lunedì 31 maggio 2010

nostalgia di normalità

Ho ricevuto tanti messaggi oggi e ho scritto e parlato tanto .
Adesso è mezzanotte a Tel Aviv, e sono stanca, stanca ,tanto stanca ma ancora non riesco ad andare a letto.
Ieri notte avevo fatto uno strano sogno , che la mia casa era cambiata e diventata bruttissima, brutta da vergognarsi. Con brutti mobili e brutti quadri e bruttissimi tappeti.
Mi sono svegliata, ho acceso la tivù ed era come se il sogno fosse diventato realtà.
Ho provato una terribile stretta di angoscia.
Che disastro.
E no, la carneficina non è stata fatta apposta, malgrado da lontano sembri forse altrimenti.... Troppi anni (40) di occupazione ci hanno ridotto così: semplicemente stupidi, militarmente stupidi, politicamenti stupidi e adesso anche attoniti e spaventati davanti al disastro,e isolati nel mondo e davanti al mondo.

La flottiglia era chiaramente una provocazione ma non era una flotta di navi di pirati e Gaza non è la Somalia. Se proprio la si voleva allontare perchè attaccarla nelle acque territoriali internazionali? Perchè fare scendere i soldati dagli elicotteri? perchè , per esempio, non rimorchiare semplicemente le navi? Avevano avuto un bel pò di tempo per prepararsi all'arrivo della flottiglia ... non sapevano, i nostri politici e il nostro mossad, chi c'era a bordo?? bastava poco, con una corda li si sarebbe potuto fermare... sarebbero bastato due lacrimogeni... ma chi ha preso le decisioni?
adesso dicono che bisogna spiegare al mondo le nostre ragioni.... quali ragioni? cosa c'è da spiegare ? Chi le ha prese le decisioni ? chi è il responsabile?
a mezzanotte, ancora non sappiamo quanti morti ci sono stati, o i loro nomi....che razza di paese siamo diventati ?
Dicono che gli ebrei sono tanto intelligenti. A volte proprio no. questa volta proprio no.
Spero di riuscire a dormire questa notte.

Lascio per ultimo un articolo tratto da Haretz.



A Special Place in Hell / The Second Gaza War: Israel lost at sea
We are no longer defending Israel. We are now defending the siege, which is itself becoming Israel's Vietnam.
By Bradley Burston
A war tells a people terrible truths about itself. That is why it is so difficult to listen.
We were determined to avoid an honest look at the first Gaza war. Now, in international waters and having opened fire on an international group of humanitarian aid workers and activists, we are fighting and losing the second. For Israel, in the end, this Second Gaza War could be far more costly and painful than the first.
In going to war in Gaza in late 2008, Israeli military and political leaders hoped to teach Hamas a lesson. They succeeded. Hamas learned that the best way to fight Israel is to let Israel do what it has begun to do naturally: bluster, blunder, stonewall, and fume.
Hamas, and no less, Iran and Hezbollah, learned early on that Israel's own embargo against Hamas-ruled Gaza was the most sophisticated and powerful weapon they could have deployed against the Jewish state.

Here in Israel, we have still yet to learn the lesson: We are no longer defending Israel. We are now defending the siege. The siege itself is becoming Israel's Vietnam.
Of course, we knew this could happen. On Sunday, when the army spokesman began speaking of a Gaza-bound aid flotilla in terms of an attack on Israel, MK Nahman Shai, the IDF chief spokesman during the 1991 Gulf war, spoke publicly of his worst nightmare, an operation in which Israeli troops, raiding the flotilla, might open fire on peace activists, aid workers and Nobel laureates.
Likud MK Miri Regev, who also once headed the IDF Spokesman's Office, said early Monday that the most important thing now was to deal with the negative media reports quickly, so they would go away.
But they are not going to go away. One of the ships is named for Rachel Corrie, killed while trying to bar the way of an IDF bulldozer in Gaza seven years ago. Her name, and her story, have since become a lightning rod for pro-Palestinian activism.
Perhaps most ominously, in a stepwise, lemming-like march of folly in our relations with Ankara, a regional power of crucial importance and one which, if heeded, could have helped head off the First Gaza War, we have come dangerously close to effectively declaring a state of war with Turkey.
"This is going to be a very large incident, certainly with the Turks," said Benjamin Ben-Eliezer, the cabinet minister with the most sensitive sense of Israel's ties with the Muslim world.
We explain, time and again, that we are not at war with the people of Gaza. We say it time and again because we ourselves need to believe it, and because, deep down, we do not.
There was a time, when it could be said that we knew ourselves only in wartime. No longer. Now we know nothing. Yet another problem with refraining from talks with Hamas and Iran: They know us so much better than we know ourselves.
They know, as the song about the Lebanon War suggested ("Lo Yachol La'atzor Et Zeh") that we, unable to see ourselves in any clarity, are no longer capable of stopping ourselves.
Hamas, as well as Iran, have come to know and benefit from the toxicity of Israeli domestic politics, which is all too ready to mortgage the future for the sake of a momentary apparent calm.
They know that in our desperation to protect our own image of ourselves, we will avoid modifying policies which have literally brought aid and comfort to our enemies, in particular Hamas, which the siege on Gaza has enriched through tunnel taxes and entrenched through anger toward Israel.
For many on the right, it must be said, there will be a quiet joy in all of what is about to hit the fan. "We told you so," the crowing will begin. "The world hates us, no matter what we do. So we may as well go on building [Read: 'Settling the West Bank and East Jerusalem'] and defending our borders [Read: 'Bolster Hamas and ultimately harm ourselves by refusing to lift the Gaza embargo']."

Hamas, Iran and the Israeli and Diaspora hard right know, as one, that this is a test of enormous importance for Benjamin Netanyahu. Keen to have the world focus on Iran and the threat it poses to the people of Israel, Netanyahu must recognize that the world is now focused on Israel and the threat it poses to the people of Gaza.

7 commenti:

  1. che dolore dover ammettere che Israele sembra aver perso la rotta e non essere per niente intelligente e non avere possibilità alcuna di essere giustificato!!
    e sentire la paura che fa perdere la ragione a entrambe le parti e non poter nulla

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  2. Bellissimo e toccante il tuo commento, Manuela.
    Oggi è un giorno triste...per tutti.
    Un grande abbraccio,
    Lilia Zito

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  3. io non lo' so' piu' cos'e' giusto,cos'e' sbagliato...chi ha ragione,chi no...so' solo che alla fine c'e' sempre qualcuno che piange per qualcuno che e' morto,qualcuno che non tornera' piu' a casa...Manuela...che stufita diventare grandi cosi'....che senso ha?il buon vecchio buon senso???perso,vero?va beh,va bene anche cosi'...il tuo articolo rende bene l'idea..io adesso aspetto..cosa non so'...tipo che cambi qualcosa.un abbraccio,forte

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  4. sono pienamente d'accordo con Manuele: si potevano trovare mille altri modi per sapere se quelle navi c'erano veramente armi. Come lei penso che verità sta ambedue le parti e che l'unico modo per un futuro di pace per Israele e Palestina sia fare ognuno un passo,anche piccolo, per avvicinarsi all'altro.Forza Manuela è dura ma tu continua a condividere le tue idee. Un saluto da Trieste

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  5. Cara Manuela,
    resta fuori discussione l'assurdità di quanto é successo. La tragedia é avvenuta e non vi sono scusanti alla rozzezza e incapacità di chi ha condotto l'operazione militare di contenimento. I vivi piangono le vittime del tutto innocenti, animate dal proposito di portare conforto a un popolo sofferente. Conforto sia materiale, legato alle cose recate – viveri, materiali da costruzione, vettovaglie...- sia morale, legato allo sperato successo della forzatura del blocco navale che avrebbe avuto risonanza assai significativa.
    E qui mi viene un pensiero politicamente poco corretto.
    Spostiamoci di area geografica e immaginiamo che un gruppo di pacifisti disarmati decida di andare in Tibet a manifestare contro l'oppressione cinese in quel paese e tenti di forzare le linee delle milizie cinesi.
    Chi organizzasse simile spedizione avrebbe la certezza di successo: se le milizie cinesi acconsentissero al passaggio dei manifestanti senza danni sarebbe il segnale della grande influenza politica del movimento e della relativa debolezza della Cina; se, come più probabile, la spedizione si trasformasse in un bagno di sangue, avverrebbe ciò che Israele sta subendo in questo momento.
    Ben lungi dal voler paragonare Israele alla Cina: uso un paese così lontano dalla nostra cultura solo per eliminare l'idea che il mio pensiero poco corretto sia determinato dalle mie simpatie per Israele.
    Trappola.
    Nessuno mi toglie dalla testa che chi ha organizzato la spedizione abbia teso una trappola sia a Israele, che alle povere vittime probabilmente ignare e innocenti. Magari immaginava che i morti sarebbero stati molti meno, ma se cinicamente guardiamo all'esito dell'operazione, é stato un successo insperato (o forse perseguito): criticità dei rapporti di Israele con l' Europa ma soprattutto con con Obama; rapporti seriamente incrinati tra Usa e Turchia, legittimazione degli aiuti militari dell' Iran a Abu Mazen...
    Ciò che mi stupisce é di non avere ancora visto alcuna voce al di fuori della riprovazione (peraltro legittima) per Israele, soprattutto osservando (da ciò che inizia a trapelare) che gli organizzatori della spedizione sembra non siano tutti proprio stinchi di santo.
    Con simpatia
    Enrico Prosdocimi - Padova

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  6. hai perfettamente ragione , tranne che per una cosa.
    cos= come la cina dovrebbe lasciare sua sponte il tibet , così noi dovremmo fare per i territori occupati.
    anche per loro, ma sopratutto per noi... quella sarebbe la vera dimostrazione di forza

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  7. Certo, alla nostra cultura occidentale ripugna l'idea della oppressione, della privazione della libertà, della negazione dei cosiddetti valori cristiani. Peraltro non ho mai ascoltato - per mia ignoranza e/o pigrizia - le ragioni della Cina, che forse conterranno qualcosa da approfondire. Viceversa la contesa tra Israele e i Palestinesi ci viene raccontata regolarmente: mi pare inverosimile che si possano liberare i territori senza avere in cambio la cosa più preziosa: la garanzia della pace, che significa sostanzialmente la sconfessione definitiva di chi dichiara di voler cancellare Israele.
    Enrico Prosdocimi

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