per chi non l'avesse letto su vanity fair , ecco qui il mio articolo su miriam perez anat kam e uri blau ( quest'ultimo è tuttora a Londra)
Gli Spartani sottomisero il territorio dei Messeni, sottomisero gli abitanti e li ridussero a servi della gleba (Iloti). Per effettuare il loro controllo spietato sopra gli Iloti i cittadini spartani dovettero sottoporsi ad una disciplina militare durissima. Gli Spartani maschi erano addestrati alla guerra fina dall'età di sette anni e vivevano la loro vita come sentinelle di un fortino posto in territorio nemico, sempre preparati alla ribellione di un popolo a cui avevano sottratto la terra e la libertà. Gli Spartani, in cambio della sicurezza, dovettero rinunciare a diverse libertà
( dacronologia.leonardo.it/storia/grek007.htm)
27 marzo 2010.
Muore in combattimento, a Gaza, un soldato israeliano, Eliraz Perez. E non sarebbe una storia di grande importanza (succede spesso, qui), da tenere per giorni nelle prime pagine dei giornali se non fosse che era il secondo figlio di Miriam Peretz, e che la sua morte è avvenuta dodici anni dopo la caduta in combattimento del primo figlio, Uriel, in Libano.
Ma non basta: sette anni dopo la prima tragedia, era mancato anche il marito di Miriam, Eliezer, di crepacuore naturalmente, come spesso muoiono i padri dei soldati morti.
Negli stessi giorni iniziano a girare strane voci a proposito di una storia di censura applicata dallo Shin Beit, o Shabak (che sarebbe il controspionaggio, la sicurezza interna). Trattandosi di censura, e quindi essendoci la proibizione assoluta di parlarne pubblicamente nei giornali israeliani, se ne sa poco. Una mia amica, giornalista dell'“Ha'aretz”, per esempio, non ne sa niente.
Alla fine, come era prevedibile, la storia è uscita, prima sull'“Indipendent” britannico e da lì sul blog della giornalista e premio Pulitzer Judith Miller e poi su google, ansa, a.p., ovunque all'estero.
Ma di quello che sto scrivendo in questo momento mi è proibita, per legge, la pubblicazione in Israele.
La parola chiave della saga è Anat Kam, una giovane giornalista del sito internet israeliano Walla. Fino a pochi mesi fa, pochissimi affezionati lettori la conoscevano o sapevano chi fosse.
La giovane da quattro mesi è sparita , non si sa dove sia, non risponde al telefono, sembra sparita dalla faccia della terra, si è cancellata dal suo sito e da wikipedia.
28 marzo 2010.
Il funerale di Eliraz Peretz parte dalla sinagoga dedicata al nome di Uriel Peretz, il fratello.
Miriam Peretz, il capo coperto, circondata dalla folla, lancia un urlo: "Chi andrò a trovare per primo al cimitero, Uriel, che ormai si è abituato, o Eliraz, che è appena arrivato? che forse ancora non sa...".
Più tardi, a casa, seduta sullo stesso divano sul quale era stata fotografata dodici anni prima da tutti i quotidiani con accanto i due figli rimasti, adesso accanto all'ultimo figlio, Eliasaf, e alla figlia Bat El (tutti hanno nel nome le lettere di Dio, "El - uri-el, el-iezer, eli-asaf, bat-el) Miriam parla.
“Anche Eliasaf” dice, guardando il figlio minore, “è combattente della prima Brigata di fanteria, il Golani".
E poi continua: "Dio ama la brigata di fanteria Golani e ama la famiglia Peretz". (Dio ha uno strano modo di dimostrarlo)
"Con Uriel lo sapevo" dice. "Dal primo giorno, da quando si è arruolato, sapevo che sarebbe morto. Stavo seduta in poltrona e m’immaginavo il suo funerale, passavo le giornate con la radio accesa sui notiziari 24 ore su 24. E a mezzanotte, quel giorno, quando me lo dissero, già lo sapevo. E ricordo di aver svegliato tutta la strada con un grande urlo URIEEEEEL, che non dormissero quando mio figlio era appena morto.
“Ma questa volta non me l'aspettavo. Ero certa che Dio non avrebbe colpito di nuovo.
“Eliraz era molto religioso, molto credente, molto pio, era un simbolo di purezza, di leadership, un grande studioso di Torah.
“Venerdì la mia vicina è entrata e io ho capito qualcosa, ‘ferito?’ ho chiesto, e già mi preparavo a vestirmi e a partire per l'ospedale, perché Eliraz può essere solo ferito, gli era successo tante altre volte, ma non morto. Mi alzo e vedo 15 persone che improvvisamente mi entrano in casa. ‘Cosa fate qui?’ ho chiesto; ‘è ferito, devo andare in ospedale’ e loro rispondono ‘ferito grave’ e io continuo ‘non importa, guarirà’, ‘molto molto grave, gravissimo’ ripetono, e io continuo a prepararmi per andare in ospedale.
“ Questa volta avevo più esperienza. Sapevo cosa fanno quando vengono a dirtelo, ti danno la mano, ti dicono di sederti.
" Quando li ho visti arrivare, li ho riconosciuti e gli ho chiuso la porta in faccia, gli ho chiuso tutte le finestre, tutto, tutto, ma naturalmente alla fine sono entrati lo stesso, e io li imploravo, datemi ancora un minuto: finché la parola morto non è stata ancora detta, lui è ancora vivo.
“Come la nascita di un bambino, anche la nascita di un popolo e di uno Stato è accompagnata dal sangue" riflette. "La nostra libertà di popolo è legata al sangue, e forse la morte di Eliraz è il nostro sacrificio di Pasqua" conclude. "La morte di Eliraz ha riunito il nostro popolo in un unico dolore. Eliraz è il figlio di tutti".
"sono nata in Marocco" dice in un'altra intervista, "in Marocco andavo a testa bassa, qui i miei figli sono in divisa e io sono una donna fiera".
(fiera e con due figli morti)
Si scoprono altri particolari sulla storia censurata.
Anat Kam è accusata di aver girato a Uri Blau, giornalista del quotidiano “Ha'aretz”, documenti militari segreti che avrebbe copiato in un dischetto, durante il servizio militare di leva (che si fa a diciott'anni), nell'ufficio di un alto ufficiale dell'esercito.
Lei ammette di averlo fatto , e rischia l'ergastolo.
Il quotidiano “Yediot Aharonot” pubblica un'intera pagina dal blog di Judith Miller, con grandi macchie nere dove ci sono informazioni censurate, come facevano i censori nelle lettere dei soldati all'innamorata durante la seconda guerra mondiale. Uri Blau, il giornalista del quotidiano "Ha'aretz" che scrisse, con le informazioni che gli sarebbero state girate da Anat Kam, un lungo articolo (approvato dalla censura militare stessa), è sparito. Dove si trova? Dov Alfon, direttore di “Ha'aretz”, risponde sul sito ebraico "Tikun Olam". “È a Londra (da quattro mesi, ndr) e lì rimarrà finché decideremo altrimenti. O finché ce ne sarà bisogno. Gli articoli di Uri Blau sono dinamite e ci è chiaro perché le autorità non sono soddisfatte che compaiano rivelazioni di questo genere in un grande giornale come il nostro.
“Ma noi siamo una democrazia e quindi continueremo a pubblicare tutto ciò che può essere di pubblico interesse e i nostri giornalisti sono in grado di rivelare. ‘Ha'aretz’ ha una tradizione di 90 anni nella protezione dei suoi giornalisti dalle pressioni governative, e Uri Blau sta ricevendo da noi tutto l'aiuto che gli possiamo fornire”.
6 aprile 2010.
A una settimana dalla morte, la famiglia Peretz torna al cimitero.
"la tua morte ha reso più forte il nostro popolo" dice Miriam.
"E continueremo a tenere la testa alta, anche quando suona la sirena che ricorda la shoah, mai abbassare la testa..." dice la vedova.
Si chiama Shlomit, è giovanissima, ha il viso dolce e bello, gli occhi chiari, la pelle sottile come un velo, il capo coperto, e quattro bambini.
Aveva conosciuto Eliraz al cimitero, all'anniversario della morte del fratello Uriel.
Subito dopo il matrimonio erano vissuti a Gush Katif (colonia a Gaza da cui Israele si è ritirata), vivono oggi in un avamposto in Cisgiordania in una casa che dovrebbe essere presto demolita, insieme con altre 12, perché illegale. La sua migliore amica e vicina di casa è la giovanissima vedova di Roy Klein, l'eroe dell'ultima guerra del Libano, che urlò ai suoi compagni "fate sapere che sono morto" gettandosi su una bomba a mano per salvarli recitando lo "Shema Israel..." (ascolta israele, il signore è nostro dio, il signore è uno...").
I bambini di Shlomit e Eliraz, piccoli, belli e con gli occhi neri del padre, hanno nomi che, tradotti, suonano come "Figlia del mio popolo" (bat Ami), "Nuova luce (or hadash), canto di Sion (Shir zion) e Miriam, come la nonna.
Shlomit a malapena parla del suo dolore, ma si sofferma a lungo sul suo amore per il popolo di Israele, per Eretz Israel, (la terra di Israele).
"amerò questo nostro popolo anche se mi demoliranno la casa" conclude, stoica.
Le voci sull'affaraccio continuano. Ma cosa c'era di così esplosivo nell'articolo ( che si può tuttora tranquillamente leggere nel sito di Ha'aretz) di Uri Blau? Blau raccontò, circa un anno e mezzo fa, che uno dei due militanti della Jihad islamica uccisi a Jenin nel giugno 2007 fu scelto per l'eliminazione fisica in violazione di un dettato della corte suprema israeliana risalente a sei mesi prima. Quella sentenza diceva che, pur restando legali gli omicidi in Cisgiordania, essi venivano ristretti a un numero molto limitato di circostanze: in particolare si affermava che non si doveva ricorrere all'omicidio se era possibile arrestare la persona presa di mira.
In altre storie, in una del gennaio 2009 per esempio, raccontava invece che, secondo informazioni segrete provenienti dal ministero della Difesa, il 75% delle colonie era stato costruito in modo illegale e senza permessi.
8 aprile 2010.
Di Miriam Peretz non si parla ormai più. La storia è stata ormai "spremuta" al massimo. Arriveranno presto nuove storie, nuove madri, nuovi eroi. Miriam , preside di una scuola (laica) tornerà presto al lavoro.
E a sorpresa oggi il tribunale ha revocato la famosa censura, ormai diventata ridicola.
Difficile rimane la posizione del giornalista Uri Blau , che si rifiuta di consegnare tutti i documenti ricevuti ( pare fossero circa duemila) e per il momento non si muove da Londra, e della ventitreenne Anat Kam che potrebbe essere accusata di spionaggio. .
Ancora più difficile rimane la posizione del cittadino israeliano stretto tra la parola d'ordine sicurezza e il sacrosanto diritto alla libera informazione. Tra il desiderio di vivere come nella democratica Atene e la paura di diventare il cittadino di una seconda Sparta.
E viene annunciata la distribuzione delle nuove maschere antigas.
L'estate sta arrivando , e a Tel Aviv le strade sono affollate di turisti e le spiagge di ragazze in bikini.
La Galilea è tutta in fiore.
Un mio amico, un giornalista israeliano, mi ha detto: "Tra trecento anni, temo, i bambini ebrei della diaspora studieranno la storia di Eliraz e Uriel Peretz e di Roy Klein come oggi studiano il mito dei Maccabei. E se i "Peretz" di questo paese diventeranno la classe dirigente, alla fine rimarranno solo i bambini della diaspora a cui raccontarla".
Come mi succede sempre in questi casi, non ci ho dormito la notte. Come non ho dormito la settimana prima, dopo aver ascoltato Miriam Peretz , la mia ombra distorta, e sua nuora, la dolce Shlomit.
Spero soltanto che mio figlio Joni , mio figlio , mio, mio, mio e non di un intero Paese, morto a vent'anni mentre faceva il suo dovere in Libano proprio come Uriel Peretz ,( e appena due mesi dopo) forse a modo suo persino un eroe, ma di certo innamorato della sua Miri più che degli avamposti e della santa terra di Israele , abbia urlato , prima di morire, il nome della sua ragazza, massimo massimo, della sua mamma, o del papà.
P.S. Ho letto questa frase a mia figlia Michal che dodici anni fa aveva incontrato il ragazzo ferito che ha visto morire suo fratello , e lei mi ha detto che no, non era andata così: Joni , dopo essere stato colpito, non aveva detto nulla, aveva fatto solo segno con la testa che andava tutto bene , come per tranquillizzare l'amico , per dirgli che non si preoccupasse, e subito dopo era spirato , eroe a modo suo.
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manueladviri-telaviv.blogspot.com
14.04.10
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