla cornetta si dicono tante cose. Quel che è scandaloso viene dopo la telefonata. Spaventata dai malavitosi avvertimenti, la Marcegaglia telefona a Confalonieri, presidente di Mediaset e consigliere d’amministrazione del Giornale. Confalonieri telefona a Feltri, direttore editoriale. Si ottiene un accordo. Si parlerà della Marcegaglia, ma con cura: pubblicando magari articoli, fin qui ignorati, di altri giornali. È così che il giornalista si tramuta in smistatore di pizzini, e demolitore della propria professione.
Quello del giornalista è un bel mestiere con brutte abitudini, e tale doppiezza gli sta accanto sempre. È qui che l’occhio del lettore aiuta a star diritti, a non farsi usare: è il lettore il suo sovrano, anche se la maggior parte dei giornali dipende purtroppo, in Italia, da industriali e non da editori. Berlusconi ha reso più che mai evidente un vizio ben antico. Così come lui carezza la sovranità del popolo senza rispettarlo, così rischiamo di fare noi con i lettori. Rispettarli è l’unica via per lottare contro la nostra fine, e le opportunità non mancano: è il resoconto veritiero, è smascherare le falsità. È servire la persona che ancora acquista giornali. Ci vuole qualcuno che trattenga l’apocalisse, cioè l’avvento dell’anomia, dell’illegalità generalizzata: un katéchon, come nella seconda lettera di Paolo ai Tessalonicesi (2,6-7).
Il giornalista che aspira a «trattenere» lo squasso è in costante stato di Lungo Addio, come il private eye di Chandler. Il suo è un addio alle manipolazioni, alle congetture infondate, alla politica da cui è usato, ai tempi del Palazzo, a tutto ciò che lo allontana da tanti lettori che perdono interesse nei giornali scritti, troppo costosi per esser liberi. Chi vive nella coscienza d’un commiato sempre incombente sa che c’è un solo modo di congedarsi dalle male educazioni del mestiere: solo se il Lungo Addio, come per Philip Marlowe, ignora le bombe a orologeria ed è «triste, solitario e finale».
Il giornalismo davanti a un incrocio
BARBARA SPINELLI
Se apocalisse significa letteralmente ritiro del velo che copre le cose, quella che viviamo in Italia è l’apocalisse del giornalismo: è giornalismo denudato, svelato. È giornalismo che si trova davanti a un incrocio: se si fa forte, rinasce e ritrova lettori; se si compiace del proprio ruolo di golem della politica, perde i lettori per il semplice motivo che non ha mai pensato a loro. Diciamo subito che il male oltrepassa la piccola storia del Giornale di Sallusti e Feltri, nonostante la piccola storia sia tutt’altro che irrilevante: se la redazione è stata perquisita come fosse un covo di banditi, è perché da tempo il quotidiano si conduce in modo tale da suscitare sospetti, apprensione.
I suoi vertici orchestrano campagne di distruzione che colpiscono uno dopo l’altro chiunque osi criticare i proprietari della testata (la famiglia Berlusconi, il cui capo è premier): prima vennero le calunnie contro Veronica Lario, poi contro Dino Boffo direttore dell’Avvenire, poi per mesi contro Fini, adesso contro il presidente della Confindustria Emma Marcegaglia. Il male oltrepassa questa catena di operazioni belliche perché tutti i giornali scritti sono oggi al bivio.
La crisi è mondiale, i lettori si disaffezionano e invecchiano, i giovani cercano notizie su altre fonti: blog, giornali online. Philip Meyer, professore di giornalismo all’Università della Carolina del Nord, sostiene che l’ultimo quotidiano cartaceo uscirà nel 2040.
Viviamo dunque gli ultimi giorni della stampa scritta e vale la pena meditarli in un Paese, l’Italia, che li vive così male. Per questo le aggressioni a Fini e alla Marcegaglia sono decisive, vanno studiate come casi esemplari. Si dirà che è storia antica, che da sempre il giornalismo sfiora il sensazionalismo. Alla fine dell’800, chi scriveva senza verificare le fonti veniva chiamato yellow journalist, e i primi giornalisti-liquidatori innamorati del proprio potere politico furono Joseph Pulitzer e William Hearst (Citizen Kane nel film di Orson Welles).
Perché giornalismo giallo? Perché un vignettista di Pulitzer aveva dato questo nome - yellow kid - al protagonista dei propri fumetti. Ma quelli erano gli inizi del grande giornalismo, fatto anche di preziose inchieste. Perfino il compassato Economist apprezzava la cosiddetta furia mediatica. Negli Anni 50, il direttore Geoffrey Crowther prescrisse ai redattori il motto seguente: «Semplifica, e poi esagera» (simplify, then exaggerate).
Ora tuttavia non siamo agli inizi ma alla fine di una grande avventura. Per ogni giornale stampato è apocalisse, e a ogni giornalista tocca esaminarsi allo specchio e interrogarsi sulla professione che ha scelto, sul perché intende continuare, su quel che vuol difendere e in primis: su chi sono gli interlocutori che cerca, cui sarà fedele. Nel declino gli animi tendono a agitarsi ancora più scompostamente, e questo spiega lo squasso morale di tante testate (e tante teste) legate al magnate dei media che è Berlusconi. Se quest’ultimo volesse davvero governare normalmente, come pretende, dovrebbe interiorizzare le norme che intelaiano la democrazia e non solo rinunciare agli scudi che lo immunizzano dai processi ma ai tanti, troppi mezzi di comunicazione che possiede. Lo dovrebbe per rispetto della carica che ricopre. Aiuterebbe l’informazione a rinascere, a uscire meglio dalla crisi che comunque traversa.
Chi scrive queste righe, si è sforzato di avere come sola bussola i lettori: non sempre con successo, ma sempre tentando una risposta alle loro domande. Ritengo che il lettore influenzi il giornalista più di quanto il giornalista influenzi il pubblico: in ogni conversazione, l’ascoltatore ha una funzione non meno maieutica di chi parla. Per un professionista che ami investigare sulla verità dei fatti, questo legame con chi lo legge prevale su ogni altro legame, con politici o colleghi. Una tavola rotonda fra giornalisti, senza lettori, ha qualcosa di osceno.
Tanto più sono colpita dalla condotta di esponenti del nostro mestiere che sembrano appartenere alle bande mafiose dei romanzi di Chandler. Nella loro distruttività usano la parola, i dossier o le foto alla stregua di pistole. Minacciano, prima ancora di mettersi davanti al computer.
Soprattutto, gridano alla libertà di stampa assediata, quando il velo cade e li svela. Hanno ragione quando difendono il diritto alle inchieste più trasgressive, e sempre può capitare l’errore: chi non sbaglia mai non è un reporter. Quel che non si può fare, è telefonare alla persona su cui s’indaga e intimidirla, promettendo di non agire in cambio di qualcosa. In tal caso non è inchiesta ma ricatto, seguito semmai da vendetta. È qui che entriamo nel romanzo criminale, nella logica non dell’articolo ma del pizzino. Il giornalista Lonnie Morgan dice a Marlowe, nel Lungo Addio: «Per come la penso io, bloccare le indagini su un omicidio con una telefonata e bloccarle stendendo il testimone è solo questione di metodo. La civiltà storce il naso in entrambi i casi».
Conviene ascoltare e riascoltare le parole pronunciate dai vertici del Giornale, perché inaudita è la violenza che emanano. Sentiamo quel che il vicedirettore Porro dice al telefono, pochi minuti dopo aver spedito un minatorio sms, a Rinaldo Arpisella, portavoce della Marcegaglia: «Ora ci divertiamo, per venti giorni romperemo il c... alla Marcegaglia come pochi al mondo. Abbiamo spostato i segugi da Montecarlo a Mantova». Perché? «Perché non sembra berlusconiana,... e non ci ha mai filati». Porro s’è presentato tempo fa in tv come «volto umano» del quotidiano (la «belva umana» è secondo lui Sallusti). Il presidente della Confindustria, come Boffo o Fini, ha criticato il premier: questo peccato mortale, non altri ritenuti veniali, indigna i giornalisti-vendicatori.
Il turpiloquio non è perseguibile: alla cornetta si dicono tante cose. Quel che è scandaloso viene dopo la telefonata. Spaventata dai malavitosi avvertimenti, la Marcegaglia telefona a Confalonieri, presidente di Mediaset e consigliere d’amministrazione del Giornale. Confalonieri telefona a Feltri, direttore editoriale. Si ottiene un accordo. Si parlerà della Marcegaglia, ma con cura: pubblicando magari articoli, fin qui ignorati, di altri giornali. È così che il giornalista si tramuta in smistatore di pizzini, e demolitore della propria professione.
Quello del giornalista è un bel mestiere con brutte abitudini, e tale doppiezza gli sta accanto sempre. È qui che l’occhio del lettore aiuta a star diritti, a non farsi usare: è il lettore il suo sovrano, anche se la maggior parte dei giornali dipende purtroppo, in Italia, da industriali e non da editori. Berlusconi ha reso più che mai evidente un vizio ben antico. Così come lui carezza la sovranità del popolo senza rispettarlo, così rischiamo di fare noi con i lettori. Rispettarli è l’unica via per lottare contro la nostra fine, e le opportunità non mancano: è il resoconto veritiero, è smascherare le falsità. È servire la persona che ancora acquista giornali. Ci vuole qualcuno che trattenga l’apocalisse, cioè l’avvento dell’anomia, dell’illegalità generalizzata: un katéchon, come nella seconda lettera di Paolo ai Tessalonicesi (2,6-7).
Il giornalista che aspira a «trattenere» lo squasso è in costante stato di Lungo Addio, come il private eye di Chandler. Il suo è un addio alle manipolazioni, alle congetture infondate, alla politica da cui è usato, ai tempi del Palazzo, a tutto ciò che lo allontana da tanti lettori che perdono interesse nei giornali scritti, troppo costosi per esser liberi. Chi vive nella coscienza d’un commiato sempre incombente sa che c’è un solo modo di congedarsi dalle male educazioni del mestiere: solo se il Lungo Addio, come per Philip Marlowe, ignora le bombe a orologeria ed è «triste, solitario e finale».
sabato 9 ottobre 2010
marcello (uscito su gq)
Mi sono addormentata guardando uno di quei cretini film americani pieni di pompati e palestrati e mi sono svegliata, chissà perché, con una grande nostalgia di Marcello Mastroianni.
Ho continuato a sognarmelo a occhi aperti, il giorno dopo, appena scesa dal volo da Tel Aviv e poi sudando su un treno da Milano a Parma, che era, a dir poco, bollente (si era rotta l’aria condizionata).
Lui di certo non avrebbe sudato, o forse non sarebbe salito tout court su quel treno, mi son detta amaramente. Chissà. Dopotutto era di un’altra generazione. Aveva l’età di mia madre.
Non era bellissimo, il grande Marcello, come muscoli non mi sembrava un granché, ma quando ti guardava con quei grandi occhi liquidi scuri da cucciolo sperduto e ti parlava con la sua voce modulata, leggermente nasale, non c’era donna al mondo che non sarebbe caduta ai suoi piedi, e sue furono, infatti, le donne più desiderate e le più belle del mondo.
Forse non era neanche un grande attore, in fondo era sempre lui e solo lui, sapeva recitare bene solo stesso, ma quello bastava. Era ironico, intelligente, consapevole, pigro, indifeso, bugiardo, distaccato, vulnerabile, sincero: era il nuovo maschio italiano.
Lo era anche nell’eleganza, molto diversa da quella della generazione precedente che portava vestito grigio, cravatta e cappello, mentre lui vestiva con disinvoltura la giacca blu e sotto la maglietta con il collo alto che da allora sarebbe diventata per sempre la “dolce vita”; in “Divorzio all’italiana”, fu la volta degli occhiali da sole Persol 469, che sarebbero poi diventati noti ovunque, come fu famosa la Triumph che guidava nella “Dolce Vita”.
Il più simile a lui, oggi, è forse George Clooney, il bel maschio con gli occhi assassini e la voce un po’ roca, che quando, alcuni giorni fa, si è presentato in tribunale a Milano come parte lesa in un processo, è stato aggredito da un’orda di femmine in calore tanto da far prendere paura al giudice.
Solo, che, ahimè, su George da tempo girano insistenti voci, malgrado le apparenze, sulle sue preferenze sessuali.
Che girano da anni anche su Richard Gere (ma io non ci credo assolutamente!), che, se da giovane era machissimo, oggi, con i suoi bei capelli bianchi candidi, gli occhiali da vista e l’aria un po’ sperduta del miope, è di un fascino che ti lascia senza parole, secondo me molto, ma molto maggiore, di quando faceva l’“American Gigolò” o “L’ufficiale Gentiluomo”. Ho avuto anche il piacere di incontrarlo ben tre (3!!!) volte e di chiacchierare con lui a lungo, e malgrado abbia un bel nasone e due occhietti niente di che, quando sorride, è come se gli si accendesse una luce negli occhi e il sole splendesse, improvvisamente, molto di più, e solo per te. Gli perdoneresti qualsiasi cosa.
Mai visto nulla di simile negli occhi di un Rambo o di uno Schwarzenegger o di un mister Muscolo unto tutto d’olio che sembra sia lì lì per esplodere. E anche i Chippendales, che secondo Brad Pitt, al bel Clooney piacciono da matti (ma io non ci credo), a me non fanno né caldo né freddo.
Mi sembra, ma son quasi sicura di sbagliarmi, che piacciano più ai maschi che a noi femmine.
O mi sbaglio?
Di certo, il bel Marcello non li avrebbe degnati di uno sguardo.
Ho continuato a sognarmelo a occhi aperti, il giorno dopo, appena scesa dal volo da Tel Aviv e poi sudando su un treno da Milano a Parma, che era, a dir poco, bollente (si era rotta l’aria condizionata).
Lui di certo non avrebbe sudato, o forse non sarebbe salito tout court su quel treno, mi son detta amaramente. Chissà. Dopotutto era di un’altra generazione. Aveva l’età di mia madre.
Non era bellissimo, il grande Marcello, come muscoli non mi sembrava un granché, ma quando ti guardava con quei grandi occhi liquidi scuri da cucciolo sperduto e ti parlava con la sua voce modulata, leggermente nasale, non c’era donna al mondo che non sarebbe caduta ai suoi piedi, e sue furono, infatti, le donne più desiderate e le più belle del mondo.
Forse non era neanche un grande attore, in fondo era sempre lui e solo lui, sapeva recitare bene solo stesso, ma quello bastava. Era ironico, intelligente, consapevole, pigro, indifeso, bugiardo, distaccato, vulnerabile, sincero: era il nuovo maschio italiano.
Lo era anche nell’eleganza, molto diversa da quella della generazione precedente che portava vestito grigio, cravatta e cappello, mentre lui vestiva con disinvoltura la giacca blu e sotto la maglietta con il collo alto che da allora sarebbe diventata per sempre la “dolce vita”; in “Divorzio all’italiana”, fu la volta degli occhiali da sole Persol 469, che sarebbero poi diventati noti ovunque, come fu famosa la Triumph che guidava nella “Dolce Vita”.
Il più simile a lui, oggi, è forse George Clooney, il bel maschio con gli occhi assassini e la voce un po’ roca, che quando, alcuni giorni fa, si è presentato in tribunale a Milano come parte lesa in un processo, è stato aggredito da un’orda di femmine in calore tanto da far prendere paura al giudice.
Solo, che, ahimè, su George da tempo girano insistenti voci, malgrado le apparenze, sulle sue preferenze sessuali.
Che girano da anni anche su Richard Gere (ma io non ci credo assolutamente!), che, se da giovane era machissimo, oggi, con i suoi bei capelli bianchi candidi, gli occhiali da vista e l’aria un po’ sperduta del miope, è di un fascino che ti lascia senza parole, secondo me molto, ma molto maggiore, di quando faceva l’“American Gigolò” o “L’ufficiale Gentiluomo”. Ho avuto anche il piacere di incontrarlo ben tre (3!!!) volte e di chiacchierare con lui a lungo, e malgrado abbia un bel nasone e due occhietti niente di che, quando sorride, è come se gli si accendesse una luce negli occhi e il sole splendesse, improvvisamente, molto di più, e solo per te. Gli perdoneresti qualsiasi cosa.
Mai visto nulla di simile negli occhi di un Rambo o di uno Schwarzenegger o di un mister Muscolo unto tutto d’olio che sembra sia lì lì per esplodere. E anche i Chippendales, che secondo Brad Pitt, al bel Clooney piacciono da matti (ma io non ci credo), a me non fanno né caldo né freddo.
Mi sembra, ma son quasi sicura di sbagliarmi, che piacciano più ai maschi che a noi femmine.
O mi sbaglio?
Di certo, il bel Marcello non li avrebbe degnati di uno sguardo.
venerdì 8 ottobre 2010
ed è di nuovo sabato
Per la prima volta a Tel Aviv oggi ha piovuto e il mare è mosso, ma fa ugualmente caldo.
Sono appena arrivate le gemelle ma le ho spedite al tempio con il nonno. Le amo molto ma mi stancano e comunque rimarranno qui fino a domani...
Ho aperto i giornali , coi supplementi del sabato : non c'è ottimismo ,I colloqui di pace per ora vanno malino, anzi male.
A propsito, due articoli usciti su vanity fair delle ultime due settimane
V A N I T Y F A I R I 2 9 . 0 9 . 2 0 1 0
In questi giorni di settembre, gli ebrei,
in Israele e nel mondo, festeggiano i
yamim noraim, i «giorni terribili» o
di «timore reverenziale», tra il Capodanno
ebraico e Yom Kippur, giornata
di digiuno, pentimento e introspezione.
La parabola talmudica racconta che in
questi giorni Dio fa passare davanti a lui,
per giudicarli, tutti gli uomini, e ognuno
potrà ricevere il perdono per i peccati
contro Dio, ma non per quelli verso altri
uomini, a meno che non sia stato ottenuto
il perdono della persona o esa.
Più o meno negli stessi giorni, cade anche
la festa musulmana di Eid ul-Fitr, che segna
la ne del digiuno del Ramadan, che,
secondo il Corano, è stato istituito perché
tutti i fedeli possano coltivare la pietà. Siamo
quindi in un momento simbolicamente
ideale per i colloqui di pace iniziati tra
israeliani e palestinesi. Il falco Netanyahu
ha persino a ermato solennemente di volere
mettere ne al con itto mediorientale
«una volta per tutte». Parole storiche,
dette da un leader della destra israeliana.
Anche se sulla politica degli insediamenti
la tensione non diminuisce. Tanto da
essere servita da «alibi» per l’ennesimo
assurdo massacro di quattro coloni israeliani.
Obama ha subito avvertito che a
nessuno sarà permesso di sabotare la ripresa
dei negoziati diretti. «Voglio che sia
chiaro a tutti», ha a ermato, «ad Hamas
e a chiunque rivendichi questi odiosi crimini,
che non ci fermeranno dal garantire
una pace duratura».
Sarà. Nessuno, qui in Medioriente, compresa
la sottoscritta, crede che la pace,
duratura o meno, esploderà, come promesso
da Obama, esattamente entro i
prossimi 11 mesi. Nessuno riesce più a
crederci. La retorica della pace ci lascia
ormai indi erenti. Troppe volte abbiamo
visto leader, ogni volta diversi, fare gli
stessi gesti, dire le stesse parole, seduti
allo stesso tavolo.
Eppure non mi arrendo. Non mi arrendo
assieme a tanti altri, a tutti coloro, qui
e nel mondo, che da anni lavorano dal
basso per il futuro degli abitanti di questa
nostra terra.
Non per ottimismo continuiamo, non
per ingenuità, persino non per idealismo,
ma perché non c’è veramente altra
scelta. La nostra è una sorta di preghiera
laica: «preghiamo» non per la Pace con
la maiuscola, parola ormai troppo usata,
troppo grande, diventata vuota a forza
di tradirla, ma per costruire un concreto
modello di convivenza. È chiedere troppo
in questi «giorni terribili»? Qualcuno
ci ascolta?
84 I V A N I T Y F A I R I 0 6 . 1 0 . 2 0 1 0
A sinistra un cimitero musulmano,
di fronte mare calmo e lucido,
nell’aria il profumo del
pane arabo appena cotto, sul
piazzale donne palestinesi col capo coperto
dal hijab chiacchierano con giovani
israeliane in jeans, uno sceicco vestito
di bianco si apparta con eleganti signori
in giacca e cravatta, orde di bambini
urlanti di tutti i colori e le nazionalità,
palestinesi, israeliani, africani, filippini,
russi, cinesi, scorrazzano ovunque leccando
un gelato.
No, non è la scena di un film di fantascienza
sulla futura pace in Medioriente,
e non sono morta e questo non è il paradiso:
è solo il modo in cui i ragazzi del
Centro Peres per la Pace hanno deciso
di festeggiare la Giornata internazionale
della pace (il 21 settembre), ovunque
dimenticata.
E così, mentre altrove signori in doppiopetto
discutevano di moratorie e colonie
nel nuovo giro di (per ora assai infelici)
colloqui di pace, un piccolo miracolo
avveniva sulla spiaggia di Jaffa: all’inizio
decine, poi centinaia e centinaia di bambini,
israeliani e palestinesi, musulmani,
ebrei e cristiani, si sistemavano tutt’intorno
per formare il simbolo della pace,
stretti uno accanto all’altro, sotto il sole,
ridendo e scalciando, sventolando al
cielo lenzuoli colorati. E chi ci pensava,
lì, a quei tristi colloqui?
Certo non ci pensavano le mie nipoti
(che erano venute con la nonna a festeggiare
la pace).
Con loro ho fatto il giro completo del
più surrealistico, incredibile, libero, colorato
e sgarrupato dei festival, a cui gli
organizzatori avevano invitato non solo
i figli e i nipoti dei partner del conflitto,
i palestinesi e gli israeliani, ma anche i
figli dei rifugiati africani e dei lavoratori
esteri filippini, cinesi, romeni, russi e di
ogni nazione possibile e immaginabile,
e non c’era lingua o colore della pelle
che non fossero rappresentati. Una
meraviglia.
Abbiamo visto insieme uno spettacolo
teatrale di due bambini divisi da un
muro (in arabo e in ebraico), assaggiato
olio extravergine d’oliva israeliano e
palestinese, piantato alberelli della pace,
ammirato una mostra fotografica
israeliana e palestinese, ci siamo fatti
fare reiki per la pace, abbiamo dipinto
la pace, giocato la pace a pallone, mangiato
pita offerta da un fornaio arabo di
Jaffa, gelato messo a disposizione da un
gelataio locale, e pane sottile sottile col
formaggio acido (labane) di una nonna
drusa, e mai durante tutta la giornata s’è
vista la presenza di polizia o di guardie
armate, malgrado il grande numero di
israeliani e palestinesi insieme. E che
bisogno ce ne sarebbe mai stato?
Ce ne siamo tornate a casa al tramonto,
mentre sulla spiaggia stavano iniziando
a suonare le bande rock. È stato un
giorno talmente «normale», un tale modello
di come potrebbe essere la nostra
vita, e talmente emozionante e bello e
libero dalla puzza della paura e del sospetto,
che per un attimo mi è sembrato
tutto vero, tutto possibile, concreto,
realizzabile.
A casa ho trovato l’invito ad andare a
prendermi le maschere anti-gas.
Sono appena arrivate le gemelle ma le ho spedite al tempio con il nonno. Le amo molto ma mi stancano e comunque rimarranno qui fino a domani...
Ho aperto i giornali , coi supplementi del sabato : non c'è ottimismo ,I colloqui di pace per ora vanno malino, anzi male.
A propsito, due articoli usciti su vanity fair delle ultime due settimane
V A N I T Y F A I R I 2 9 . 0 9 . 2 0 1 0
In questi giorni di settembre, gli ebrei,
in Israele e nel mondo, festeggiano i
yamim noraim, i «giorni terribili» o
di «timore reverenziale», tra il Capodanno
ebraico e Yom Kippur, giornata
di digiuno, pentimento e introspezione.
La parabola talmudica racconta che in
questi giorni Dio fa passare davanti a lui,
per giudicarli, tutti gli uomini, e ognuno
potrà ricevere il perdono per i peccati
contro Dio, ma non per quelli verso altri
uomini, a meno che non sia stato ottenuto
il perdono della persona o esa.
Più o meno negli stessi giorni, cade anche
la festa musulmana di Eid ul-Fitr, che segna
la ne del digiuno del Ramadan, che,
secondo il Corano, è stato istituito perché
tutti i fedeli possano coltivare la pietà. Siamo
quindi in un momento simbolicamente
ideale per i colloqui di pace iniziati tra
israeliani e palestinesi. Il falco Netanyahu
ha persino a ermato solennemente di volere
mettere ne al con itto mediorientale
«una volta per tutte». Parole storiche,
dette da un leader della destra israeliana.
Anche se sulla politica degli insediamenti
la tensione non diminuisce. Tanto da
essere servita da «alibi» per l’ennesimo
assurdo massacro di quattro coloni israeliani.
Obama ha subito avvertito che a
nessuno sarà permesso di sabotare la ripresa
dei negoziati diretti. «Voglio che sia
chiaro a tutti», ha a ermato, «ad Hamas
e a chiunque rivendichi questi odiosi crimini,
che non ci fermeranno dal garantire
una pace duratura».
Sarà. Nessuno, qui in Medioriente, compresa
la sottoscritta, crede che la pace,
duratura o meno, esploderà, come promesso
da Obama, esattamente entro i
prossimi 11 mesi. Nessuno riesce più a
crederci. La retorica della pace ci lascia
ormai indi erenti. Troppe volte abbiamo
visto leader, ogni volta diversi, fare gli
stessi gesti, dire le stesse parole, seduti
allo stesso tavolo.
Eppure non mi arrendo. Non mi arrendo
assieme a tanti altri, a tutti coloro, qui
e nel mondo, che da anni lavorano dal
basso per il futuro degli abitanti di questa
nostra terra.
Non per ottimismo continuiamo, non
per ingenuità, persino non per idealismo,
ma perché non c’è veramente altra
scelta. La nostra è una sorta di preghiera
laica: «preghiamo» non per la Pace con
la maiuscola, parola ormai troppo usata,
troppo grande, diventata vuota a forza
di tradirla, ma per costruire un concreto
modello di convivenza. È chiedere troppo
in questi «giorni terribili»? Qualcuno
ci ascolta?
84 I V A N I T Y F A I R I 0 6 . 1 0 . 2 0 1 0
A sinistra un cimitero musulmano,
di fronte mare calmo e lucido,
nell’aria il profumo del
pane arabo appena cotto, sul
piazzale donne palestinesi col capo coperto
dal hijab chiacchierano con giovani
israeliane in jeans, uno sceicco vestito
di bianco si apparta con eleganti signori
in giacca e cravatta, orde di bambini
urlanti di tutti i colori e le nazionalità,
palestinesi, israeliani, africani, filippini,
russi, cinesi, scorrazzano ovunque leccando
un gelato.
No, non è la scena di un film di fantascienza
sulla futura pace in Medioriente,
e non sono morta e questo non è il paradiso:
è solo il modo in cui i ragazzi del
Centro Peres per la Pace hanno deciso
di festeggiare la Giornata internazionale
della pace (il 21 settembre), ovunque
dimenticata.
E così, mentre altrove signori in doppiopetto
discutevano di moratorie e colonie
nel nuovo giro di (per ora assai infelici)
colloqui di pace, un piccolo miracolo
avveniva sulla spiaggia di Jaffa: all’inizio
decine, poi centinaia e centinaia di bambini,
israeliani e palestinesi, musulmani,
ebrei e cristiani, si sistemavano tutt’intorno
per formare il simbolo della pace,
stretti uno accanto all’altro, sotto il sole,
ridendo e scalciando, sventolando al
cielo lenzuoli colorati. E chi ci pensava,
lì, a quei tristi colloqui?
Certo non ci pensavano le mie nipoti
(che erano venute con la nonna a festeggiare
la pace).
Con loro ho fatto il giro completo del
più surrealistico, incredibile, libero, colorato
e sgarrupato dei festival, a cui gli
organizzatori avevano invitato non solo
i figli e i nipoti dei partner del conflitto,
i palestinesi e gli israeliani, ma anche i
figli dei rifugiati africani e dei lavoratori
esteri filippini, cinesi, romeni, russi e di
ogni nazione possibile e immaginabile,
e non c’era lingua o colore della pelle
che non fossero rappresentati. Una
meraviglia.
Abbiamo visto insieme uno spettacolo
teatrale di due bambini divisi da un
muro (in arabo e in ebraico), assaggiato
olio extravergine d’oliva israeliano e
palestinese, piantato alberelli della pace,
ammirato una mostra fotografica
israeliana e palestinese, ci siamo fatti
fare reiki per la pace, abbiamo dipinto
la pace, giocato la pace a pallone, mangiato
pita offerta da un fornaio arabo di
Jaffa, gelato messo a disposizione da un
gelataio locale, e pane sottile sottile col
formaggio acido (labane) di una nonna
drusa, e mai durante tutta la giornata s’è
vista la presenza di polizia o di guardie
armate, malgrado il grande numero di
israeliani e palestinesi insieme. E che
bisogno ce ne sarebbe mai stato?
Ce ne siamo tornate a casa al tramonto,
mentre sulla spiaggia stavano iniziando
a suonare le bande rock. È stato un
giorno talmente «normale», un tale modello
di come potrebbe essere la nostra
vita, e talmente emozionante e bello e
libero dalla puzza della paura e del sospetto,
che per un attimo mi è sembrato
tutto vero, tutto possibile, concreto,
realizzabile.
A casa ho trovato l’invito ad andare a
prendermi le maschere anti-gas.
domenica 3 ottobre 2010
qualcuno mi può spiegare michele serra ???
sono troppo tempo lontana dall'Italia , riconosco Berlusconi , ma chi sono gli altri?
e la cucina scavolini?
Un importante quotidiano dedica la sua prima pagina al probabile ritrovamento di una cucina Scavolini. Un premier europeo è accusato di controllare 64 società off-shore attraverso le quali avrebbe sottratto 884 miliardi di lire al fisco del paese del quale è primo ministro. Un celebrato playboy viene accusato dal suo anziano amante gay di averlo mantenuto per anni. Un ministro definisce "porci" i cittadini della capitale del suo Paese. Un sindaco fa sgomberare dai carabinieri i giornalisti che volevano seguire una seduta del Consiglio comunale. Un miliardario a lungo latitante nei Caraibi torna in Italia per spiegare in televisione che i numeri vincenti del Superenalotto erano i suoi e non quelli della sua ex fidanzata, nel frattempo diventata moglie del presidente della Camera. Si indaga sui brogli elettorali che hanno falsato un reality-show. Il Papa annuncia che imbiancherà personalmente il suo appartamento in Vaticano. Viene reso pubblico il regolare contratto di assunzione (diecimila euro di stipendio al mese) con il quale un governo ha pagato il voto di due parlamentari esterni alla sua maggioranza. Una sola di queste notizie è falsa. Sapreste dire quale?
e la cucina scavolini?
Un importante quotidiano dedica la sua prima pagina al probabile ritrovamento di una cucina Scavolini. Un premier europeo è accusato di controllare 64 società off-shore attraverso le quali avrebbe sottratto 884 miliardi di lire al fisco del paese del quale è primo ministro. Un celebrato playboy viene accusato dal suo anziano amante gay di averlo mantenuto per anni. Un ministro definisce "porci" i cittadini della capitale del suo Paese. Un sindaco fa sgomberare dai carabinieri i giornalisti che volevano seguire una seduta del Consiglio comunale. Un miliardario a lungo latitante nei Caraibi torna in Italia per spiegare in televisione che i numeri vincenti del Superenalotto erano i suoi e non quelli della sua ex fidanzata, nel frattempo diventata moglie del presidente della Camera. Si indaga sui brogli elettorali che hanno falsato un reality-show. Il Papa annuncia che imbiancherà personalmente il suo appartamento in Vaticano. Viene reso pubblico il regolare contratto di assunzione (diecimila euro di stipendio al mese) con il quale un governo ha pagato il voto di due parlamentari esterni alla sua maggioranza. Una sola di queste notizie è falsa. Sapreste dire quale?
sabato 2 ottobre 2010
kippa' 2
però ciarrapico va ringraziato
a) perchè dice apertamente quello che gli altri pensano e dicono meno apertamente
b) perchè gli ebrei che hanno votato per berlusconi capiscano finalmente chi sono gli "amici di Israele"
c) perchè i parlamentari ebrei "per Israele" nel pdl stiano finalmente un pò zitti o la smettano almeno con l'ipocrisia di essere lì solo ma proprio solo per difendere lo Stato di Israele ( "tante grazie, ma non ce n'è bisogno grazie, di partiti di destra ne abbiamo anche troppi in Israele")
l'articolo che segue , di Moni Ovadia , dall'Unità, dice esattamente la stessa cosa, ma non è che ci siamo letti nel pensiero , è solo una questione di normale buon senso.
Il Ciarra e le tre scimmie
Moni Ovadia
Grande Ciarra! Non posso nascondere una perversa simpatia nei confronti di questo fascistone de core e de panza. Finalmente uno che dice pane al pane e vino al vino. Altro che gli ipocriti del Pdl che si scandalizzano per la sortita del gagliardo editore-imprenditore tutto fez e orbace. Lui, se potesse, Fini lo raperebbe a zero e lo esporrebbe al pubblico ludibrio facendolo sfilare in un corteo, cartello appeso al collo, con la scritta: “amico dei giudei”. Nel corteo ci sarebbero anche altri pidiellini che, anche se non lo dicono, la pensano come lui. I giudei sono infidi e traditori si sa e traditore è chi se la fa con loro. Ma i più commoventi e naif sono certi ebrei della corte berlusconiana che si scandalizzano. Povere anime candide, ma dove erano? Quali pensieri li distraevano per non vedere e sentire la sarabanda della cloaca revisionista che per anni è dilagata nei salotti tv per riabilitare il fascismo, tessere elogi e quadretti idilliaci del buon duce e calunniare e infangare i partigiani che con il loro sangue e i loro sacrifici hanno fondato la democrazia e ci hanno donato la Costituzione repubblicana. Come le tre scimmiette “non vedo, non sento, non parlo” trovano normale stare in un partito-azienda fondato da un padrone-caudillo. Sono fieri della sua opera di governo che perseguita i rom, discrimina la popolazione omosessuale e respinge i clandestini per avviarli verso un destino di tortura o di morte. Trovano degno essere alleati di un partito xenofobo. In cambio della loro fedeltà senza se e senza si accontentano di poco. Qualche esternazione di amicizia en passant per Israele. Perché gli affari veri...beh! Quelli si fanno con Gheddafi e Ahmadinedjad, due notori filosionisti.
a) perchè dice apertamente quello che gli altri pensano e dicono meno apertamente
b) perchè gli ebrei che hanno votato per berlusconi capiscano finalmente chi sono gli "amici di Israele"
c) perchè i parlamentari ebrei "per Israele" nel pdl stiano finalmente un pò zitti o la smettano almeno con l'ipocrisia di essere lì solo ma proprio solo per difendere lo Stato di Israele ( "tante grazie, ma non ce n'è bisogno grazie, di partiti di destra ne abbiamo anche troppi in Israele")
l'articolo che segue , di Moni Ovadia , dall'Unità, dice esattamente la stessa cosa, ma non è che ci siamo letti nel pensiero , è solo una questione di normale buon senso.
Il Ciarra e le tre scimmie
Moni Ovadia
Grande Ciarra! Non posso nascondere una perversa simpatia nei confronti di questo fascistone de core e de panza. Finalmente uno che dice pane al pane e vino al vino. Altro che gli ipocriti del Pdl che si scandalizzano per la sortita del gagliardo editore-imprenditore tutto fez e orbace. Lui, se potesse, Fini lo raperebbe a zero e lo esporrebbe al pubblico ludibrio facendolo sfilare in un corteo, cartello appeso al collo, con la scritta: “amico dei giudei”. Nel corteo ci sarebbero anche altri pidiellini che, anche se non lo dicono, la pensano come lui. I giudei sono infidi e traditori si sa e traditore è chi se la fa con loro. Ma i più commoventi e naif sono certi ebrei della corte berlusconiana che si scandalizzano. Povere anime candide, ma dove erano? Quali pensieri li distraevano per non vedere e sentire la sarabanda della cloaca revisionista che per anni è dilagata nei salotti tv per riabilitare il fascismo, tessere elogi e quadretti idilliaci del buon duce e calunniare e infangare i partigiani che con il loro sangue e i loro sacrifici hanno fondato la democrazia e ci hanno donato la Costituzione repubblicana. Come le tre scimmiette “non vedo, non sento, non parlo” trovano normale stare in un partito-azienda fondato da un padrone-caudillo. Sono fieri della sua opera di governo che perseguita i rom, discrimina la popolazione omosessuale e respinge i clandestini per avviarli verso un destino di tortura o di morte. Trovano degno essere alleati di un partito xenofobo. In cambio della loro fedeltà senza se e senza si accontentano di poco. Qualche esternazione di amicizia en passant per Israele. Perché gli affari veri...beh! Quelli si fanno con Gheddafi e Ahmadinedjad, due notori filosionisti.
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