mercoledì 15 dicembre 2010
di nuovo a tel aviv
.. che meraviglia, dopo il gelo di new york e la neve ritrovare a tel aviv il solito inverno tiepido...adesso voglio solo dormire .
sabato 4 dicembre 2010
venerdì 3 dicembre 2010
... e la tragedia continua
stanno arrivando elicotteri e aerei dall-europa , dalla Grecia, dalla Turchia , dagli Stati Uniti ma l-incendio continua e ne spuntano di nuovi.
così a occhio, mi sembrerebbero dolosi, ma naturalmente per ora non c'è nulla di certo.
così a occhio, mi sembrerebbero dolosi, ma naturalmente per ora non c'è nulla di certo.
giovedì 2 dicembre 2010
tragedia
trascrivo, per fare più in fretta, la notizia apparsa anche sulla Stampa :
Inferno sul monte Carmelo, nel nord d'Israele, dove un gigantesco rogo divampato fra i boschi ha devastato oggi un'area di quasi 3000 ettari, causando la morte di almeno 40 persone (tutte guardie carcerarie, uomini e donne), il ferimento o l'intossicazione di diverse altre, lo sgombero di villaggi e kibbutz e ingenti danni materiali. Un disastro con pochi precedenti in Israele, costretto a chiedere l'invio di aerei anti-incendio da Paesi stranieri - Italia, Russia, Cipro e Grecia in primis - per far fronte a una situazione rimasta fuori controllo per l'intera giornata dopo i primi allarmi di metà mattina. La strage si è consumata lungo una delle tortuose strade del Carmelo: un suggestivo promontorio citato dalla Bibbia, arricchito da una lussureggiante riserva naturale, affacciato sulla baia di Haifa e dominato da un santuario cattolico fra i più visitati della Terra Santa. Ne sono rimaste vittime decine di guardie penitenziarie che erano a bordo di un bus ribaltatosi mentresi allontanava dalla zona dopo l'evacuazione dei detenuti del vicino carcere di Damon.
non si sa, aggiungo io, se l'incendio sia stato doloso.
Inferno sul monte Carmelo, nel nord d'Israele, dove un gigantesco rogo divampato fra i boschi ha devastato oggi un'area di quasi 3000 ettari, causando la morte di almeno 40 persone (tutte guardie carcerarie, uomini e donne), il ferimento o l'intossicazione di diverse altre, lo sgombero di villaggi e kibbutz e ingenti danni materiali. Un disastro con pochi precedenti in Israele, costretto a chiedere l'invio di aerei anti-incendio da Paesi stranieri - Italia, Russia, Cipro e Grecia in primis - per far fronte a una situazione rimasta fuori controllo per l'intera giornata dopo i primi allarmi di metà mattina. La strage si è consumata lungo una delle tortuose strade del Carmelo: un suggestivo promontorio citato dalla Bibbia, arricchito da una lussureggiante riserva naturale, affacciato sulla baia di Haifa e dominato da un santuario cattolico fra i più visitati della Terra Santa. Ne sono rimaste vittime decine di guardie penitenziarie che erano a bordo di un bus ribaltatosi mentresi allontanava dalla zona dopo l'evacuazione dei detenuti del vicino carcere di Damon.
non si sa, aggiungo io, se l'incendio sia stato doloso.
mercoledì 1 dicembre 2010
nuovo articolo /vanity fair
a tutti coloro che come me amano la lunigiana, oggi, su vanity fair, un mio articolo su questo straordinario pezzo di mondo che amo tanto.....
precoci
quando sto zitta e non scrivo più , non è per pigrizia ma perchè non faccio più in tempo.
prima abbiamo avuto un pò di babisiteraggio con le gemelle perchè la madre è andata IN VACANZA A VIRGOLETTA CON LE AMICHE, adesso stiamo ( anzi avraham sta) babisitterando per michal che è in vacanza in italia col suo Sharon.
ieri sera però sono stata richiamata all'ordine perchè:
a) la grande di michal ha un pò di febbre e stamattina me la son portata a casa
b) c'era bisogno di babisittare le gemelle perchè i genitori uscivano a festeggiare i 41 (!) anni di mio figlio eyal,
prima di addormentarsi le due ( 2 anni e nove mesi) mi hanno raccontato la loro giornata all'asilo.
Lia" oggi un bambino mi ha menato, e mi ha stesa per terra"
Gaia" ma io sono arrivata di corsa e gli ho dato un pugno"
Lia " e io sono andata dalla maestra e gli ho detto che me le avevano date"
Gaia " e poi abbiamo detto al bambino che all'asilo non si d anno le botte"
prima abbiamo avuto un pò di babisiteraggio con le gemelle perchè la madre è andata IN VACANZA A VIRGOLETTA CON LE AMICHE, adesso stiamo ( anzi avraham sta) babisitterando per michal che è in vacanza in italia col suo Sharon.
ieri sera però sono stata richiamata all'ordine perchè:
a) la grande di michal ha un pò di febbre e stamattina me la son portata a casa
b) c'era bisogno di babisittare le gemelle perchè i genitori uscivano a festeggiare i 41 (!) anni di mio figlio eyal,
prima di addormentarsi le due ( 2 anni e nove mesi) mi hanno raccontato la loro giornata all'asilo.
Lia" oggi un bambino mi ha menato, e mi ha stesa per terra"
Gaia" ma io sono arrivata di corsa e gli ho dato un pugno"
Lia " e io sono andata dalla maestra e gli ho detto che me le avevano date"
Gaia " e poi abbiamo detto al bambino che all'asilo non si d anno le botte"
venerdì 19 novembre 2010
venerdì mattina
i venerdì sono i giorni più belli della settimana . oggi c'è un sole da piena estate che alla fine diventa veramente fastidioso , perchè si ha voglia di un pò di pioggia e di aria fresca , mentre in questo caldo che non smette mai i virus si moltiplicano e vengono tutte le allergie del mondo.( a me viene la tosse.
ieri sono stata a un funerale laico , il funerale di Allon, un caro amico.è morto a 67 anni , di un tumore.
non c'era rabbino, non sono state dette preghiere, niente di niente.
e mancando il "cerimoniale" è stato un funerale strano, molto sterile, molto "comme il faut", c'era anche la cassa da morto , che nella tradizione ebraica non esiste ( tranne per i soldati per l'ovvia ragione che spesso non sono sepelliti proprio tutti interi).
nella tradizione ebraica il defunto viene avvolto nel talled, lo scialle rituale, e portato a sepoltura su una barella. tutto molto chiaro, visibile, concreto, e poi coperto a palate di terra dagli amici. io vorrò essere sepolta così , come si mette sottoterra ogni animale. del resto , siamo animali.
allon , prima di morire , aveva detto che si semtiva come un bambino che non vuole andare a dormire.
e aveva scritto un discorso da leggere sulla sua tomba.
è stato bravissimo, un eroe a modo suo.
aveva lasciato tutto perfettamente in ordine.
ieri sono stata a un funerale laico , il funerale di Allon, un caro amico.è morto a 67 anni , di un tumore.
non c'era rabbino, non sono state dette preghiere, niente di niente.
e mancando il "cerimoniale" è stato un funerale strano, molto sterile, molto "comme il faut", c'era anche la cassa da morto , che nella tradizione ebraica non esiste ( tranne per i soldati per l'ovvia ragione che spesso non sono sepelliti proprio tutti interi).
nella tradizione ebraica il defunto viene avvolto nel talled, lo scialle rituale, e portato a sepoltura su una barella. tutto molto chiaro, visibile, concreto, e poi coperto a palate di terra dagli amici. io vorrò essere sepolta così , come si mette sottoterra ogni animale. del resto , siamo animali.
allon , prima di morire , aveva detto che si semtiva come un bambino che non vuole andare a dormire.
e aveva scritto un discorso da leggere sulla sua tomba.
è stato bravissimo, un eroe a modo suo.
aveva lasciato tutto perfettamente in ordine.
mercoledì 17 novembre 2010
confusione
avraham dice che quando ero in italia la casa era in perfetto ordine. da quando sono arrivata io è un casino, con scarpe ovunque , borse semiaperte, carte in ogni angolo.
ha ragione pover'uomo, ma ho la testa altrove.
prima ho dovuto bebisitterare le gemelle, poi è morto un carissinmo amico ( domani è il funerale)poi il convegno di oggi ( è andata bene ma è stato difficile) e poi, poi non so, ma ho la testa altrove.
per fortuna ieri almeno ho fatto in tempo a cucinare.
così di fame qui non si nmuore.
e tra un pò è di nuovo sabato.
il tempo qui passa più rapidamente che a virgoletta.
ha ragione pover'uomo, ma ho la testa altrove.
prima ho dovuto bebisitterare le gemelle, poi è morto un carissinmo amico ( domani è il funerale)poi il convegno di oggi ( è andata bene ma è stato difficile) e poi, poi non so, ma ho la testa altrove.
per fortuna ieri almeno ho fatto in tempo a cucinare.
così di fame qui non si nmuore.
e tra un pò è di nuovo sabato.
il tempo qui passa più rapidamente che a virgoletta.
martedì 16 novembre 2010
donne e sicurezza militare
ieri sera siamo andati fuori a cena e questa notte ho avuto un mal di stomaco spaventoso che mi ha tenuta sveglia fino alle 4. adesso sto benone ma ho preso una gran paura.
è difficile spiegare perchè tutto questo caldo a fine novembre mi dia fastidio , forse perchè il corpo ha bisogno anche di fresco, ogni tanto, e non di fresco artificiale.
cmq ho approfittato del gran star male per scrivere i punti principali della conferenza a cui partecipo oggi il cui tema è "le donne e la sicurezza".
tema problematico perchè le donne fanno il militare ma a nessuno viene in mente che possano diventare capi di stato maggiore . il loro compito è di piangere i loro morti,
compito che a suo tempo decisi di nascondere al mondo. (ho pianto tanto, ma nessuno l'ha mai visto tranne le persone che amo)e ho fatto tanto per la sicurezza del mio paese , quando ho invece iniziato a parlare....ne parlerò oggi
è difficile spiegare perchè tutto questo caldo a fine novembre mi dia fastidio , forse perchè il corpo ha bisogno anche di fresco, ogni tanto, e non di fresco artificiale.
cmq ho approfittato del gran star male per scrivere i punti principali della conferenza a cui partecipo oggi il cui tema è "le donne e la sicurezza".
tema problematico perchè le donne fanno il militare ma a nessuno viene in mente che possano diventare capi di stato maggiore . il loro compito è di piangere i loro morti,
compito che a suo tempo decisi di nascondere al mondo. (ho pianto tanto, ma nessuno l'ha mai visto tranne le persone che amo)e ho fatto tanto per la sicurezza del mio paese , quando ho invece iniziato a parlare....ne parlerò oggi
domenica 14 novembre 2010
bollettino meteorologico
lo so che suono come un bollettino metereologico ma fa ancora tanto caldo e malgrado il mare faccia voglia (è splendido) qui si sente il bisogno di un pò di aria fresca, di mettere una giacca, un berretto , un paltò. invece ovunque ancora funziona l'aria condizionata e tutti sognano la pioggia.
è proprio vero che l'essere umano sogna quello che non ha.
è proprio vero che l'essere umano sogna quello che non ha.
sabato 13 novembre 2010
ritorno a tel aviv
e rieccomi a casa, e al mio blog, dopo quasi un mese di silenzio.
ho lasciato un'italia umida e freddina e sono rientrata in una Tel aviv in cui si fa ancora tranquillamente il bagno al mare ( domani ci provo) e si gira in maglietta senza maniche , e in casa funziona ancora l'aria condizionata.
Incredibile come tutto cambi in tre ore di volo: il tempo, l'aria, la lingua, i colori, gli odori, la gente, tutto. Un altro mondo.
è stato un mese faticoso e anche molto bello,di ospiti e ancora ospiti, incontri, convegni, giri, culminato negli ultimi giorni di lavoro per il Centro Peres per la Pace (a Milano, Bologna, Firenze , Perugia e Roma).E una bellissima (spero, credo) serata con Amos Oz , Ron Pundak e Rodolfo De Benedetti a Milano.
Il giorno del mio arrivo a casa mi è arrivata la notizia di un terribile incidente ( si è sfracellato un aereo militare). Conoscevo bene il padre del pilota morto perchè aveva già perso un altro figlio , anche lui durante il servizio militare, 14 anni fa. E anche , una madre ha strangolato le sue due bambine subito dopo averle preparate per andare a scuola.
Un atto di follia, dicono.
ho lasciato un'italia umida e freddina e sono rientrata in una Tel aviv in cui si fa ancora tranquillamente il bagno al mare ( domani ci provo) e si gira in maglietta senza maniche , e in casa funziona ancora l'aria condizionata.
Incredibile come tutto cambi in tre ore di volo: il tempo, l'aria, la lingua, i colori, gli odori, la gente, tutto. Un altro mondo.
è stato un mese faticoso e anche molto bello,di ospiti e ancora ospiti, incontri, convegni, giri, culminato negli ultimi giorni di lavoro per il Centro Peres per la Pace (a Milano, Bologna, Firenze , Perugia e Roma).E una bellissima (spero, credo) serata con Amos Oz , Ron Pundak e Rodolfo De Benedetti a Milano.
Il giorno del mio arrivo a casa mi è arrivata la notizia di un terribile incidente ( si è sfracellato un aereo militare). Conoscevo bene il padre del pilota morto perchè aveva già perso un altro figlio , anche lui durante il servizio militare, 14 anni fa. E anche , una madre ha strangolato le sue due bambine subito dopo averle preparate per andare a scuola.
Un atto di follia, dicono.
sabato 30 ottobre 2010
a Virgoletta
ogni volta che arrivo qui vengo inghiottita dal mio minuscolo borgo... non ho avuto il tempo per scrivere una parola per interi quindici giorni, tra ospiti di ogni tipo, da Israele e dall'Italia, giri , viaggi piccoli e un pò più lunghi , pranzi e cene, convegni , mostre e premi.
questa sera la mia ospite si è addormentata sul divano e sono scappata al computer,domani sera arriva una coppia di amici da Israele.
il cielo stasera è grigio , si sentono dei bambini che giocano da qualche parte , fa freddo. a casa fa caldo e si sta bene. ho un pò nostalgia di figli , nipoti e avraham , ma sto così bene.
domani si va aLLA festa della castagna a virgoletta.
questa sera la mia ospite si è addormentata sul divano e sono scappata al computer,domani sera arriva una coppia di amici da Israele.
il cielo stasera è grigio , si sentono dei bambini che giocano da qualche parte , fa freddo. a casa fa caldo e si sta bene. ho un pò nostalgia di figli , nipoti e avraham , ma sto così bene.
domani si va aLLA festa della castagna a virgoletta.
giovedì 14 ottobre 2010
mercoledì 13 ottobre 2010
e di nuovo, pace, con la minuscola, e centro peres
mi chiedono cosa ne pensi io, "pacifista" ( ma con la minuscola) , di tutto quello che sta succedendo ed è successo qui.hanno ragione a chiedermelo. non sono bei tempi.
questa è la mia risposta.
non è molto, ma è meglio di niente.
"faccio"saving children...e se qualcuno ci vuole aiutare...
Il progetto Saving Children nacque nel 2003. Fu allora che per la prima volta dalla morte di mio figlio Joni, soldato ventenne in servizio militare nell’esercito israeliano, cinque anni prima, e tre anni dopo la mia lotta insieme al gruppo delle “Quattro madri” per il ritiro dell’esercito israeliano dal territorio libanese, ebbi l'intuizione che c’era un altro, ulteriore, importantissimo passo avanti da fare.
Scrissi un articolo per il “Corriere della sera”, erano gli anni dell’Intifada, e raccontai di un bambino palestinese di Betlemme malato di leucemia, in cura in Israele.
Scrissi che non potevo credere che a pochi chilometri di distanza, una malattia, in Israele curabile in gran parte dei casi, potesse diventare incurabile in Palestina per mancanza di medici e ospedali specializzati, e d’altra parte diventasse troppo costosa , se curata in Israele, per il bilancio di una normale famiglia palestinese.
Sapevo che molti dei bambini palestinesi malati venivano curati in Europa o in altri Stati limitrofi, ma vista la vicinanza fisica, mi sembrava più giusto , più pratico e più teso a un futuro di pace e normale convivenza umana che la cura avvenisse proprio in Israele, il Paese “nemico”, con l’aiuto della società civile israeliana e di quella italiana, che tanto ha a cuore il destino del popolo e dei bambini Palestinesi. Sognavo di creare un progetto non solo umanitario, ma anche e soprattutto politico nel vero senso della parola, che da una parte funzionasse rapidamente e con la minore burocrazia possibile, dall’altra creasse dei legami a lungo termine tra medici palestinesi e medici israeliani, società palestinese e società israeliana, con l’aiuto del progetto complementare Medilink per il training dei medici Palestinesi in ospedali israeliani. Questo secondo progetto ci unisce al popolo Palestinese nel loro diritto all’autonomia medica grazie a medici altamente specializzati e ad adeguate strutture ospedaliere Palestinesi.
Dall’Umbria arrivò la prima risposta a quell’articolo, e subito dopo si unirono al progetto, che divenne “Saving children”, la Toscana, l’Emilia Romagna, le Marche (con un progetto di costruzione di un’ala per malattie gravi all’Ospedale Augusta Victoria di Gerusalemme est), il Lazio, il Friuli Venezia Giulia, il Piemonte e un piccolo e splendido gruppo di “Amici del Centro Peres” a Torino.
Al dipartimento di Medicina del Centro Peres fu creato un centro logistico che tra i suoi compiti ha quello di coordinare e ottenere dall’esercito israeliano i permessi d’ingresso in Israele per i genitori dei bambini e li segue nel periodo che si trovano in Israele, e il progetto negli anni è diventato molto conosciuto in Palestina dai genitori dei piccoli malati e dalla società civile in generale. E altrettanto lo è diventato in Israele.
Più di 8000 bambini sono stati così curati attraverso “Saving Children”, e mai il progetto si è fermato, neppure nei momenti più bui dei rapporti tra Israele e Palestina, Israele e Gaza.
Non c’è giorno che non mi arrivi una telefonata da Gaza o da Ramallah , e non meno da Tel Aviv e Gerusalemme , per un piccolo paziente Palestinese, e Dio solo sa come tanti riescano a trovare il mio numero di telefono.
Dopotutto io non lavoro al Centro Peres, né ci ho mai lavorato.
Faccio solo la giornalista.
Saving Children
Medicine in the Service of Peace
The Peres Center For Peace
132 Kedem street, Tel Aviv-Jaffa, 68066
Tel: 972-3-5680-639, Fax: 972-3-624-3532
E-Mail: Rachel Hadari,
The "Saving Children" project was launched in 2003 in partnership with the Palestinian pediatric community in response to the needs of essential urgent child-care services that are not found in Palestine .
The project facilitates the referral of Palestinian babies and children to Israeli hospitals for complex investigations, diagnoses, and surgical procedures. The program successfully responds to such needs through thousands of consultation sessions, treatments and advanced surgeries. Typical procedures include open heart surgery, bone marrow transplantation, cochlear implantation, neurosurgery, orthopedic surgery as well as management consultation supporting the decision making process of Palestinian doctors.
The "Saving Children" project has received over 8,000 referrals to date. Of these, over 1650 have been referred for surgeries, about 5350 were referred for diagnostic procedures, management consultations and complex treatment procedures in such fields as genetics, proteomics, enzymes, neurology and neurosurgery, chemotherapy and other complex ailments. Over 500 children were referred for complex treatment such as chemotherapy and rehabilitation procedures unavailable in Palestine. About 1000 have been assessed by the project but eventually rejected by the Palestinian advisory committee, where services were available in Palestine. These patients were directed to the appropriate institution there. The majority of surgical procedures were devoted to open heart surgery, brain and neurosurgery, spine and orthopedic surgery bone marrow transplantation for children with cancer and cochlear implantation. Many of these referrals are newborns and babies where consultations and surgical procedures are not available in Palestine and often mean the only hope for survival. The youngest patient being 2 days old baby, and the oldest – 15 years.
The costs of the procedures and the complicated logistical arrangements are covered entirely by the project with no expenses accruing to the child or family. The Peres Center is dedicated to the overall management of the project. Its task involves coordination between Palestinian and Israeli medical practitioners and institutions, logistics including army entry permits to Israel, transportation, communication with parents, setting hospital appointments, negotiating financial arrangements with hospitals, assuring follow-ups and medical reporting, communication with referring physicians, documenting and reporting and eventually paying the bills.
Following an initial contribution for the treatment of the first child by the Regione Umbria in 2003, Saving Children took off in a big way through the adoption of the project, first by Regione Toscana, followed by the regions of Emilia-Romagna, Lazio, Friuli Venezia Giulia, Piemonte as well as by individuals and foundations from other European countries . Furthermore, the Israeli society contributes its share through discounting the cost of hospital services by 30%-50% off the Ministry of Health published tariff for Israeli patients.
The total financial value of services afforded by the project to-date is over €18,000,000 close to 50% of which has been contributed by the participating Israeli hospitals. Of this balance – over €7,000,000 were donated by the participating Italian regions, while about €2,000,000 were donated by a number of European and American foundations, institutions and individuals.
Saving Children does not merely reduce morbidity and mortality rates of Palestinian children, but its contribution to reconciliation between both civil societies – Israeli and Palestinian is most prominent. There is very little more emotive or appreciated cause than the saving of the life of a child, thus touching the life of an entire extended family.
questa è la mia risposta.
non è molto, ma è meglio di niente.
"faccio"saving children...e se qualcuno ci vuole aiutare...
Il progetto Saving Children nacque nel 2003. Fu allora che per la prima volta dalla morte di mio figlio Joni, soldato ventenne in servizio militare nell’esercito israeliano, cinque anni prima, e tre anni dopo la mia lotta insieme al gruppo delle “Quattro madri” per il ritiro dell’esercito israeliano dal territorio libanese, ebbi l'intuizione che c’era un altro, ulteriore, importantissimo passo avanti da fare.
Scrissi un articolo per il “Corriere della sera”, erano gli anni dell’Intifada, e raccontai di un bambino palestinese di Betlemme malato di leucemia, in cura in Israele.
Scrissi che non potevo credere che a pochi chilometri di distanza, una malattia, in Israele curabile in gran parte dei casi, potesse diventare incurabile in Palestina per mancanza di medici e ospedali specializzati, e d’altra parte diventasse troppo costosa , se curata in Israele, per il bilancio di una normale famiglia palestinese.
Sapevo che molti dei bambini palestinesi malati venivano curati in Europa o in altri Stati limitrofi, ma vista la vicinanza fisica, mi sembrava più giusto , più pratico e più teso a un futuro di pace e normale convivenza umana che la cura avvenisse proprio in Israele, il Paese “nemico”, con l’aiuto della società civile israeliana e di quella italiana, che tanto ha a cuore il destino del popolo e dei bambini Palestinesi. Sognavo di creare un progetto non solo umanitario, ma anche e soprattutto politico nel vero senso della parola, che da una parte funzionasse rapidamente e con la minore burocrazia possibile, dall’altra creasse dei legami a lungo termine tra medici palestinesi e medici israeliani, società palestinese e società israeliana, con l’aiuto del progetto complementare Medilink per il training dei medici Palestinesi in ospedali israeliani. Questo secondo progetto ci unisce al popolo Palestinese nel loro diritto all’autonomia medica grazie a medici altamente specializzati e ad adeguate strutture ospedaliere Palestinesi.
Dall’Umbria arrivò la prima risposta a quell’articolo, e subito dopo si unirono al progetto, che divenne “Saving children”, la Toscana, l’Emilia Romagna, le Marche (con un progetto di costruzione di un’ala per malattie gravi all’Ospedale Augusta Victoria di Gerusalemme est), il Lazio, il Friuli Venezia Giulia, il Piemonte e un piccolo e splendido gruppo di “Amici del Centro Peres” a Torino.
Al dipartimento di Medicina del Centro Peres fu creato un centro logistico che tra i suoi compiti ha quello di coordinare e ottenere dall’esercito israeliano i permessi d’ingresso in Israele per i genitori dei bambini e li segue nel periodo che si trovano in Israele, e il progetto negli anni è diventato molto conosciuto in Palestina dai genitori dei piccoli malati e dalla società civile in generale. E altrettanto lo è diventato in Israele.
Più di 8000 bambini sono stati così curati attraverso “Saving Children”, e mai il progetto si è fermato, neppure nei momenti più bui dei rapporti tra Israele e Palestina, Israele e Gaza.
Non c’è giorno che non mi arrivi una telefonata da Gaza o da Ramallah , e non meno da Tel Aviv e Gerusalemme , per un piccolo paziente Palestinese, e Dio solo sa come tanti riescano a trovare il mio numero di telefono.
Dopotutto io non lavoro al Centro Peres, né ci ho mai lavorato.
Faccio solo la giornalista.
Saving Children
Medicine in the Service of Peace
The Peres Center For Peace
132 Kedem street, Tel Aviv-Jaffa, 68066
Tel: 972-3-5680-639, Fax: 972-3-624-3532
E-Mail: Rachel Hadari
The "Saving Children" project was launched in 2003 in partnership with the Palestinian pediatric community in response to the needs of essential urgent child-care services that are not found in Palestine .
The project facilitates the referral of Palestinian babies and children to Israeli hospitals for complex investigations, diagnoses, and surgical procedures. The program successfully responds to such needs through thousands of consultation sessions, treatments and advanced surgeries. Typical procedures include open heart surgery, bone marrow transplantation, cochlear implantation, neurosurgery, orthopedic surgery as well as management consultation supporting the decision making process of Palestinian doctors.
The "Saving Children" project has received over 8,000 referrals to date. Of these, over 1650 have been referred for surgeries, about 5350 were referred for diagnostic procedures, management consultations and complex treatment procedures in such fields as genetics, proteomics, enzymes, neurology and neurosurgery, chemotherapy and other complex ailments. Over 500 children were referred for complex treatment such as chemotherapy and rehabilitation procedures unavailable in Palestine. About 1000 have been assessed by the project but eventually rejected by the Palestinian advisory committee, where services were available in Palestine. These patients were directed to the appropriate institution there. The majority of surgical procedures were devoted to open heart surgery, brain and neurosurgery, spine and orthopedic surgery bone marrow transplantation for children with cancer and cochlear implantation. Many of these referrals are newborns and babies where consultations and surgical procedures are not available in Palestine and often mean the only hope for survival. The youngest patient being 2 days old baby, and the oldest – 15 years.
The costs of the procedures and the complicated logistical arrangements are covered entirely by the project with no expenses accruing to the child or family. The Peres Center is dedicated to the overall management of the project. Its task involves coordination between Palestinian and Israeli medical practitioners and institutions, logistics including army entry permits to Israel, transportation, communication with parents, setting hospital appointments, negotiating financial arrangements with hospitals, assuring follow-ups and medical reporting, communication with referring physicians, documenting and reporting and eventually paying the bills.
Following an initial contribution for the treatment of the first child by the Regione Umbria in 2003, Saving Children took off in a big way through the adoption of the project, first by Regione Toscana, followed by the regions of Emilia-Romagna, Lazio, Friuli Venezia Giulia, Piemonte as well as by individuals and foundations from other European countries . Furthermore, the Israeli society contributes its share through discounting the cost of hospital services by 30%-50% off the Ministry of Health published tariff for Israeli patients.
The total financial value of services afforded by the project to-date is over €18,000,000 close to 50% of which has been contributed by the participating Israeli hospitals. Of this balance – over €7,000,000 were donated by the participating Italian regions, while about €2,000,000 were donated by a number of European and American foundations, institutions and individuals.
Saving Children does not merely reduce morbidity and mortality rates of Palestinian children, but its contribution to reconciliation between both civil societies – Israeli and Palestinian is most prominent. There is very little more emotive or appreciated cause than the saving of the life of a child, thus touching the life of an entire extended family.
domenica 10 ottobre 2010
premio exodus
sono di nuovo in partenza. venerdì all'alba
parteciperò a due premi, questo è uno,a La Spezia , mi senbra molto interessante , per chi abita in zona. e anche per chi non abita in zona....
http://www.premioexodus.it/index.php
EXODUS 2010 DECIMA EDIZIONE
Programma:
MERCOLEDI' 20 OTTOBRE.
Anteprima Exodus- Sezione Exodus Arte
CAMeC dalle ore 18.00:
Primo piano-Inaugurazione Mostra di Guido Ceronetti "Ti saluto mio secolo crudele"- con inediti
A cura di Marzia Ratti e Francesca V. Sommovigo
in collaborazione con il Fondo Ceronetti di Lugano, Diretto da Diana Rueesch.
Sarà presente l'Autore
Sala conferenze-"Io ricordo Exodus"-
Apertura Spazio video.
Proiezione di una selezione dei filmati esistenti e presentazione dei materiali dell'archivio di testimonianze raccolte durante il Progetto "Io ricordo Exodus".
A cura delle Istituzione per i Servizi Culturali del Comune della Spezia - Archivi Multimediali Sergio Fregoso.
Ideazione e curate da Marzia Ratti, Direttore Istituzione per i Servizi Culturali.
Collaborazione archivistica Maurizio Cavalli.
Interverranno: Marzia Ratti; Maurizio Cavalli; Don Gianni Botto- Fondatore del Gruppo Samuel della Spezia.
All'esterno della sala sarà possibile acquisire tramite offerta libera il dvd dal titolo "La Spezia porta di Sion"-
Incredibile documento Prodotto dal Gruppo Samuel e realizzato dal Gruppo Eliogabalo nel 2006.
Piano terra- "1014 una storia di uomini e numeri" Installazione multimediale sulla partenza degli ebrei dal Golfo della Spezia
Inaugurazione Installazione Museale Multimediale Interattiva di Paolo Ranieri e Beatrice Meoni
Consulenza storica di Maurizio Fiorillo
GIOVEDI' 21 OTTOBRE
Sala Dante ore 17.00
Inaugurazione Ufficiale Premio Exodus
Interverranno:
Angelo Berlangieri- Assessore alla Cultura Regione Liguria
Cinzia Aloisini- Presidente delle Istituzione per i Servizi Culturali della Spezia
Rav Roberto della Rocca- Direttore del Dipartimento Educazione e Cultura dell'UCEI ( Unione Comunità Ebraiche Italiane).
Exodus-La Spezia. Un ponte fra culture, esperienze e religioni: Stretta di mano fra realtà differenti:
Andrea Gottfried- Responsabile di Nessiah- Festival Internazionale di Musiche e Cultura Ebraica. Pisa (Toscana)
Elio Carmi- Antonio Monaco- Responsabili di Oy Oy Oy- Festival Internazionale di Cultura Ebraica. Casale Monferrato (Piemonte).
Menzione Speciale: Decennale di Exodus-
Consegna premio onorifico* a Adolfo Aharon Croccolo, Responsabile del culto della Comunità Ebraica della Spezia.
A seguire: Exodus Incontra ed Ascolta la Testimone dell'Olocausto: Liliana Segre.
Gli incontri dell'intera giornata saranno condotti da Lucia Marchiò- Giornalista de La Repubblica (Ge).
Teatro Civico- Ore 21.15 Una serata con Guido Ceronetti.
Programma: In esclusiva per Exodus: "Il Pensiero-Parola, è Carezza".
Proiezione di un estratto del Documento di Video/Intervista con Guido Ceronetti, realizzato nei mesi da giugno a settmbre 2010 per Exodus.
Progetto e realizzazione Francesca V. Sommovigo. Riprese e Montaggio Sacha Beverini. Fotografie Gianluca Ghinolfi.
A seguire: Un Tempo per parlare-Kairos:
Incontro dal vivo con lo scrittore Guido Ceronetti intervistato dal Vinicio Capossela, musicista
Letture del Maestro Ceronetti dal Qhoelet, da Isaac Singer, Martin Buber, Franz Kafka, David Grossman ed altri
Accompagnato dal suo musicista ed Attore Luca Mauceri detto Baruk
VENERDI' 22 OTTOBRE
Sala Dante-Ore 10.00
Gli autori di Exodus Incontrano il Pubblico e Gli studenti degli Ist. Medi e Superiori Cittadini in:
Religioni che parlano in giro-Tondo. Incontro sul dialogo possibile fra religioni diverse sul tema dell'Esilio.
Coordina Marco Politi-Scrittore, giornalista e vaticanista. Esperto di comunicazione religiosa.
Intervengono:
Kensur Rinpoce Ciampa Tegchock - membro del collegio, nominato abate direttamente da S: Santità il Dalai Lama, Esule in Italia, è uno dei più grandi esponenti del buddismo tibetano in Italia.
Rav Roberto della Rocca- Direttore Dipartimento Educazione e Cultura Ucei
Izzedin Elzir- Responsabile Ucoii ( Unione Comunità Islamiche Italiane).
Claudio Vercelli- Storico di cooperazione e relazioni religiose internazionali.
Letizia Tommasone: Esponente delegata della Consulta delle Comunità religiose della Spezia.
Centro Allende. Ore 15.00.
Progetto speciale a cura della Consulta delle Comunità religiose della Spezia:
"Voci d'esilio: storie e Spiritualità".
Spettacolo e incontri con musiche e danze per la rappresentazione e la spiegazione del tema dell'esilio nelle diverse religioni.
Con i vari esponenti delle minoranze della Consulta.
Sala Dante. Ore 17.00. Convegno aperto al Pubblico:
"Il Segno dell'Esilio ha la forma della Diversità" .
Intervengono:
Marco Politi- L'Esilio come rinascita dell'Eroe.
Anna Foa- L'Esilio come opportunità letteraria.
Manuela Dviri Vitali Norsa- L'Esilio del cuore nella perdita di Sè.
Uno spazio verrà dedicato all'Associazione Internazionale Saving Children.
Urban Center. Ore 19.00.
Ugo Panella- Che io non veda mai più:
Alla presenza dell'autore:
Proiezione e commento di alcuni fra i più significativi reportage civili del fotoreporter internazionale
a seguito delle più importanti ONG mondiali.
Cinema il Nuovo.Ore 21.15.
Proiezione gratuita del Film "Free Zone"
di Amos Gitai.
A cura di Silvano Andreini.
SABATO 23 OTTOBRE.
Sala Dante.Ore 10.00.Convegno aperto al Pubblico:
"Il Segno dell'Esilio ha la forma della Diversità" .
Intervengono: Eugenio Borgna.Le emozioni dell'Esilio respirano ad Arte.
Umberto Veronesi- La Pace come metodo sceintifico Antidoto "naturale contro ogni Esilio.
Uno spazio à dedicato alla Associazione Internazionale Science for Peace.
Centro Allende.Ore 16.30.
Exodus incontra la incredibile testimonianza di Perdono di Eva Kor Mozes
Superstite dell'olocausto e dei terribili esperimenti sui gemelli del dottor Mengele- il "dottor Morte",
Per imparare a sopravvivere, ricordare e perdonare l'Orrore.
Continuando ad esserne Memoria.
Teatro Civico. Ore 17.30.
CERIMONIA UFFICIALE DI CONSEGNA DEL PREMIO EXODUS 2010-X EDIZIONE A:
SHIRIN EBADI- PREMIO* EXODUS 2010
(già premio Nobel per la Pace 2003)
Accompagnata dalla Sua Assistente ed Interprete simultanea Ella Mohammadi
Un toccante Intervento sul tema dell'Esilio del Pensiero- per un Futuro di Pace.
Interverrano alla cerimonia di premiazione:
Claudio Burlando-Presidente Regione Liguria
Massimo Federici- Sindaco della Spezia
Adolfo Aharon Croccolo- Responsabile del Culto delle Comunità Ebraiche della Spezia.
Seguirà i rituali formali della Premiazione il Maestro Cerimoniere del Comune della Spezia ( qui lascia lo spazio per il nome).
Le Opere-Premio sono state realizzate dall'artista Cosimo Cimino.
Tutti gli eventi sono ad ingresso completamente gratuito.
Per informazioni:
www.premioexodus.it
info@premioexodus.it
Direzione Artistica:
Francesca V. Sommovigo
DiStanzeSnc@gmail.com
Presidenza delle Istituzioni Culturali della Spezia
Museo CAMeC-Segreteria della Presidenza
Referente info Premio Exodus Rosanna Volpi
Centro Arte Moderna e Contemporanea
Piazza C. Battisti 1 - 19121 La Spezia
tel +39 0187 734593 fax +39 0187 256773
Ufficio Stampa Comune della Spezia:
Luca della Torre (luca.dellatorre@comune.sp.it)
Federica Stellini (federica.stellini@comune.sp.it)
Telefono: 0187 727 324 - 0187 727 328
Fax: 0187 778 293
email: ufficiostampa@comune.sp.it
parteciperò a due premi, questo è uno,a La Spezia , mi senbra molto interessante , per chi abita in zona. e anche per chi non abita in zona....
http://www.premioexodus.it/index.php
EXODUS 2010 DECIMA EDIZIONE
Programma:
MERCOLEDI' 20 OTTOBRE.
Anteprima Exodus- Sezione Exodus Arte
CAMeC dalle ore 18.00:
Primo piano-Inaugurazione Mostra di Guido Ceronetti "Ti saluto mio secolo crudele"- con inediti
A cura di Marzia Ratti e Francesca V. Sommovigo
in collaborazione con il Fondo Ceronetti di Lugano, Diretto da Diana Rueesch.
Sarà presente l'Autore
Sala conferenze-"Io ricordo Exodus"-
Apertura Spazio video.
Proiezione di una selezione dei filmati esistenti e presentazione dei materiali dell'archivio di testimonianze raccolte durante il Progetto "Io ricordo Exodus".
A cura delle Istituzione per i Servizi Culturali del Comune della Spezia - Archivi Multimediali Sergio Fregoso.
Ideazione e curate da Marzia Ratti, Direttore Istituzione per i Servizi Culturali.
Collaborazione archivistica Maurizio Cavalli.
Interverranno: Marzia Ratti; Maurizio Cavalli; Don Gianni Botto- Fondatore del Gruppo Samuel della Spezia.
All'esterno della sala sarà possibile acquisire tramite offerta libera il dvd dal titolo "La Spezia porta di Sion"-
Incredibile documento Prodotto dal Gruppo Samuel e realizzato dal Gruppo Eliogabalo nel 2006.
Piano terra- "1014 una storia di uomini e numeri" Installazione multimediale sulla partenza degli ebrei dal Golfo della Spezia
Inaugurazione Installazione Museale Multimediale Interattiva di Paolo Ranieri e Beatrice Meoni
Consulenza storica di Maurizio Fiorillo
GIOVEDI' 21 OTTOBRE
Sala Dante ore 17.00
Inaugurazione Ufficiale Premio Exodus
Interverranno:
Angelo Berlangieri- Assessore alla Cultura Regione Liguria
Cinzia Aloisini- Presidente delle Istituzione per i Servizi Culturali della Spezia
Rav Roberto della Rocca- Direttore del Dipartimento Educazione e Cultura dell'UCEI ( Unione Comunità Ebraiche Italiane).
Exodus-La Spezia. Un ponte fra culture, esperienze e religioni: Stretta di mano fra realtà differenti:
Andrea Gottfried- Responsabile di Nessiah- Festival Internazionale di Musiche e Cultura Ebraica. Pisa (Toscana)
Elio Carmi- Antonio Monaco- Responsabili di Oy Oy Oy- Festival Internazionale di Cultura Ebraica. Casale Monferrato (Piemonte).
Menzione Speciale: Decennale di Exodus-
Consegna premio onorifico* a Adolfo Aharon Croccolo, Responsabile del culto della Comunità Ebraica della Spezia.
A seguire: Exodus Incontra ed Ascolta la Testimone dell'Olocausto: Liliana Segre.
Gli incontri dell'intera giornata saranno condotti da Lucia Marchiò- Giornalista de La Repubblica (Ge).
Teatro Civico- Ore 21.15 Una serata con Guido Ceronetti.
Programma: In esclusiva per Exodus: "Il Pensiero-Parola, è Carezza".
Proiezione di un estratto del Documento di Video/Intervista con Guido Ceronetti, realizzato nei mesi da giugno a settmbre 2010 per Exodus.
Progetto e realizzazione Francesca V. Sommovigo. Riprese e Montaggio Sacha Beverini. Fotografie Gianluca Ghinolfi.
A seguire: Un Tempo per parlare-Kairos:
Incontro dal vivo con lo scrittore Guido Ceronetti intervistato dal Vinicio Capossela, musicista
Letture del Maestro Ceronetti dal Qhoelet, da Isaac Singer, Martin Buber, Franz Kafka, David Grossman ed altri
Accompagnato dal suo musicista ed Attore Luca Mauceri detto Baruk
VENERDI' 22 OTTOBRE
Sala Dante-Ore 10.00
Gli autori di Exodus Incontrano il Pubblico e Gli studenti degli Ist. Medi e Superiori Cittadini in:
Religioni che parlano in giro-Tondo. Incontro sul dialogo possibile fra religioni diverse sul tema dell'Esilio.
Coordina Marco Politi-Scrittore, giornalista e vaticanista. Esperto di comunicazione religiosa.
Intervengono:
Kensur Rinpoce Ciampa Tegchock - membro del collegio, nominato abate direttamente da S: Santità il Dalai Lama, Esule in Italia, è uno dei più grandi esponenti del buddismo tibetano in Italia.
Rav Roberto della Rocca- Direttore Dipartimento Educazione e Cultura Ucei
Izzedin Elzir- Responsabile Ucoii ( Unione Comunità Islamiche Italiane).
Claudio Vercelli- Storico di cooperazione e relazioni religiose internazionali.
Letizia Tommasone: Esponente delegata della Consulta delle Comunità religiose della Spezia.
Centro Allende. Ore 15.00.
Progetto speciale a cura della Consulta delle Comunità religiose della Spezia:
"Voci d'esilio: storie e Spiritualità".
Spettacolo e incontri con musiche e danze per la rappresentazione e la spiegazione del tema dell'esilio nelle diverse religioni.
Con i vari esponenti delle minoranze della Consulta.
Sala Dante. Ore 17.00. Convegno aperto al Pubblico:
"Il Segno dell'Esilio ha la forma della Diversità" .
Intervengono:
Marco Politi- L'Esilio come rinascita dell'Eroe.
Anna Foa- L'Esilio come opportunità letteraria.
Manuela Dviri Vitali Norsa- L'Esilio del cuore nella perdita di Sè.
Uno spazio verrà dedicato all'Associazione Internazionale Saving Children.
Urban Center. Ore 19.00.
Ugo Panella- Che io non veda mai più:
Alla presenza dell'autore:
Proiezione e commento di alcuni fra i più significativi reportage civili del fotoreporter internazionale
a seguito delle più importanti ONG mondiali.
Cinema il Nuovo.Ore 21.15.
Proiezione gratuita del Film "Free Zone"
di Amos Gitai.
A cura di Silvano Andreini.
SABATO 23 OTTOBRE.
Sala Dante.Ore 10.00.Convegno aperto al Pubblico:
"Il Segno dell'Esilio ha la forma della Diversità" .
Intervengono: Eugenio Borgna.Le emozioni dell'Esilio respirano ad Arte.
Umberto Veronesi- La Pace come metodo sceintifico Antidoto "naturale contro ogni Esilio.
Uno spazio à dedicato alla Associazione Internazionale Science for Peace.
Centro Allende.Ore 16.30.
Exodus incontra la incredibile testimonianza di Perdono di Eva Kor Mozes
Superstite dell'olocausto e dei terribili esperimenti sui gemelli del dottor Mengele- il "dottor Morte",
Per imparare a sopravvivere, ricordare e perdonare l'Orrore.
Continuando ad esserne Memoria.
Teatro Civico. Ore 17.30.
CERIMONIA UFFICIALE DI CONSEGNA DEL PREMIO EXODUS 2010-X EDIZIONE A:
SHIRIN EBADI- PREMIO* EXODUS 2010
(già premio Nobel per la Pace 2003)
Accompagnata dalla Sua Assistente ed Interprete simultanea Ella Mohammadi
Un toccante Intervento sul tema dell'Esilio del Pensiero- per un Futuro di Pace.
Interverrano alla cerimonia di premiazione:
Claudio Burlando-Presidente Regione Liguria
Massimo Federici- Sindaco della Spezia
Adolfo Aharon Croccolo- Responsabile del Culto delle Comunità Ebraiche della Spezia.
Seguirà i rituali formali della Premiazione il Maestro Cerimoniere del Comune della Spezia ( qui lascia lo spazio per il nome).
Le Opere-Premio sono state realizzate dall'artista Cosimo Cimino.
Tutti gli eventi sono ad ingresso completamente gratuito.
Per informazioni:
www.premioexodus.it
info@premioexodus.it
Direzione Artistica:
Francesca V. Sommovigo
DiStanzeSnc@gmail.com
Presidenza delle Istituzioni Culturali della Spezia
Museo CAMeC-Segreteria della Presidenza
Referente info Premio Exodus Rosanna Volpi
Centro Arte Moderna e Contemporanea
Piazza C. Battisti 1 - 19121 La Spezia
tel +39 0187 734593 fax +39 0187 256773
Ufficio Stampa Comune della Spezia:
Luca della Torre (luca.dellatorre@comune.sp.it)
Federica Stellini (federica.stellini@comune.sp.it)
Telefono: 0187 727 324 - 0187 727 328
Fax: 0187 778 293
email: ufficiostampa@comune.sp.it
articolo di barbara spinelli
LA STAMPA, 10.10.2010
Il giornalismo davanti a un incrocio
BARBARA SPINELLI
Se apocalisse significa letteralmente ritiro del velo che copre le cose, quella che viviamo in Italia è l’apocalisse del giornalismo: è giornalismo denudato, svelato. È giornalismo che si trova davanti a un incrocio: se si fa forte, rinasce e ritrova lettori; se si compiace del proprio ruolo di golem della politica, perde i lettori per il semplice motivo che non ha mai pensato a loro. Diciamo subito che il male oltrepassa la piccola storia del Giornale di Sallusti e Feltri, nonostante la piccola storia sia tutt’altro che irrilevante: se la redazione è stata perquisita come fosse un covo di banditi, è perché da tempo il quotidiano si conduce in modo tale da suscitare sospetti, apprensione.
I suoi vertici orchestrano campagne di distruzione che colpiscono uno dopo l’altro chiunque osi criticare i proprietari della testata (la famiglia Berlusconi, il cui capo è premier): prima vennero le calunnie contro Veronica Lario, poi contro Dino Boffo direttore dell’Avvenire, poi per mesi contro Fini, adesso contro il presidente della Confindustria Emma Marcegaglia. Il male oltrepassa questa catena di operazioni belliche perché tutti i giornali scritti sono oggi al bivio.
La crisi è mondiale, i lettori si disaffezionano e invecchiano, i giovani cercano notizie su altre fonti: blog, giornali online. Philip Meyer, professore di giornalismo all’Università della Carolina del Nord, sostiene che l’ultimo quotidiano cartaceo uscirà nel 2040.
Viviamo dunque gli ultimi giorni della stampa scritta e vale la pena meditarli in un Paese, l’Italia, che li vive così male. Per questo le aggressioni a Fini e alla Marcegaglia sono decisive, vanno studiate come casi esemplari. Si dirà che è storia antica, che da sempre il giornalismo sfiora il sensazionalismo. Alla fine dell’800, chi scriveva senza verificare le fonti veniva chiamato yellow journalist, e i primi giornalisti-liquidatori innamorati del proprio potere politico furono Joseph Pulitzer e William Hearst (Citizen Kane nel film di Orson Welles).
Perché giornalismo giallo? Perché un vignettista di Pulitzer aveva dato questo nome - yellow kid - al protagonista dei propri fumetti. Ma quelli erano gli inizi del grande giornalismo, fatto anche di preziose inchieste. Perfino il compassato Economist apprezzava la cosiddetta furia mediatica. Negli Anni 50, il direttore Geoffrey Crowther prescrisse ai redattori il motto seguente: «Semplifica, e poi esagera» (simplify, then exaggerate).
Ora tuttavia non siamo agli inizi ma alla fine di una grande avventura. Per ogni giornale stampato è apocalisse, e a ogni giornalista tocca esaminarsi allo specchio e interrogarsi sulla professione che ha scelto, sul perché intende continuare, su quel che vuol difendere e in primis: su chi sono gli interlocutori che cerca, cui sarà fedele. Nel declino gli animi tendono a agitarsi ancora più scompostamente, e questo spiega lo squasso morale di tante testate (e tante teste) legate al magnate dei media che è Berlusconi. Se quest’ultimo volesse davvero governare normalmente, come pretende, dovrebbe interiorizzare le norme che intelaiano la democrazia e non solo rinunciare agli scudi che lo immunizzano dai processi ma ai tanti, troppi mezzi di comunicazione che possiede. Lo dovrebbe per rispetto della carica che ricopre. Aiuterebbe l’informazione a rinascere, a uscire meglio dalla crisi che comunque traversa.
Chi scrive queste righe, si è sforzato di avere come sola bussola i lettori: non sempre con successo, ma sempre tentando una risposta alle loro domande. Ritengo che il lettore influenzi il giornalista più di quanto il giornalista influenzi il pubblico: in ogni conversazione, l’ascoltatore ha una funzione non meno maieutica di chi parla. Per un professionista che ami investigare sulla verità dei fatti, questo legame con chi lo legge prevale su ogni altro legame, con politici o colleghi. Una tavola rotonda fra giornalisti, senza lettori, ha qualcosa di osceno.
Tanto più sono colpita dalla condotta di esponenti del nostro mestiere che sembrano appartenere alle bande mafiose dei romanzi di Chandler. Nella loro distruttività usano la parola, i dossier o le foto alla stregua di pistole. Minacciano, prima ancora di mettersi davanti al computer.
Soprattutto, gridano alla libertà di stampa assediata, quando il velo cade e li svela. Hanno ragione quando difendono il diritto alle inchieste più trasgressive, e sempre può capitare l’errore: chi non sbaglia mai non è un reporter. Quel che non si può fare, è telefonare alla persona su cui s’indaga e intimidirla, promettendo di non agire in cambio di qualcosa. In tal caso non è inchiesta ma ricatto, seguito semmai da vendetta. È qui che entriamo nel romanzo criminale, nella logica non dell’articolo ma del pizzino. Il giornalista Lonnie Morgan dice a Marlowe, nel Lungo Addio: «Per come la penso io, bloccare le indagini su un omicidio con una telefonata e bloccarle stendendo il testimone è solo questione di metodo. La civiltà storce il naso in entrambi i casi».
Conviene ascoltare e riascoltare le parole pronunciate dai vertici del Giornale, perché inaudita è la violenza che emanano. Sentiamo quel che il vicedirettore Porro dice al telefono, pochi minuti dopo aver spedito un minatorio sms, a Rinaldo Arpisella, portavoce della Marcegaglia: «Ora ci divertiamo, per venti giorni romperemo il c... alla Marcegaglia come pochi al mondo. Abbiamo spostato i segugi da Montecarlo a Mantova». Perché? «Perché non sembra berlusconiana,... e non ci ha mai filati». Porro s’è presentato tempo fa in tv come «volto umano» del quotidiano (la «belva umana» è secondo lui Sallusti). Il presidente della Confindustria, come Boffo o Fini, ha criticato il premier: questo peccato mortale, non altri ritenuti veniali, indigna i giornalisti-vendicatori.
Il turpiloquio non è perseguibile: alla cornetta si dicono tante cose. Quel che è scandaloso viene dopo la telefonata. Spaventata dai malavitosi avvertimenti, la Marcegaglia telefona a Confalonieri, presidente di Mediaset e consigliere d’amministrazione del Giornale. Confalonieri telefona a Feltri, direttore editoriale. Si ottiene un accordo. Si parlerà della Marcegaglia, ma con cura: pubblicando magari articoli, fin qui ignorati, di altri giornali. È così che il giornalista si tramuta in smistatore di pizzini, e demolitore della propria professione.
Quello del giornalista è un bel mestiere con brutte abitudini, e tale doppiezza gli sta accanto sempre. È qui che l’occhio del lettore aiuta a star diritti, a non farsi usare: è il lettore il suo sovrano, anche se la maggior parte dei giornali dipende purtroppo, in Italia, da industriali e non da editori. Berlusconi ha reso più che mai evidente un vizio ben antico. Così come lui carezza la sovranità del popolo senza rispettarlo, così rischiamo di fare noi con i lettori. Rispettarli è l’unica via per lottare contro la nostra fine, e le opportunità non mancano: è il resoconto veritiero, è smascherare le falsità. È servire la persona che ancora acquista giornali. Ci vuole qualcuno che trattenga l’apocalisse, cioè l’avvento dell’anomia, dell’illegalità generalizzata: un katéchon, come nella seconda lettera di Paolo ai Tessalonicesi (2,6-7).
Il giornalista che aspira a «trattenere» lo squasso è in costante stato di Lungo Addio, come il private eye di Chandler. Il suo è un addio alle manipolazioni, alle congetture infondate, alla politica da cui è usato, ai tempi del Palazzo, a tutto ciò che lo allontana da tanti lettori che perdono interesse nei giornali scritti, troppo costosi per esser liberi. Chi vive nella coscienza d’un commiato sempre incombente sa che c’è un solo modo di congedarsi dalle male educazioni del mestiere: solo se il Lungo Addio, come per Philip Marlowe, ignora le bombe a orologeria ed è «triste, solitario e finale».
Il giornalismo davanti a un incrocio
BARBARA SPINELLI
Se apocalisse significa letteralmente ritiro del velo che copre le cose, quella che viviamo in Italia è l’apocalisse del giornalismo: è giornalismo denudato, svelato. È giornalismo che si trova davanti a un incrocio: se si fa forte, rinasce e ritrova lettori; se si compiace del proprio ruolo di golem della politica, perde i lettori per il semplice motivo che non ha mai pensato a loro. Diciamo subito che il male oltrepassa la piccola storia del Giornale di Sallusti e Feltri, nonostante la piccola storia sia tutt’altro che irrilevante: se la redazione è stata perquisita come fosse un covo di banditi, è perché da tempo il quotidiano si conduce in modo tale da suscitare sospetti, apprensione.
I suoi vertici orchestrano campagne di distruzione che colpiscono uno dopo l’altro chiunque osi criticare i proprietari della testata (la famiglia Berlusconi, il cui capo è premier): prima vennero le calunnie contro Veronica Lario, poi contro Dino Boffo direttore dell’Avvenire, poi per mesi contro Fini, adesso contro il presidente della Confindustria Emma Marcegaglia. Il male oltrepassa questa catena di operazioni belliche perché tutti i giornali scritti sono oggi al bivio.
La crisi è mondiale, i lettori si disaffezionano e invecchiano, i giovani cercano notizie su altre fonti: blog, giornali online. Philip Meyer, professore di giornalismo all’Università della Carolina del Nord, sostiene che l’ultimo quotidiano cartaceo uscirà nel 2040.
Viviamo dunque gli ultimi giorni della stampa scritta e vale la pena meditarli in un Paese, l’Italia, che li vive così male. Per questo le aggressioni a Fini e alla Marcegaglia sono decisive, vanno studiate come casi esemplari. Si dirà che è storia antica, che da sempre il giornalismo sfiora il sensazionalismo. Alla fine dell’800, chi scriveva senza verificare le fonti veniva chiamato yellow journalist, e i primi giornalisti-liquidatori innamorati del proprio potere politico furono Joseph Pulitzer e William Hearst (Citizen Kane nel film di Orson Welles).
Perché giornalismo giallo? Perché un vignettista di Pulitzer aveva dato questo nome - yellow kid - al protagonista dei propri fumetti. Ma quelli erano gli inizi del grande giornalismo, fatto anche di preziose inchieste. Perfino il compassato Economist apprezzava la cosiddetta furia mediatica. Negli Anni 50, il direttore Geoffrey Crowther prescrisse ai redattori il motto seguente: «Semplifica, e poi esagera» (simplify, then exaggerate).
Ora tuttavia non siamo agli inizi ma alla fine di una grande avventura. Per ogni giornale stampato è apocalisse, e a ogni giornalista tocca esaminarsi allo specchio e interrogarsi sulla professione che ha scelto, sul perché intende continuare, su quel che vuol difendere e in primis: su chi sono gli interlocutori che cerca, cui sarà fedele. Nel declino gli animi tendono a agitarsi ancora più scompostamente, e questo spiega lo squasso morale di tante testate (e tante teste) legate al magnate dei media che è Berlusconi. Se quest’ultimo volesse davvero governare normalmente, come pretende, dovrebbe interiorizzare le norme che intelaiano la democrazia e non solo rinunciare agli scudi che lo immunizzano dai processi ma ai tanti, troppi mezzi di comunicazione che possiede. Lo dovrebbe per rispetto della carica che ricopre. Aiuterebbe l’informazione a rinascere, a uscire meglio dalla crisi che comunque traversa.
Chi scrive queste righe, si è sforzato di avere come sola bussola i lettori: non sempre con successo, ma sempre tentando una risposta alle loro domande. Ritengo che il lettore influenzi il giornalista più di quanto il giornalista influenzi il pubblico: in ogni conversazione, l’ascoltatore ha una funzione non meno maieutica di chi parla. Per un professionista che ami investigare sulla verità dei fatti, questo legame con chi lo legge prevale su ogni altro legame, con politici o colleghi. Una tavola rotonda fra giornalisti, senza lettori, ha qualcosa di osceno.
Tanto più sono colpita dalla condotta di esponenti del nostro mestiere che sembrano appartenere alle bande mafiose dei romanzi di Chandler. Nella loro distruttività usano la parola, i dossier o le foto alla stregua di pistole. Minacciano, prima ancora di mettersi davanti al computer.
Soprattutto, gridano alla libertà di stampa assediata, quando il velo cade e li svela. Hanno ragione quando difendono il diritto alle inchieste più trasgressive, e sempre può capitare l’errore: chi non sbaglia mai non è un reporter. Quel che non si può fare, è telefonare alla persona su cui s’indaga e intimidirla, promettendo di non agire in cambio di qualcosa. In tal caso non è inchiesta ma ricatto, seguito semmai da vendetta. È qui che entriamo nel romanzo criminale, nella logica non dell’articolo ma del pizzino. Il giornalista Lonnie Morgan dice a Marlowe, nel Lungo Addio: «Per come la penso io, bloccare le indagini su un omicidio con una telefonata e bloccarle stendendo il testimone è solo questione di metodo. La civiltà storce il naso in entrambi i casi».
Conviene ascoltare e riascoltare le parole pronunciate dai vertici del Giornale, perché inaudita è la violenza che emanano. Sentiamo quel che il vicedirettore Porro dice al telefono, pochi minuti dopo aver spedito un minatorio sms, a Rinaldo Arpisella, portavoce della Marcegaglia: «Ora ci divertiamo, per venti giorni romperemo il c... alla Marcegaglia come pochi al mondo. Abbiamo spostato i segugi da Montecarlo a Mantova». Perché? «Perché non sembra berlusconiana,... e non ci ha mai filati». Porro s’è presentato tempo fa in tv come «volto umano» del quotidiano (la «belva umana» è secondo lui Sallusti). Il presidente della Confindustria, come Boffo o Fini, ha criticato il premier: questo peccato mortale, non altri ritenuti veniali, indigna i giornalisti-vendicatori.
Il turpiloquio non è perseguibile: alla cornetta si dicono tante cose. Quel che è scandaloso viene dopo la telefonata. Spaventata dai malavitosi avvertimenti, la Marcegaglia telefona a Confalonieri, presidente di Mediaset e consigliere d’amministrazione del Giornale. Confalonieri telefona a Feltri, direttore editoriale. Si ottiene un accordo. Si parlerà della Marcegaglia, ma con cura: pubblicando magari articoli, fin qui ignorati, di altri giornali. È così che il giornalista si tramuta in smistatore di pizzini, e demolitore della propria professione.
Quello del giornalista è un bel mestiere con brutte abitudini, e tale doppiezza gli sta accanto sempre. È qui che l’occhio del lettore aiuta a star diritti, a non farsi usare: è il lettore il suo sovrano, anche se la maggior parte dei giornali dipende purtroppo, in Italia, da industriali e non da editori. Berlusconi ha reso più che mai evidente un vizio ben antico. Così come lui carezza la sovranità del popolo senza rispettarlo, così rischiamo di fare noi con i lettori. Rispettarli è l’unica via per lottare contro la nostra fine, e le opportunità non mancano: è il resoconto veritiero, è smascherare le falsità. È servire la persona che ancora acquista giornali. Ci vuole qualcuno che trattenga l’apocalisse, cioè l’avvento dell’anomia, dell’illegalità generalizzata: un katéchon, come nella seconda lettera di Paolo ai Tessalonicesi (2,6-7).
Il giornalista che aspira a «trattenere» lo squasso è in costante stato di Lungo Addio, come il private eye di Chandler. Il suo è un addio alle manipolazioni, alle congetture infondate, alla politica da cui è usato, ai tempi del Palazzo, a tutto ciò che lo allontana da tanti lettori che perdono interesse nei giornali scritti, troppo costosi per esser liberi. Chi vive nella coscienza d’un commiato sempre incombente sa che c’è un solo modo di congedarsi dalle male educazioni del mestiere: solo se il Lungo Addio, come per Philip Marlowe, ignora le bombe a orologeria ed è «triste, solitario e finale».
sabato 9 ottobre 2010
marcello (uscito su gq)
Mi sono addormentata guardando uno di quei cretini film americani pieni di pompati e palestrati e mi sono svegliata, chissà perché, con una grande nostalgia di Marcello Mastroianni.
Ho continuato a sognarmelo a occhi aperti, il giorno dopo, appena scesa dal volo da Tel Aviv e poi sudando su un treno da Milano a Parma, che era, a dir poco, bollente (si era rotta l’aria condizionata).
Lui di certo non avrebbe sudato, o forse non sarebbe salito tout court su quel treno, mi son detta amaramente. Chissà. Dopotutto era di un’altra generazione. Aveva l’età di mia madre.
Non era bellissimo, il grande Marcello, come muscoli non mi sembrava un granché, ma quando ti guardava con quei grandi occhi liquidi scuri da cucciolo sperduto e ti parlava con la sua voce modulata, leggermente nasale, non c’era donna al mondo che non sarebbe caduta ai suoi piedi, e sue furono, infatti, le donne più desiderate e le più belle del mondo.
Forse non era neanche un grande attore, in fondo era sempre lui e solo lui, sapeva recitare bene solo stesso, ma quello bastava. Era ironico, intelligente, consapevole, pigro, indifeso, bugiardo, distaccato, vulnerabile, sincero: era il nuovo maschio italiano.
Lo era anche nell’eleganza, molto diversa da quella della generazione precedente che portava vestito grigio, cravatta e cappello, mentre lui vestiva con disinvoltura la giacca blu e sotto la maglietta con il collo alto che da allora sarebbe diventata per sempre la “dolce vita”; in “Divorzio all’italiana”, fu la volta degli occhiali da sole Persol 469, che sarebbero poi diventati noti ovunque, come fu famosa la Triumph che guidava nella “Dolce Vita”.
Il più simile a lui, oggi, è forse George Clooney, il bel maschio con gli occhi assassini e la voce un po’ roca, che quando, alcuni giorni fa, si è presentato in tribunale a Milano come parte lesa in un processo, è stato aggredito da un’orda di femmine in calore tanto da far prendere paura al giudice.
Solo, che, ahimè, su George da tempo girano insistenti voci, malgrado le apparenze, sulle sue preferenze sessuali.
Che girano da anni anche su Richard Gere (ma io non ci credo assolutamente!), che, se da giovane era machissimo, oggi, con i suoi bei capelli bianchi candidi, gli occhiali da vista e l’aria un po’ sperduta del miope, è di un fascino che ti lascia senza parole, secondo me molto, ma molto maggiore, di quando faceva l’“American Gigolò” o “L’ufficiale Gentiluomo”. Ho avuto anche il piacere di incontrarlo ben tre (3!!!) volte e di chiacchierare con lui a lungo, e malgrado abbia un bel nasone e due occhietti niente di che, quando sorride, è come se gli si accendesse una luce negli occhi e il sole splendesse, improvvisamente, molto di più, e solo per te. Gli perdoneresti qualsiasi cosa.
Mai visto nulla di simile negli occhi di un Rambo o di uno Schwarzenegger o di un mister Muscolo unto tutto d’olio che sembra sia lì lì per esplodere. E anche i Chippendales, che secondo Brad Pitt, al bel Clooney piacciono da matti (ma io non ci credo), a me non fanno né caldo né freddo.
Mi sembra, ma son quasi sicura di sbagliarmi, che piacciano più ai maschi che a noi femmine.
O mi sbaglio?
Di certo, il bel Marcello non li avrebbe degnati di uno sguardo.
Ho continuato a sognarmelo a occhi aperti, il giorno dopo, appena scesa dal volo da Tel Aviv e poi sudando su un treno da Milano a Parma, che era, a dir poco, bollente (si era rotta l’aria condizionata).
Lui di certo non avrebbe sudato, o forse non sarebbe salito tout court su quel treno, mi son detta amaramente. Chissà. Dopotutto era di un’altra generazione. Aveva l’età di mia madre.
Non era bellissimo, il grande Marcello, come muscoli non mi sembrava un granché, ma quando ti guardava con quei grandi occhi liquidi scuri da cucciolo sperduto e ti parlava con la sua voce modulata, leggermente nasale, non c’era donna al mondo che non sarebbe caduta ai suoi piedi, e sue furono, infatti, le donne più desiderate e le più belle del mondo.
Forse non era neanche un grande attore, in fondo era sempre lui e solo lui, sapeva recitare bene solo stesso, ma quello bastava. Era ironico, intelligente, consapevole, pigro, indifeso, bugiardo, distaccato, vulnerabile, sincero: era il nuovo maschio italiano.
Lo era anche nell’eleganza, molto diversa da quella della generazione precedente che portava vestito grigio, cravatta e cappello, mentre lui vestiva con disinvoltura la giacca blu e sotto la maglietta con il collo alto che da allora sarebbe diventata per sempre la “dolce vita”; in “Divorzio all’italiana”, fu la volta degli occhiali da sole Persol 469, che sarebbero poi diventati noti ovunque, come fu famosa la Triumph che guidava nella “Dolce Vita”.
Il più simile a lui, oggi, è forse George Clooney, il bel maschio con gli occhi assassini e la voce un po’ roca, che quando, alcuni giorni fa, si è presentato in tribunale a Milano come parte lesa in un processo, è stato aggredito da un’orda di femmine in calore tanto da far prendere paura al giudice.
Solo, che, ahimè, su George da tempo girano insistenti voci, malgrado le apparenze, sulle sue preferenze sessuali.
Che girano da anni anche su Richard Gere (ma io non ci credo assolutamente!), che, se da giovane era machissimo, oggi, con i suoi bei capelli bianchi candidi, gli occhiali da vista e l’aria un po’ sperduta del miope, è di un fascino che ti lascia senza parole, secondo me molto, ma molto maggiore, di quando faceva l’“American Gigolò” o “L’ufficiale Gentiluomo”. Ho avuto anche il piacere di incontrarlo ben tre (3!!!) volte e di chiacchierare con lui a lungo, e malgrado abbia un bel nasone e due occhietti niente di che, quando sorride, è come se gli si accendesse una luce negli occhi e il sole splendesse, improvvisamente, molto di più, e solo per te. Gli perdoneresti qualsiasi cosa.
Mai visto nulla di simile negli occhi di un Rambo o di uno Schwarzenegger o di un mister Muscolo unto tutto d’olio che sembra sia lì lì per esplodere. E anche i Chippendales, che secondo Brad Pitt, al bel Clooney piacciono da matti (ma io non ci credo), a me non fanno né caldo né freddo.
Mi sembra, ma son quasi sicura di sbagliarmi, che piacciano più ai maschi che a noi femmine.
O mi sbaglio?
Di certo, il bel Marcello non li avrebbe degnati di uno sguardo.
venerdì 8 ottobre 2010
ed è di nuovo sabato
Per la prima volta a Tel Aviv oggi ha piovuto e il mare è mosso, ma fa ugualmente caldo.
Sono appena arrivate le gemelle ma le ho spedite al tempio con il nonno. Le amo molto ma mi stancano e comunque rimarranno qui fino a domani...
Ho aperto i giornali , coi supplementi del sabato : non c'è ottimismo ,I colloqui di pace per ora vanno malino, anzi male.
A propsito, due articoli usciti su vanity fair delle ultime due settimane
V A N I T Y F A I R I 2 9 . 0 9 . 2 0 1 0
In questi giorni di settembre, gli ebrei,
in Israele e nel mondo, festeggiano i
yamim noraim, i «giorni terribili» o
di «timore reverenziale», tra il Capodanno
ebraico e Yom Kippur, giornata
di digiuno, pentimento e introspezione.
La parabola talmudica racconta che in
questi giorni Dio fa passare davanti a lui,
per giudicarli, tutti gli uomini, e ognuno
potrà ricevere il perdono per i peccati
contro Dio, ma non per quelli verso altri
uomini, a meno che non sia stato ottenuto
il perdono della persona o esa.
Più o meno negli stessi giorni, cade anche
la festa musulmana di Eid ul-Fitr, che segna
la ne del digiuno del Ramadan, che,
secondo il Corano, è stato istituito perché
tutti i fedeli possano coltivare la pietà. Siamo
quindi in un momento simbolicamente
ideale per i colloqui di pace iniziati tra
israeliani e palestinesi. Il falco Netanyahu
ha persino a ermato solennemente di volere
mettere ne al con itto mediorientale
«una volta per tutte». Parole storiche,
dette da un leader della destra israeliana.
Anche se sulla politica degli insediamenti
la tensione non diminuisce. Tanto da
essere servita da «alibi» per l’ennesimo
assurdo massacro di quattro coloni israeliani.
Obama ha subito avvertito che a
nessuno sarà permesso di sabotare la ripresa
dei negoziati diretti. «Voglio che sia
chiaro a tutti», ha a ermato, «ad Hamas
e a chiunque rivendichi questi odiosi crimini,
che non ci fermeranno dal garantire
una pace duratura».
Sarà. Nessuno, qui in Medioriente, compresa
la sottoscritta, crede che la pace,
duratura o meno, esploderà, come promesso
da Obama, esattamente entro i
prossimi 11 mesi. Nessuno riesce più a
crederci. La retorica della pace ci lascia
ormai indi erenti. Troppe volte abbiamo
visto leader, ogni volta diversi, fare gli
stessi gesti, dire le stesse parole, seduti
allo stesso tavolo.
Eppure non mi arrendo. Non mi arrendo
assieme a tanti altri, a tutti coloro, qui
e nel mondo, che da anni lavorano dal
basso per il futuro degli abitanti di questa
nostra terra.
Non per ottimismo continuiamo, non
per ingenuità, persino non per idealismo,
ma perché non c’è veramente altra
scelta. La nostra è una sorta di preghiera
laica: «preghiamo» non per la Pace con
la maiuscola, parola ormai troppo usata,
troppo grande, diventata vuota a forza
di tradirla, ma per costruire un concreto
modello di convivenza. È chiedere troppo
in questi «giorni terribili»? Qualcuno
ci ascolta?
84 I V A N I T Y F A I R I 0 6 . 1 0 . 2 0 1 0
A sinistra un cimitero musulmano,
di fronte mare calmo e lucido,
nell’aria il profumo del
pane arabo appena cotto, sul
piazzale donne palestinesi col capo coperto
dal hijab chiacchierano con giovani
israeliane in jeans, uno sceicco vestito
di bianco si apparta con eleganti signori
in giacca e cravatta, orde di bambini
urlanti di tutti i colori e le nazionalità,
palestinesi, israeliani, africani, filippini,
russi, cinesi, scorrazzano ovunque leccando
un gelato.
No, non è la scena di un film di fantascienza
sulla futura pace in Medioriente,
e non sono morta e questo non è il paradiso:
è solo il modo in cui i ragazzi del
Centro Peres per la Pace hanno deciso
di festeggiare la Giornata internazionale
della pace (il 21 settembre), ovunque
dimenticata.
E così, mentre altrove signori in doppiopetto
discutevano di moratorie e colonie
nel nuovo giro di (per ora assai infelici)
colloqui di pace, un piccolo miracolo
avveniva sulla spiaggia di Jaffa: all’inizio
decine, poi centinaia e centinaia di bambini,
israeliani e palestinesi, musulmani,
ebrei e cristiani, si sistemavano tutt’intorno
per formare il simbolo della pace,
stretti uno accanto all’altro, sotto il sole,
ridendo e scalciando, sventolando al
cielo lenzuoli colorati. E chi ci pensava,
lì, a quei tristi colloqui?
Certo non ci pensavano le mie nipoti
(che erano venute con la nonna a festeggiare
la pace).
Con loro ho fatto il giro completo del
più surrealistico, incredibile, libero, colorato
e sgarrupato dei festival, a cui gli
organizzatori avevano invitato non solo
i figli e i nipoti dei partner del conflitto,
i palestinesi e gli israeliani, ma anche i
figli dei rifugiati africani e dei lavoratori
esteri filippini, cinesi, romeni, russi e di
ogni nazione possibile e immaginabile,
e non c’era lingua o colore della pelle
che non fossero rappresentati. Una
meraviglia.
Abbiamo visto insieme uno spettacolo
teatrale di due bambini divisi da un
muro (in arabo e in ebraico), assaggiato
olio extravergine d’oliva israeliano e
palestinese, piantato alberelli della pace,
ammirato una mostra fotografica
israeliana e palestinese, ci siamo fatti
fare reiki per la pace, abbiamo dipinto
la pace, giocato la pace a pallone, mangiato
pita offerta da un fornaio arabo di
Jaffa, gelato messo a disposizione da un
gelataio locale, e pane sottile sottile col
formaggio acido (labane) di una nonna
drusa, e mai durante tutta la giornata s’è
vista la presenza di polizia o di guardie
armate, malgrado il grande numero di
israeliani e palestinesi insieme. E che
bisogno ce ne sarebbe mai stato?
Ce ne siamo tornate a casa al tramonto,
mentre sulla spiaggia stavano iniziando
a suonare le bande rock. È stato un
giorno talmente «normale», un tale modello
di come potrebbe essere la nostra
vita, e talmente emozionante e bello e
libero dalla puzza della paura e del sospetto,
che per un attimo mi è sembrato
tutto vero, tutto possibile, concreto,
realizzabile.
A casa ho trovato l’invito ad andare a
prendermi le maschere anti-gas.
Sono appena arrivate le gemelle ma le ho spedite al tempio con il nonno. Le amo molto ma mi stancano e comunque rimarranno qui fino a domani...
Ho aperto i giornali , coi supplementi del sabato : non c'è ottimismo ,I colloqui di pace per ora vanno malino, anzi male.
A propsito, due articoli usciti su vanity fair delle ultime due settimane
V A N I T Y F A I R I 2 9 . 0 9 . 2 0 1 0
In questi giorni di settembre, gli ebrei,
in Israele e nel mondo, festeggiano i
yamim noraim, i «giorni terribili» o
di «timore reverenziale», tra il Capodanno
ebraico e Yom Kippur, giornata
di digiuno, pentimento e introspezione.
La parabola talmudica racconta che in
questi giorni Dio fa passare davanti a lui,
per giudicarli, tutti gli uomini, e ognuno
potrà ricevere il perdono per i peccati
contro Dio, ma non per quelli verso altri
uomini, a meno che non sia stato ottenuto
il perdono della persona o esa.
Più o meno negli stessi giorni, cade anche
la festa musulmana di Eid ul-Fitr, che segna
la ne del digiuno del Ramadan, che,
secondo il Corano, è stato istituito perché
tutti i fedeli possano coltivare la pietà. Siamo
quindi in un momento simbolicamente
ideale per i colloqui di pace iniziati tra
israeliani e palestinesi. Il falco Netanyahu
ha persino a ermato solennemente di volere
mettere ne al con itto mediorientale
«una volta per tutte». Parole storiche,
dette da un leader della destra israeliana.
Anche se sulla politica degli insediamenti
la tensione non diminuisce. Tanto da
essere servita da «alibi» per l’ennesimo
assurdo massacro di quattro coloni israeliani.
Obama ha subito avvertito che a
nessuno sarà permesso di sabotare la ripresa
dei negoziati diretti. «Voglio che sia
chiaro a tutti», ha a ermato, «ad Hamas
e a chiunque rivendichi questi odiosi crimini,
che non ci fermeranno dal garantire
una pace duratura».
Sarà. Nessuno, qui in Medioriente, compresa
la sottoscritta, crede che la pace,
duratura o meno, esploderà, come promesso
da Obama, esattamente entro i
prossimi 11 mesi. Nessuno riesce più a
crederci. La retorica della pace ci lascia
ormai indi erenti. Troppe volte abbiamo
visto leader, ogni volta diversi, fare gli
stessi gesti, dire le stesse parole, seduti
allo stesso tavolo.
Eppure non mi arrendo. Non mi arrendo
assieme a tanti altri, a tutti coloro, qui
e nel mondo, che da anni lavorano dal
basso per il futuro degli abitanti di questa
nostra terra.
Non per ottimismo continuiamo, non
per ingenuità, persino non per idealismo,
ma perché non c’è veramente altra
scelta. La nostra è una sorta di preghiera
laica: «preghiamo» non per la Pace con
la maiuscola, parola ormai troppo usata,
troppo grande, diventata vuota a forza
di tradirla, ma per costruire un concreto
modello di convivenza. È chiedere troppo
in questi «giorni terribili»? Qualcuno
ci ascolta?
84 I V A N I T Y F A I R I 0 6 . 1 0 . 2 0 1 0
A sinistra un cimitero musulmano,
di fronte mare calmo e lucido,
nell’aria il profumo del
pane arabo appena cotto, sul
piazzale donne palestinesi col capo coperto
dal hijab chiacchierano con giovani
israeliane in jeans, uno sceicco vestito
di bianco si apparta con eleganti signori
in giacca e cravatta, orde di bambini
urlanti di tutti i colori e le nazionalità,
palestinesi, israeliani, africani, filippini,
russi, cinesi, scorrazzano ovunque leccando
un gelato.
No, non è la scena di un film di fantascienza
sulla futura pace in Medioriente,
e non sono morta e questo non è il paradiso:
è solo il modo in cui i ragazzi del
Centro Peres per la Pace hanno deciso
di festeggiare la Giornata internazionale
della pace (il 21 settembre), ovunque
dimenticata.
E così, mentre altrove signori in doppiopetto
discutevano di moratorie e colonie
nel nuovo giro di (per ora assai infelici)
colloqui di pace, un piccolo miracolo
avveniva sulla spiaggia di Jaffa: all’inizio
decine, poi centinaia e centinaia di bambini,
israeliani e palestinesi, musulmani,
ebrei e cristiani, si sistemavano tutt’intorno
per formare il simbolo della pace,
stretti uno accanto all’altro, sotto il sole,
ridendo e scalciando, sventolando al
cielo lenzuoli colorati. E chi ci pensava,
lì, a quei tristi colloqui?
Certo non ci pensavano le mie nipoti
(che erano venute con la nonna a festeggiare
la pace).
Con loro ho fatto il giro completo del
più surrealistico, incredibile, libero, colorato
e sgarrupato dei festival, a cui gli
organizzatori avevano invitato non solo
i figli e i nipoti dei partner del conflitto,
i palestinesi e gli israeliani, ma anche i
figli dei rifugiati africani e dei lavoratori
esteri filippini, cinesi, romeni, russi e di
ogni nazione possibile e immaginabile,
e non c’era lingua o colore della pelle
che non fossero rappresentati. Una
meraviglia.
Abbiamo visto insieme uno spettacolo
teatrale di due bambini divisi da un
muro (in arabo e in ebraico), assaggiato
olio extravergine d’oliva israeliano e
palestinese, piantato alberelli della pace,
ammirato una mostra fotografica
israeliana e palestinese, ci siamo fatti
fare reiki per la pace, abbiamo dipinto
la pace, giocato la pace a pallone, mangiato
pita offerta da un fornaio arabo di
Jaffa, gelato messo a disposizione da un
gelataio locale, e pane sottile sottile col
formaggio acido (labane) di una nonna
drusa, e mai durante tutta la giornata s’è
vista la presenza di polizia o di guardie
armate, malgrado il grande numero di
israeliani e palestinesi insieme. E che
bisogno ce ne sarebbe mai stato?
Ce ne siamo tornate a casa al tramonto,
mentre sulla spiaggia stavano iniziando
a suonare le bande rock. È stato un
giorno talmente «normale», un tale modello
di come potrebbe essere la nostra
vita, e talmente emozionante e bello e
libero dalla puzza della paura e del sospetto,
che per un attimo mi è sembrato
tutto vero, tutto possibile, concreto,
realizzabile.
A casa ho trovato l’invito ad andare a
prendermi le maschere anti-gas.
domenica 3 ottobre 2010
qualcuno mi può spiegare michele serra ???
sono troppo tempo lontana dall'Italia , riconosco Berlusconi , ma chi sono gli altri?
e la cucina scavolini?
Un importante quotidiano dedica la sua prima pagina al probabile ritrovamento di una cucina Scavolini. Un premier europeo è accusato di controllare 64 società off-shore attraverso le quali avrebbe sottratto 884 miliardi di lire al fisco del paese del quale è primo ministro. Un celebrato playboy viene accusato dal suo anziano amante gay di averlo mantenuto per anni. Un ministro definisce "porci" i cittadini della capitale del suo Paese. Un sindaco fa sgomberare dai carabinieri i giornalisti che volevano seguire una seduta del Consiglio comunale. Un miliardario a lungo latitante nei Caraibi torna in Italia per spiegare in televisione che i numeri vincenti del Superenalotto erano i suoi e non quelli della sua ex fidanzata, nel frattempo diventata moglie del presidente della Camera. Si indaga sui brogli elettorali che hanno falsato un reality-show. Il Papa annuncia che imbiancherà personalmente il suo appartamento in Vaticano. Viene reso pubblico il regolare contratto di assunzione (diecimila euro di stipendio al mese) con il quale un governo ha pagato il voto di due parlamentari esterni alla sua maggioranza. Una sola di queste notizie è falsa. Sapreste dire quale?
e la cucina scavolini?
Un importante quotidiano dedica la sua prima pagina al probabile ritrovamento di una cucina Scavolini. Un premier europeo è accusato di controllare 64 società off-shore attraverso le quali avrebbe sottratto 884 miliardi di lire al fisco del paese del quale è primo ministro. Un celebrato playboy viene accusato dal suo anziano amante gay di averlo mantenuto per anni. Un ministro definisce "porci" i cittadini della capitale del suo Paese. Un sindaco fa sgomberare dai carabinieri i giornalisti che volevano seguire una seduta del Consiglio comunale. Un miliardario a lungo latitante nei Caraibi torna in Italia per spiegare in televisione che i numeri vincenti del Superenalotto erano i suoi e non quelli della sua ex fidanzata, nel frattempo diventata moglie del presidente della Camera. Si indaga sui brogli elettorali che hanno falsato un reality-show. Il Papa annuncia che imbiancherà personalmente il suo appartamento in Vaticano. Viene reso pubblico il regolare contratto di assunzione (diecimila euro di stipendio al mese) con il quale un governo ha pagato il voto di due parlamentari esterni alla sua maggioranza. Una sola di queste notizie è falsa. Sapreste dire quale?
sabato 2 ottobre 2010
kippa' 2
però ciarrapico va ringraziato
a) perchè dice apertamente quello che gli altri pensano e dicono meno apertamente
b) perchè gli ebrei che hanno votato per berlusconi capiscano finalmente chi sono gli "amici di Israele"
c) perchè i parlamentari ebrei "per Israele" nel pdl stiano finalmente un pò zitti o la smettano almeno con l'ipocrisia di essere lì solo ma proprio solo per difendere lo Stato di Israele ( "tante grazie, ma non ce n'è bisogno grazie, di partiti di destra ne abbiamo anche troppi in Israele")
l'articolo che segue , di Moni Ovadia , dall'Unità, dice esattamente la stessa cosa, ma non è che ci siamo letti nel pensiero , è solo una questione di normale buon senso.
Il Ciarra e le tre scimmie
Moni Ovadia
Grande Ciarra! Non posso nascondere una perversa simpatia nei confronti di questo fascistone de core e de panza. Finalmente uno che dice pane al pane e vino al vino. Altro che gli ipocriti del Pdl che si scandalizzano per la sortita del gagliardo editore-imprenditore tutto fez e orbace. Lui, se potesse, Fini lo raperebbe a zero e lo esporrebbe al pubblico ludibrio facendolo sfilare in un corteo, cartello appeso al collo, con la scritta: “amico dei giudei”. Nel corteo ci sarebbero anche altri pidiellini che, anche se non lo dicono, la pensano come lui. I giudei sono infidi e traditori si sa e traditore è chi se la fa con loro. Ma i più commoventi e naif sono certi ebrei della corte berlusconiana che si scandalizzano. Povere anime candide, ma dove erano? Quali pensieri li distraevano per non vedere e sentire la sarabanda della cloaca revisionista che per anni è dilagata nei salotti tv per riabilitare il fascismo, tessere elogi e quadretti idilliaci del buon duce e calunniare e infangare i partigiani che con il loro sangue e i loro sacrifici hanno fondato la democrazia e ci hanno donato la Costituzione repubblicana. Come le tre scimmiette “non vedo, non sento, non parlo” trovano normale stare in un partito-azienda fondato da un padrone-caudillo. Sono fieri della sua opera di governo che perseguita i rom, discrimina la popolazione omosessuale e respinge i clandestini per avviarli verso un destino di tortura o di morte. Trovano degno essere alleati di un partito xenofobo. In cambio della loro fedeltà senza se e senza si accontentano di poco. Qualche esternazione di amicizia en passant per Israele. Perché gli affari veri...beh! Quelli si fanno con Gheddafi e Ahmadinedjad, due notori filosionisti.
a) perchè dice apertamente quello che gli altri pensano e dicono meno apertamente
b) perchè gli ebrei che hanno votato per berlusconi capiscano finalmente chi sono gli "amici di Israele"
c) perchè i parlamentari ebrei "per Israele" nel pdl stiano finalmente un pò zitti o la smettano almeno con l'ipocrisia di essere lì solo ma proprio solo per difendere lo Stato di Israele ( "tante grazie, ma non ce n'è bisogno grazie, di partiti di destra ne abbiamo anche troppi in Israele")
l'articolo che segue , di Moni Ovadia , dall'Unità, dice esattamente la stessa cosa, ma non è che ci siamo letti nel pensiero , è solo una questione di normale buon senso.
Il Ciarra e le tre scimmie
Moni Ovadia
Grande Ciarra! Non posso nascondere una perversa simpatia nei confronti di questo fascistone de core e de panza. Finalmente uno che dice pane al pane e vino al vino. Altro che gli ipocriti del Pdl che si scandalizzano per la sortita del gagliardo editore-imprenditore tutto fez e orbace. Lui, se potesse, Fini lo raperebbe a zero e lo esporrebbe al pubblico ludibrio facendolo sfilare in un corteo, cartello appeso al collo, con la scritta: “amico dei giudei”. Nel corteo ci sarebbero anche altri pidiellini che, anche se non lo dicono, la pensano come lui. I giudei sono infidi e traditori si sa e traditore è chi se la fa con loro. Ma i più commoventi e naif sono certi ebrei della corte berlusconiana che si scandalizzano. Povere anime candide, ma dove erano? Quali pensieri li distraevano per non vedere e sentire la sarabanda della cloaca revisionista che per anni è dilagata nei salotti tv per riabilitare il fascismo, tessere elogi e quadretti idilliaci del buon duce e calunniare e infangare i partigiani che con il loro sangue e i loro sacrifici hanno fondato la democrazia e ci hanno donato la Costituzione repubblicana. Come le tre scimmiette “non vedo, non sento, non parlo” trovano normale stare in un partito-azienda fondato da un padrone-caudillo. Sono fieri della sua opera di governo che perseguita i rom, discrimina la popolazione omosessuale e respinge i clandestini per avviarli verso un destino di tortura o di morte. Trovano degno essere alleati di un partito xenofobo. In cambio della loro fedeltà senza se e senza si accontentano di poco. Qualche esternazione di amicizia en passant per Israele. Perché gli affari veri...beh! Quelli si fanno con Gheddafi e Ahmadinedjad, due notori filosionisti.
giovedì 30 settembre 2010
kippà
per chi non l'abbia letto o sentito copio qui una parte del discorso al senato del sig Ciarrapico ( da Repubblica)
ROMA - «I 35 parlamentari finiani non sarebbero mai stati eletti se non li avesse fatti eleggere lei signor presidente» e «torneranno nell'ombra. Come nell'ombra tornerà la terza carica dello Stato che Ella, molto generosamente, gli aveva affidato». Così il senatore del Pdl, Giuseppe Ciarrapico, nel suo intervento al Senato dopo il discorso del presidente del Consiglio. «Fini ha fatto sapere che presto fonderà un nuovo partito. Spero che abbia già ordinato le kippah, ha aggiunto Ciarrapico, riferendosi al copricapo maschile usato dagli ebrei osservanti- perché è di questo che si tratta. Chi ha tradito una volta, tradisce sempre. Può darsi pure che Fini svolga una missione ma è una missione tutta sua personale. Se la tenga. Quando andremo a votare vedremo quanti voti prenderà il transfuga Fini».
Sono la moglie di un portatore di kippà e madre di portatori di kippà e questi sono i momenti che mi ricordo perchè vivo in Israele.
ROMA - «I 35 parlamentari finiani non sarebbero mai stati eletti se non li avesse fatti eleggere lei signor presidente» e «torneranno nell'ombra. Come nell'ombra tornerà la terza carica dello Stato che Ella, molto generosamente, gli aveva affidato». Così il senatore del Pdl, Giuseppe Ciarrapico, nel suo intervento al Senato dopo il discorso del presidente del Consiglio. «Fini ha fatto sapere che presto fonderà un nuovo partito. Spero che abbia già ordinato le kippah, ha aggiunto Ciarrapico, riferendosi al copricapo maschile usato dagli ebrei osservanti- perché è di questo che si tratta. Chi ha tradito una volta, tradisce sempre. Può darsi pure che Fini svolga una missione ma è una missione tutta sua personale. Se la tenga. Quando andremo a votare vedremo quanti voti prenderà il transfuga Fini».
Sono la moglie di un portatore di kippà e madre di portatori di kippà e questi sono i momenti che mi ricordo perchè vivo in Israele.
martedì 28 settembre 2010
rieccomi qua, come nuova
... a fare la babysitter delle gemelle .
ieri abbiamo passato la giornata al mar morto (40 gradi abbondanti all'ombra) ma quel mare è una meraviglia per tutti i mali del mondo e oggi invece portiamo al mare "normale " le fanciulle . all'asilo è giorno di vacanza essendo "mezza festa" mentre i genitori lavorano . in questo momento sono distese sul mio letto e cantano a squarciagola . e la casa è un casino.
fuori fa un gran caldo....
ieri abbiamo passato la giornata al mar morto (40 gradi abbondanti all'ombra) ma quel mare è una meraviglia per tutti i mali del mondo e oggi invece portiamo al mare "normale " le fanciulle . all'asilo è giorno di vacanza essendo "mezza festa" mentre i genitori lavorano . in questo momento sono distese sul mio letto e cantano a squarciagola . e la casa è un casino.
fuori fa un gran caldo....
domenica 26 settembre 2010
invece di andare a gerusalemme
invece di andare a gerusalemme abbiamo deciso di starcene a casa, anche perchè mi ha preso l'ennesimo mal di stomaco e schiena , con gonfiore e dolori.
il mio massaggiatore russo, un medico tra l'altro , bravissimo, dice che ho il diaframma che non va un granchè ( probabilmente ogni tanto mi dimentico di respirare ) e un muscolo tutto rattrappito tra la schiena e la pancia .
mi ha dato degli esercizi di ginnastica .
mi sento uno schifo, uno strazio, una vecchietta.
il mio massaggiatore russo, un medico tra l'altro , bravissimo, dice che ho il diaframma che non va un granchè ( probabilmente ogni tanto mi dimentico di respirare ) e un muscolo tutto rattrappito tra la schiena e la pancia .
mi ha dato degli esercizi di ginnastica .
mi sento uno schifo, uno strazio, una vecchietta.
mercoledì 22 settembre 2010
succot
saranno anche belle ma queste feste non finiscono più, adesso è il turno di succot e bisogna fare la succà e decorarla. per fortuna a casa non ho posto e si fa dai figli, grazie a Dio.
così in compenso ho avuto a dormire una nipote grande e una piccola che hanno dormito da me, anzi a letto con me. la piccola, una delle gemelle ,ama molto dormire con un piede sulla mia testa , o un braccio, dipende.
così adesso sono vagamente rincretinita , perchè non ricordo di aver veramente dormito ma tra un pà vado a far compere con la nipote grande, che ha voglia di un vestito, e la stanchezza mi passerà.
si spera-
così in compenso ho avuto a dormire una nipote grande e una piccola che hanno dormito da me, anzi a letto con me. la piccola, una delle gemelle ,ama molto dormire con un piede sulla mia testa , o un braccio, dipende.
così adesso sono vagamente rincretinita , perchè non ricordo di aver veramente dormito ma tra un pà vado a far compere con la nipote grande, che ha voglia di un vestito, e la stanchezza mi passerà.
si spera-
domenica 19 settembre 2010
yom kippur
ieri era yom kippur , giorno di espiazione e digiuno per tutti gli ebrei del mondo.
in israele è un giorno straordinario.
tutto è chiuso fin dalle prime ore del pomeriggio , compresi porti, aeroporti , scuole, negozi, radio, tivù,tutto tutto tutto.
e dal momento in cui inizia il digiuno, quest'anno è stato venerdì verso le 17 e 20, si fermano anche tutte le automobili , si riempiono le sinagoghe e cade un silenzio di tomba.
eppure non esiste una legge che obblighi la popolazione a tener ferma la macchina, nè del resto tutti digiunano o vanno a pregare, tutt'altro, eppure, da sempre, è così.
si vedono ogni tanto passare solo ambulanze e macchine della polizia, e basta...niente, zero.
subito dopo le strade si riempiono di bambini felici ( loro comunque non digiunano) che girano in bici ovunque , senza pericolo ,e anche di adulti in bici, e di tanta altra gente che passeggia ovunque, anche nelle strade abitualmente più trafficate , come niente fosse.
alle 18 e 30 di sabato, ieri, è finito anche quest'anno il digiuno, e in un secondo le strade sono tornate ad essere quello che sono sempre, incasinate e rumorose e trafficatissime e si è rotto in un attimo l'incanto.
il giorno di kippur, per 24 0re, amo ancora tanto questo pazzo paese.
in israele è un giorno straordinario.
tutto è chiuso fin dalle prime ore del pomeriggio , compresi porti, aeroporti , scuole, negozi, radio, tivù,tutto tutto tutto.
e dal momento in cui inizia il digiuno, quest'anno è stato venerdì verso le 17 e 20, si fermano anche tutte le automobili , si riempiono le sinagoghe e cade un silenzio di tomba.
eppure non esiste una legge che obblighi la popolazione a tener ferma la macchina, nè del resto tutti digiunano o vanno a pregare, tutt'altro, eppure, da sempre, è così.
si vedono ogni tanto passare solo ambulanze e macchine della polizia, e basta...niente, zero.
subito dopo le strade si riempiono di bambini felici ( loro comunque non digiunano) che girano in bici ovunque , senza pericolo ,e anche di adulti in bici, e di tanta altra gente che passeggia ovunque, anche nelle strade abitualmente più trafficate , come niente fosse.
alle 18 e 30 di sabato, ieri, è finito anche quest'anno il digiuno, e in un secondo le strade sono tornate ad essere quello che sono sempre, incasinate e rumorose e trafficatissime e si è rotto in un attimo l'incanto.
il giorno di kippur, per 24 0re, amo ancora tanto questo pazzo paese.
giovedì 16 settembre 2010
bollettino medico , yom kippur , lo shofar e i rabbini
terzo giorno di influenza , oggi ho dormito molto e adesso mi sento un pò meglio.
aggiungo qui questo lungo e bellissimo articolo ricevuto da beppe damascelli che rinngrazio .
è apparso su "Kolot" .
L’aspro scambio di lettere fra Shadal e Benamozegh sul significato del suono dello shofar. Dalla derashà tenuta il 1° giorno di Rosh Hashana all’Oratorio Di Castro di via Balbo, Roma
Gianfranco Di Segni
A Rosh Hashana in genere si fa il consuntivo dell’anno appena trascorso. Una delle caratteristiche di quest’anno è stata il dibattito che ha animato la comunità ebraica italiana riguardo al ruolo dei rabbini, con accese discussioni sui rabbini e fra i rabbini stessi. Ricordiamone qualcuna: la visita del papa alla sinagoga di Roma, con rabbini che hanno partecipato e altri che si sono astenuti dal farlo; la vicenda delle ciambellette nella comunità di Roma, che è finita addirittura sulle pagine della stampa nazionale; la revoca del rabbino capo di Torino; lo stato della kashrut a Roma. (La lista non è affatto esaustiva). Qualcuno si stupisce delle discussioni fra i rabbini. In realtà, non si capisce perché le divergenze di opinioni fra il presidente (a livello locale o nazionale) e il capo dell’opposizione siano viste come normali e, anzi, ci si meraviglierebbe se non fosse così, mentre quando i rabbini discutono fra di loro ciò è visto come qualcosa di inusuale. Invece, è proprio vero il contrario: fra i rabbini ci sono sempre state diverse opinioni.
Senza risalire troppo in là nel passato, limitiamoci all’Ottocento. In quel secolo, solo due rabbini italiani sono tuttora conosciuti a livello internazionale: Shadal (Shemuel David Luzzatto; Trieste 1800 - Padova 1865) ed Elia Benamozegh (Livorno 1823-1900). Su di loro si organizzano convegni, si scrivono articoli e libri, si fanno tesi di laurea. I loro lavori sono pubblicati o ripubblicati e sono tradotti in diverse lingue. Ebbene, questi due grandi rabbini se ne dicevano di tutti i colori l’uno all’altro.
Uno dei maggiori punti in discussione fra Shadal e Benamozegh era il valore da attribuire alla Kabbalà: Benamozegh ne era un appassionato sostenitore, Shadal d’altro canto vedeva in essa solo “vaneggiamenti metafisici… [e] i nostri Maestri ne conobbero la futilità e le ree conseguenze”. Connessa con la polemica sulla Kabbalà era quella sul valore da attribuire al cristianesimo e ai rapporti interreligiosi (suona familiare? – gds). Guardate cosa scrisse Shadal a Benamozegh sui cabbalisti l’8.9.1863: “… i nuovi Cabbalisti, novelli gesucristi, tendono ad abbattere la Sinagoga…”. E in una lettera del mese precedente Shadal così scriveva a Benamozegh: “Recentemente ho veduto il Suo opuscolo sui Missionarii, e v’osservai una pagina, scagliata contro di me senz’alcun bisogno, e con insinuazioni calunniose, quasi io mi fossi un ipocrita. Qui io avrei dovuto rispondere. Ma Dio mi fe’ forte, e dissi, e scrissi in lettera confidenziale: Penso lasciarlo ragliare – non mai pensando che queste mie parole potessero venire usate quali armi contro di Lei”. (Suona familiare questa diffusione impropria di messaggi confidenziali? – gds). Shadal proseguiva: “Né mai ho pensato d’attribuire a Lei la natura del quadrupede ragghiante, animale da me sempre più stimato di quanto comunemente si suole… Ad ogni modo, Ella non ha bisogno ch’io Le dichiari ch’Ella non fu mai un miccio agli occhi miei, ma che usato ho il verbo ragliare per similitudine… E, ciò facendo, non fu Ella l’offeso, ma lo fu il povero miccio. Perocché i ragli asinini sono sempre sinceri… Al contrario le parole, da Lei pubblicate contro di me nel suaccennato opuscolo, esprimono falsità e calunnie…”.
Rav Benamozegh rispose immediatamente a Shadal, il 12 settembre 1863, con una lunga lettera (pubblicata anche in “Scritti scelti”, Rassegna Mensile d’Israel, 1955, pp. 262-272) in cui usava espressioni meno pungenti, forse anche per la notevole differenza di età (era di 23 anni più giovane). Sull’asino replicò: “Io credo che possiamo ancora intenderci, che ci possiamo far delle reciproche concessioni, ed il giorno in cui uniti insieme ci presenteremo al mondo… mi parrà di sentire in lontananza un raglio diverso da quello che ella udì nel mio opuscolo; il raglio del miccio di Mélech à Masciach [il Re Messia]”. Sulla Kabbalà, Benamozegh cita a Shadal gli antici cabbalisti, come R. Hai Gaon, Ra’avad, Ramban [Nachmanide], Rashbà, Cordovero, R. Yosef Caro, Abrabanel e altri, e infine gli chiede: “Dirà che anche questi sono Misticisti e Gesucristi? Padrone di dirlo e di pensarlo. Per me tengo i nominati, non le dispiaccia, più autorevoli maestri di ciò che sia Mosaismo, che non altri per quanto dottrina e fama si abbiano al mondo”. In altre parole, fra il Nachmanide e Shadal, Benamozegh non ha dubbi su chi preferire.
Un aspetto su cui Benamozegh e Shadal dibatterono in questo scambio di lettere, inviate in prossimità di Rosh Hashanà, fu il significato da attribuire alla mitzwà del suono dello shofar, che si presta in effetti a diverse interpretazioni, visto che la Torah non dice molto a suo riguardo. Così scrisse Rav Benamozegh a Shadal alla fine della succitata lettera: “Domani ella udrà il Sciofar ed io lo udirò. A lei cosa dirà quel suono? Il suo Mosaismo materiale che cosa le dirà? Certo nient’altro che una di quelle mille graziose ma puerili ragioni che ne furono date fuori della Cabbalà; e per sentirlo con devozione, per dare importanza a tekià, scebarim, teruà [i diversi suoni dello shofar], le ci vorrà uno sforzo di fede non ordinario. Per me, lei lo sa, la cosa è diversa. Ogni nota ha la sua importanza, come ogni atomo della materia è un mistero – come ogni corpo ha il suo posto e il suo valore nella creazione. Per me la Torà è il tipo del mondo, è il mondo nella mente di Dio, è il verbo incarnato [sic! – gds] nelle Mizvot ammasiyoth [mitzwòt pratiche]. E quando udirò dimani il Sciofar dirò anch’io: viva S. D. L. molti e molti anni felici, Dio gli risparmi altri dolori perché la sua mente si conservi serena e forte nella cultura delle lettere sacre ed affinché se un giorno vorrà essere gesucristo anche lui come R. Akiba e Aramban, egli possa rivolgere la sua scienza potente al trionfo del Vero…”.
Shadal rispondeva il 18.9.1863. Dopo un appunto un po’ sprezzante su un errore di sintassi commesso da Benamozegh, “uno di quegli sbagli, in cui facilmente incappa chiunque non ha studiato la lingua latina”, scriveva: “Le dirò che i trilli del Sciofar furono (a mio credere) da Dio comandati per porre a pubblica notizia (quando non si stampavano calendari) il principio dell’anno; nella stessa guisa che nel decimo giorno dell’anno si portava ad universale conoscenza, col medesimo Sciofar, l’arrivo dell’anno del Giubileo. Se in oggi tali sonate hanno perduto il loro scopo, conservano sempre, come tante cerimonie, l’immenso valore di ricordarci l’antica nostra esistenza politica, e ravvivano in noi il sentimento di nazionalità, il quale, senza tanti e tanti piccoli, ma ripetuti, ricordi, forse sarebbesi estinto in noi, come lo fu in tutte le altre antiche nazioni… Quella buccina è per me il tamburo della nazionalità, dell’esistenza d’un popolo, che fu nazione, e che in oggi non vive che in Dio, e che cesserà di esistere allora soltanto che cesserà di credere in Dio”. Shadal prosegue scrivendo: “… la mia avversione alla Cabbalà non è incredulità, non è eterodossia, ma è profondo sentimento religioso… Aggiungerò, a scanso d’equivoci, che per semplice e materiale Mosaismo intendo p. es. suonare il Sciofar, o udirne le sonate, senza Cavanot [meditazioni] misteriose, ma colla sola cavanà d’eseguire un divino precetto, il quale è per noi sacro, per la semplice ragione che ci fu imposto da Dio… Chi difende le Cavanot, difende dottrine, di cui non incontrasi vestigio nella Misnà e nel Talmud; e chi, ciò facendo, si crede ortodosso, è un fanatico, che può essere tollerato; ma chi osa dichiarare eterodosso chi in ciò non la pensa come lui, è un impertinente…”.
Shadal, in questa lettera, affermava anche che “il misticismo [è] già da sé troppo contrario allo spirito del secolo, ed ogni giorno in più scarso di partigiani”. Su questo punto Benamozegh gli dà ragione. Così infatti aveva scritto: “la Cabbalà … è la più maltrattata; ed io ho un segreto inchinamento [inclinamento?] alle cause infelici ma vere. Mi chiami pure se vuole avvocato delle cause perdute. È questo il mio carattere e basta. Io ho considerato la cabbalà come Meth mizvà sceén lo koberim [un morto che non ha chi si occupi della sua sepoltura], che antecede ad ogni dovere”. C’è da dire che Rav Benamozegh ha curato bene il suo “morto”: infatti, oggi la Kabbalà è più che mai popolare, a volte persino con modalità eccessive, e sono moltissimi coloro che se ne interessano a livello storico-scientifico. Se Scholem e su ccessori hanno “resuscitato” gli studi sulla Kabbalà, si deve grazie a persone come Benamozegh e nonostante quelli come Shadal.
Vorrei concludere riportando quanto ha scritto sullo shofar Rav Sergio Sierra z.l., scomparso da meno di un anno. Rav Sierra era romano e quando stava a Roma pregava sui banchi di questo tempio. È stato rabbino capo a Bologna e poi per molti anni rabbino capo di Torino, prima di fare la aliyà a Gerusalemme. È stato anche presidente dell’Assemblea dei rabbini italiani, professore all’Università di Genova e autore di numerose opere fondamentali. Fra queste, la più importante per la mia formazione è stata “Il valore etico delle mitzvot”, forse il primo libro su questi argomenti che lessi da ragazzo. Il capitolo sul significato dello shofar è stato riportato su Kolot la settimana scorsa (7.9.10).
Così scrive, fra l’altro, Rav Sierra: “Diverse sono le spiegazioni scientifiche o pseudoscientifiche che gli studiosi di storia delle religioni hanno dato ricercando l'origine e il valore dello Shofar. Prescindendo da queste teorie, più o meno accettabili per noi ebrei, qui descriveremo qual è il valore simbolico di questo caratteristico strumento di manifestazione religiosa nella tradizione d'Israele, la quale sola riesce a dare un vivo contenuto etico alle forme rituali ebraiche. […] Lo Shofar, quindi, è considerato per il suo originario valore storico e per il suono caratteristico che esso emette, come un coefficiente valido ad influire notevolmente sull'animo del credente, affinché questi sia stimolato a compiere quella indispensabile opera di introspezione e di valutazione sincera ed obiettiva della sua condotta morale onde ritrovare in contrizione quella forza morale necessaria a riportarlo sulla strada dell'onestà e quindi della redenzione. Lo Shofar viene suonato pure a conclusione della giornata del Kippur quale auspicio di conseguita redenzione da parte della Comunità… Nella Toràh poi il sinonimo di Shofar, cioè la parola Iovèl, diede il nome ad una delle più geniali istituzioni sociali dell'Ebraismo: l'anno giubilare, per cui ogni cinquantesimo anno, al suono dello Shofar, veniva ristabilito l'infranto equilibrio economico e sociale tra le classi del popolo e veniva proclamata la liberazione degli schiavi. Secondo la tradizione ebraica, inoltre, lo Shofar farà risuonare le sue note gravi e solenni nel giorno della completa resurrezione nazionale ebraica e, nei giorni a venire, saluterà il sorgere dell'alba messianica per l'umanità travagliata, il giorno cioè, in cui questa avrà ritrovato la via della fratellanza umana ed avrà riconosciuto Dio, come è venerato da Israele, quale l'unico Signore dell'Universo&h ellip; Una voce antica dunque destinata all'introspezione per il rinnovamento della nostra vita spirituale, un ammonimento all'osservanza dei nostri doveri ebraici ed umani per servire un nobile passato e un futuro sublime”.
Rav Sierra ha quindi una posizione in parte simile a quella di Shadal, perché attribuisce alla mitzwà dello shofar un significato storico, rivolto però non solo al passato ma anche al futuro. D’altro canto, Rav Sierra è anche in sintonia con Rav Benamozegh, perché capisce bene quanto lo shofar faccia risuonare le nostre corde interiori. (Come mi ha poi detto un’amica che si autodefinisce laica, “lo shofar mi fa bene, fa parte della mia infanzia e adolescenza in famiglia”.)
Alla fine della derashà, alcuni frequentatori del tempio di via Balbo mi si sono avvicinati. Alessandro Venezia mi ha detto che lo shofar è l’unico che riesce a fare stare zitto il pubblico. E se è detto da lui, che di corde vocali si intende anche professionalmente, c’è proprio da crederci! Alessandro ha ben colto la potenza materiale e spirituale della voce dello shofar, in grado di ammutolire tutto e tutti. Duccio Levi Mortera, che invece è un intenditore di parole, mi ha recitato “su un piede solo” la seguente poesia da lui composta in occasione della faccenda delle ciambellette. È così bella che la propongo qua sotto ai lettori.
Le ciambellette
Da ‘na vita noi famo ciambellette
co’ farina cascerre naturalmente.
Cotte bbene so’ bbone so’ perfette
poi, fatte a casa è più che conveniente.
St’anno uno, e nun dico barzellette,
chissà che je&r squo; passato pe’ la mente
dice: “ ‘n se ponno fa’ pena er karette”
e la farina? “via immediatamente”.
Nun doveva succede sto’ bavelle
la keillà de roma è storia a sé.
Semo finiti in bocca a lo ngharelle.
Speramo che, in futuro, nun ce sia
chi, ricordanno ‘na legge de Moscè,
ce negherà i carciofi alla giudia
Leonardo Levi Mortera (Duccio)
aggiungo qui questo lungo e bellissimo articolo ricevuto da beppe damascelli che rinngrazio .
è apparso su "Kolot" .
L’aspro scambio di lettere fra Shadal e Benamozegh sul significato del suono dello shofar. Dalla derashà tenuta il 1° giorno di Rosh Hashana all’Oratorio Di Castro di via Balbo, Roma
Gianfranco Di Segni
A Rosh Hashana in genere si fa il consuntivo dell’anno appena trascorso. Una delle caratteristiche di quest’anno è stata il dibattito che ha animato la comunità ebraica italiana riguardo al ruolo dei rabbini, con accese discussioni sui rabbini e fra i rabbini stessi. Ricordiamone qualcuna: la visita del papa alla sinagoga di Roma, con rabbini che hanno partecipato e altri che si sono astenuti dal farlo; la vicenda delle ciambellette nella comunità di Roma, che è finita addirittura sulle pagine della stampa nazionale; la revoca del rabbino capo di Torino; lo stato della kashrut a Roma. (La lista non è affatto esaustiva). Qualcuno si stupisce delle discussioni fra i rabbini. In realtà, non si capisce perché le divergenze di opinioni fra il presidente (a livello locale o nazionale) e il capo dell’opposizione siano viste come normali e, anzi, ci si meraviglierebbe se non fosse così, mentre quando i rabbini discutono fra di loro ciò è visto come qualcosa di inusuale. Invece, è proprio vero il contrario: fra i rabbini ci sono sempre state diverse opinioni.
Senza risalire troppo in là nel passato, limitiamoci all’Ottocento. In quel secolo, solo due rabbini italiani sono tuttora conosciuti a livello internazionale: Shadal (Shemuel David Luzzatto; Trieste 1800 - Padova 1865) ed Elia Benamozegh (Livorno 1823-1900). Su di loro si organizzano convegni, si scrivono articoli e libri, si fanno tesi di laurea. I loro lavori sono pubblicati o ripubblicati e sono tradotti in diverse lingue. Ebbene, questi due grandi rabbini se ne dicevano di tutti i colori l’uno all’altro.
Uno dei maggiori punti in discussione fra Shadal e Benamozegh era il valore da attribuire alla Kabbalà: Benamozegh ne era un appassionato sostenitore, Shadal d’altro canto vedeva in essa solo “vaneggiamenti metafisici… [e] i nostri Maestri ne conobbero la futilità e le ree conseguenze”. Connessa con la polemica sulla Kabbalà era quella sul valore da attribuire al cristianesimo e ai rapporti interreligiosi (suona familiare? – gds). Guardate cosa scrisse Shadal a Benamozegh sui cabbalisti l’8.9.1863: “… i nuovi Cabbalisti, novelli gesucristi, tendono ad abbattere la Sinagoga…”. E in una lettera del mese precedente Shadal così scriveva a Benamozegh: “Recentemente ho veduto il Suo opuscolo sui Missionarii, e v’osservai una pagina, scagliata contro di me senz’alcun bisogno, e con insinuazioni calunniose, quasi io mi fossi un ipocrita. Qui io avrei dovuto rispondere. Ma Dio mi fe’ forte, e dissi, e scrissi in lettera confidenziale: Penso lasciarlo ragliare – non mai pensando che queste mie parole potessero venire usate quali armi contro di Lei”. (Suona familiare questa diffusione impropria di messaggi confidenziali? – gds). Shadal proseguiva: “Né mai ho pensato d’attribuire a Lei la natura del quadrupede ragghiante, animale da me sempre più stimato di quanto comunemente si suole… Ad ogni modo, Ella non ha bisogno ch’io Le dichiari ch’Ella non fu mai un miccio agli occhi miei, ma che usato ho il verbo ragliare per similitudine… E, ciò facendo, non fu Ella l’offeso, ma lo fu il povero miccio. Perocché i ragli asinini sono sempre sinceri… Al contrario le parole, da Lei pubblicate contro di me nel suaccennato opuscolo, esprimono falsità e calunnie…”.
Rav Benamozegh rispose immediatamente a Shadal, il 12 settembre 1863, con una lunga lettera (pubblicata anche in “Scritti scelti”, Rassegna Mensile d’Israel, 1955, pp. 262-272) in cui usava espressioni meno pungenti, forse anche per la notevole differenza di età (era di 23 anni più giovane). Sull’asino replicò: “Io credo che possiamo ancora intenderci, che ci possiamo far delle reciproche concessioni, ed il giorno in cui uniti insieme ci presenteremo al mondo… mi parrà di sentire in lontananza un raglio diverso da quello che ella udì nel mio opuscolo; il raglio del miccio di Mélech à Masciach [il Re Messia]”. Sulla Kabbalà, Benamozegh cita a Shadal gli antici cabbalisti, come R. Hai Gaon, Ra’avad, Ramban [Nachmanide], Rashbà, Cordovero, R. Yosef Caro, Abrabanel e altri, e infine gli chiede: “Dirà che anche questi sono Misticisti e Gesucristi? Padrone di dirlo e di pensarlo. Per me tengo i nominati, non le dispiaccia, più autorevoli maestri di ciò che sia Mosaismo, che non altri per quanto dottrina e fama si abbiano al mondo”. In altre parole, fra il Nachmanide e Shadal, Benamozegh non ha dubbi su chi preferire.
Un aspetto su cui Benamozegh e Shadal dibatterono in questo scambio di lettere, inviate in prossimità di Rosh Hashanà, fu il significato da attribuire alla mitzwà del suono dello shofar, che si presta in effetti a diverse interpretazioni, visto che la Torah non dice molto a suo riguardo. Così scrisse Rav Benamozegh a Shadal alla fine della succitata lettera: “Domani ella udrà il Sciofar ed io lo udirò. A lei cosa dirà quel suono? Il suo Mosaismo materiale che cosa le dirà? Certo nient’altro che una di quelle mille graziose ma puerili ragioni che ne furono date fuori della Cabbalà; e per sentirlo con devozione, per dare importanza a tekià, scebarim, teruà [i diversi suoni dello shofar], le ci vorrà uno sforzo di fede non ordinario. Per me, lei lo sa, la cosa è diversa. Ogni nota ha la sua importanza, come ogni atomo della materia è un mistero – come ogni corpo ha il suo posto e il suo valore nella creazione. Per me la Torà è il tipo del mondo, è il mondo nella mente di Dio, è il verbo incarnato [sic! – gds] nelle Mizvot ammasiyoth [mitzwòt pratiche]. E quando udirò dimani il Sciofar dirò anch’io: viva S. D. L. molti e molti anni felici, Dio gli risparmi altri dolori perché la sua mente si conservi serena e forte nella cultura delle lettere sacre ed affinché se un giorno vorrà essere gesucristo anche lui come R. Akiba e Aramban, egli possa rivolgere la sua scienza potente al trionfo del Vero…”.
Shadal rispondeva il 18.9.1863. Dopo un appunto un po’ sprezzante su un errore di sintassi commesso da Benamozegh, “uno di quegli sbagli, in cui facilmente incappa chiunque non ha studiato la lingua latina”, scriveva: “Le dirò che i trilli del Sciofar furono (a mio credere) da Dio comandati per porre a pubblica notizia (quando non si stampavano calendari) il principio dell’anno; nella stessa guisa che nel decimo giorno dell’anno si portava ad universale conoscenza, col medesimo Sciofar, l’arrivo dell’anno del Giubileo. Se in oggi tali sonate hanno perduto il loro scopo, conservano sempre, come tante cerimonie, l’immenso valore di ricordarci l’antica nostra esistenza politica, e ravvivano in noi il sentimento di nazionalità, il quale, senza tanti e tanti piccoli, ma ripetuti, ricordi, forse sarebbesi estinto in noi, come lo fu in tutte le altre antiche nazioni… Quella buccina è per me il tamburo della nazionalità, dell’esistenza d’un popolo, che fu nazione, e che in oggi non vive che in Dio, e che cesserà di esistere allora soltanto che cesserà di credere in Dio”. Shadal prosegue scrivendo: “… la mia avversione alla Cabbalà non è incredulità, non è eterodossia, ma è profondo sentimento religioso… Aggiungerò, a scanso d’equivoci, che per semplice e materiale Mosaismo intendo p. es. suonare il Sciofar, o udirne le sonate, senza Cavanot [meditazioni] misteriose, ma colla sola cavanà d’eseguire un divino precetto, il quale è per noi sacro, per la semplice ragione che ci fu imposto da Dio… Chi difende le Cavanot, difende dottrine, di cui non incontrasi vestigio nella Misnà e nel Talmud; e chi, ciò facendo, si crede ortodosso, è un fanatico, che può essere tollerato; ma chi osa dichiarare eterodosso chi in ciò non la pensa come lui, è un impertinente…”.
Shadal, in questa lettera, affermava anche che “il misticismo [è] già da sé troppo contrario allo spirito del secolo, ed ogni giorno in più scarso di partigiani”. Su questo punto Benamozegh gli dà ragione. Così infatti aveva scritto: “la Cabbalà … è la più maltrattata; ed io ho un segreto inchinamento [inclinamento?] alle cause infelici ma vere. Mi chiami pure se vuole avvocato delle cause perdute. È questo il mio carattere e basta. Io ho considerato la cabbalà come Meth mizvà sceén lo koberim [un morto che non ha chi si occupi della sua sepoltura], che antecede ad ogni dovere”. C’è da dire che Rav Benamozegh ha curato bene il suo “morto”: infatti, oggi la Kabbalà è più che mai popolare, a volte persino con modalità eccessive, e sono moltissimi coloro che se ne interessano a livello storico-scientifico. Se Scholem e su ccessori hanno “resuscitato” gli studi sulla Kabbalà, si deve grazie a persone come Benamozegh e nonostante quelli come Shadal.
Vorrei concludere riportando quanto ha scritto sullo shofar Rav Sergio Sierra z.l., scomparso da meno di un anno. Rav Sierra era romano e quando stava a Roma pregava sui banchi di questo tempio. È stato rabbino capo a Bologna e poi per molti anni rabbino capo di Torino, prima di fare la aliyà a Gerusalemme. È stato anche presidente dell’Assemblea dei rabbini italiani, professore all’Università di Genova e autore di numerose opere fondamentali. Fra queste, la più importante per la mia formazione è stata “Il valore etico delle mitzvot”, forse il primo libro su questi argomenti che lessi da ragazzo. Il capitolo sul significato dello shofar è stato riportato su Kolot la settimana scorsa (7.9.10).
Così scrive, fra l’altro, Rav Sierra: “Diverse sono le spiegazioni scientifiche o pseudoscientifiche che gli studiosi di storia delle religioni hanno dato ricercando l'origine e il valore dello Shofar. Prescindendo da queste teorie, più o meno accettabili per noi ebrei, qui descriveremo qual è il valore simbolico di questo caratteristico strumento di manifestazione religiosa nella tradizione d'Israele, la quale sola riesce a dare un vivo contenuto etico alle forme rituali ebraiche. […] Lo Shofar, quindi, è considerato per il suo originario valore storico e per il suono caratteristico che esso emette, come un coefficiente valido ad influire notevolmente sull'animo del credente, affinché questi sia stimolato a compiere quella indispensabile opera di introspezione e di valutazione sincera ed obiettiva della sua condotta morale onde ritrovare in contrizione quella forza morale necessaria a riportarlo sulla strada dell'onestà e quindi della redenzione. Lo Shofar viene suonato pure a conclusione della giornata del Kippur quale auspicio di conseguita redenzione da parte della Comunità… Nella Toràh poi il sinonimo di Shofar, cioè la parola Iovèl, diede il nome ad una delle più geniali istituzioni sociali dell'Ebraismo: l'anno giubilare, per cui ogni cinquantesimo anno, al suono dello Shofar, veniva ristabilito l'infranto equilibrio economico e sociale tra le classi del popolo e veniva proclamata la liberazione degli schiavi. Secondo la tradizione ebraica, inoltre, lo Shofar farà risuonare le sue note gravi e solenni nel giorno della completa resurrezione nazionale ebraica e, nei giorni a venire, saluterà il sorgere dell'alba messianica per l'umanità travagliata, il giorno cioè, in cui questa avrà ritrovato la via della fratellanza umana ed avrà riconosciuto Dio, come è venerato da Israele, quale l'unico Signore dell'Universo&h ellip; Una voce antica dunque destinata all'introspezione per il rinnovamento della nostra vita spirituale, un ammonimento all'osservanza dei nostri doveri ebraici ed umani per servire un nobile passato e un futuro sublime”.
Rav Sierra ha quindi una posizione in parte simile a quella di Shadal, perché attribuisce alla mitzwà dello shofar un significato storico, rivolto però non solo al passato ma anche al futuro. D’altro canto, Rav Sierra è anche in sintonia con Rav Benamozegh, perché capisce bene quanto lo shofar faccia risuonare le nostre corde interiori. (Come mi ha poi detto un’amica che si autodefinisce laica, “lo shofar mi fa bene, fa parte della mia infanzia e adolescenza in famiglia”.)
Alla fine della derashà, alcuni frequentatori del tempio di via Balbo mi si sono avvicinati. Alessandro Venezia mi ha detto che lo shofar è l’unico che riesce a fare stare zitto il pubblico. E se è detto da lui, che di corde vocali si intende anche professionalmente, c’è proprio da crederci! Alessandro ha ben colto la potenza materiale e spirituale della voce dello shofar, in grado di ammutolire tutto e tutti. Duccio Levi Mortera, che invece è un intenditore di parole, mi ha recitato “su un piede solo” la seguente poesia da lui composta in occasione della faccenda delle ciambellette. È così bella che la propongo qua sotto ai lettori.
Le ciambellette
Da ‘na vita noi famo ciambellette
co’ farina cascerre naturalmente.
Cotte bbene so’ bbone so’ perfette
poi, fatte a casa è più che conveniente.
St’anno uno, e nun dico barzellette,
chissà che je&r squo; passato pe’ la mente
dice: “ ‘n se ponno fa’ pena er karette”
e la farina? “via immediatamente”.
Nun doveva succede sto’ bavelle
la keillà de roma è storia a sé.
Semo finiti in bocca a lo ngharelle.
Speramo che, in futuro, nun ce sia
chi, ricordanno ‘na legge de Moscè,
ce negherà i carciofi alla giudia
Leonardo Levi Mortera (Duccio)
mercoledì 15 settembre 2010
la vita in diretta
sono talmente lessa e rimbecillita dalla febbre ( adesso finalmente mi è venuta) che ho passato buona parte del pomeriggio distesa sul divano del salotto a soffiarmi il naso a guardare la tivù italiana e il telegiornale italiano.
sono un pò una schizofrenica , in italia mi sembra quasi normale, vista da qui la tivù italiana mi fa una certa impressione .
specialmente mi ha colpita la "vita in diretta" con Mara Venier , sguaiata e volgare, che non lasciava parlare nessuno e durante tutta la trasmissione ha tenuto un bambolotto in braccio e lamberto Sposini che sembrava che si vergognasse di essere lì . ma forse sono io che non ci capisco niente.
sono un pò una schizofrenica , in italia mi sembra quasi normale, vista da qui la tivù italiana mi fa una certa impressione .
specialmente mi ha colpita la "vita in diretta" con Mara Venier , sguaiata e volgare, che non lasciava parlare nessuno e durante tutta la trasmissione ha tenuto un bambolotto in braccio e lamberto Sposini che sembrava che si vergognasse di essere lì . ma forse sono io che non ci capisco niente.
martedì 14 settembre 2010
sono malata!!!!!
sarà l'aria condizionata , sarà una delle gemelle che mi ha attaccato il raffeddore , ma mi sono svegliata con l'influenza e il naso che cola senza interruzione.
se almeno mi venisse un pò di febbre mi sentirei più tranquilla a far niente a letto, mi sentirei giustificata.
tutta colpa di mia madre che se non avevo la febbre a quaranta mi mandava a scuola.
così eccomi qua, vestita, lavata e pettinata ( e malata!) a lavorare al computer...
che rabbia.
se almeno mi venisse un pò di febbre mi sentirei più tranquilla a far niente a letto, mi sentirei giustificata.
tutta colpa di mia madre che se non avevo la febbre a quaranta mi mandava a scuola.
così eccomi qua, vestita, lavata e pettinata ( e malata!) a lavorare al computer...
che rabbia.
domenica 12 settembre 2010
da mercoledì a sabato sera....e la verità
abbiamo festeggiato il capodanno con figli e nipoti. al mio ritorno ho trovato questi due articoli che mi ha spedito beppe damascelli. riguardano l'italia ma in realtà riguardano il mondo , perchè la verità riguarda tutti i cittadini del mondo.
insieme a quello di Claudio Fava, apparso l'11 settembre il bellissimo articolo di Giorgio Fontana pubblicato dal Manifesto il 12 agosto.
L'UNITA', 11.09.2010
FURTI DI MEMORIA
Claudio Fava
I nostri eroi che se la sono cercata
In memoria grata di quelli che hanno preferito farsi gli affari del Paese a costo della vita: da Vassallo a Borsellino, da Ambrosoli a Falcone.
Anch’io ne conosco parecchi, come dice Andreotti, che se la sono cercata. Che invece di farsi gli affari loro, di calare la testa come giunchi di paglia aspettando che se ne andasse via la mala giornata, hanno avuto la sfrontatezza di far bene il loro mestiere: giornalisti, giudici, sindacalisti, commercianti, politici. Se l’è cercata, tre giorni fa, il sindaco Vassallo che invece di dire sempre no a quei galantuomini della camorra ogni tanto qualche “forse” poteva pure farlo sentire o no? Se la cercò Libero Grassi, diciamolo senza stare a girarci attorno: chi glielo portava, benedetto cristiano, ad andare in televisione per dire che lui il pizzo non l’avrebbe mai pagato? Glielo spiegò pure il presidente dei commercianti palermitani, usando come una profezia le stesse parole di Andreotti: che tu così te la stai cercando, lo sai? Forse lo sapeva, forse no: comunque lo ammazzarono tre giorni dopo.
Se l’è cercata Falcone, se l’è cercata Borsellino, se la sono cercata Terranova, Costa, Chinnici: potevano fare i giudici come si suggerisce adesso, processi corti, brevi, stretti, un occhio di riguardo a chi se lo merita, cassetti generosi per ingoiare e dimenticare i fascicoli più sfacciati. E invece no: la mafia, i mafiosi, gli amici intoccabili dei mafiosi… come un’ossessione, una compulsione, un’ansia di carriera. Ecco, professionisti. Nella vita e nella morte: se la sono cercata, questa loro bella morte, di che si vengono a lamentare oggi gli orfanelli?
Se la cercò pure il generale Dalla Chiesa, e su questo Andreotti era già stato allusivo quanto basta due giorni dopo che l’ ammazzarono. Venne a lagnarsi da me di suo figlio Nando, disse in un’ intervista, quel ragazzo gli dava solo dispiaceri... Mentiva, grossolanamente. Ma a tanti piacque credergli. E’ questo il punto.
Andreotti, amico conclamato di capi mafia che protesse e curò in salute per lo meno fino al 1980 (sta scritto nelle sentenze), interpreta un senso comune molto volgare ma molto diffuso. Che si esaurisce in due parole: cazzi loro. Di chi ha voluto fare l’eroe ad ogni costo, di chi s’è messo a fare il poeta, il don Chisciotte, il cacciatore di draghi e mulini a vento, il fustigatore di costumi. Cazzi suoi, se Ambrosoli se la volle prendere proprio con la P2 e Michele Sindona, il banchiere che salvò la lira (Andreotti dixit). Quando Giovanni Falcone, dopo l’attentato all’Addaura, cominciò ad andare incontro alla propria morte, il Giornale di Sicilia ricevette una letterina (che subito pubblicò, incorniciata come un Picasso) da parte di un gruppo di cittadini palermitani. Erano i vicini di casa del giudice e gli mandavano a dire che, orgogliosi delle sue battaglie, preferivano che se l’ andasse a combattere altrove: che se poi lo facevano saltare in aria davanti al portone com’era accaduto alla buon’anima di Rocco Chinnici, chi l’avrebbe pagato il conto per rifare l’intonaco alla facciata?
Andreotti, ormai prossimo a rendere conto a chi di dovere delle proprie verità e delle proprie menzogne, ha detto solo quello che pensa e che ha sempre pensato. Su Ambrosoli e su quanti hanno ritenuto, in questi anni, di dover mettere la vita al servizio della propria onestà intellettuale. Nella miseria di quelle sue parole, è stato sincero. E adesso possiamo girarci attorno quanto vogliamo, ma sappiamo che sono due idee di Italia inconciliabili tra loro: da una parte l’ex presidente del Consiglio, dall’altra Ambrosoli e quelli come lui.
In mezzo ci siamo noi, notai del nulla, pronti sempre a distinguere, a comprendere, a spiegare che è vero ma anche, ad ammirare i furbi, a sorridere di complicità su ogni volgarità, a maledire i Palazzi in attesa d’essere invitati a pranzo anche noi. E a trovare sempre un pretesto per parlar d’altro, per indignarci d’altro, per cambiare canale.
Non mi convincerete a chiamarlo senatore, il signor Andreotti. Né in questo pezzo né mai. Sono quelli come lui i veri clandestini della repubblica, non i nigeriani che sbarcano a nuoto sulle nostre spiagge. In fondo ce la siamo cercata anche noi, facendo finta per tutti questi anni che quelli come Andreotti siano stati davvero padri della patria. Non certo la nostra patria, non certo la mia patria.
11 settembre 2010
**************************************************************
"Gli italiani furono spesso accusati, a torto o a ragione, di non rispettare sufficientemente la verità. Va detto che poche persone in qualsiasi paese hanno per la verità un rispetto religioso; gli italiano non sono diversi dagli altri uomini. [...] Tuttavia, collettivamente, sembrano dimenticare, talora, l'importanza unica della verità. Spesso la ignorano, l'abbelliscono, vi ricamano intorno, la negano, a seconda dei casi."
Così Luigi Barzini, nel suo classico Gli italiani. Sono passati cinquant'anni, ma la frase sembra descrivere alla perfezione il presente. Allora lo spregio della verità è in realtà un tratto tipico della nostra storia? Chissà: in ogni caso, non mi pare abbia mai raggiunto forme gravi quanto quelle degli ultimi anni. Non è mai stato così istituzionalizzato e diffuso, reso sistema invece che norma di sopravvivenza quotidiana.
Ricordate il caso Di Bella? I media dicevano che la sua cura contro il cancro era miracolosa, quando in realtà tutti gli oncologi avevano espresso il massimo scetticismo. Ma Di Bella era televisivo, era perfetto, era un padre Pio laico della medicina. L'importante non erano i fatti quanto la comunicabilità di un evento. Era il 1997, e fu un simbolo evidente della tendenza progressiva a equiparare del parere degli esperti a quello di chiunque altro — purché interessante. Un po' come chiedere a Cannavaro cosa ne pensa di Saviano, e prendere la sua opinione per autorevole, perché uscita da una bocca celebre.
In questi casi, la verità non è il fine dell'indagine. Il fine dell'indagine è raccontare una storia. Cifra di questo atteggiamento è il trionfo della figura dell'opinionista: affondiamo in una quantità di pareri e idee senza una bussola in grado di orientarci correttamente verso i fatti. E mentre l'opinionismo è spacciato come è simbolo della libertà di parola e della democratica espressione dei propri giudizi, in realtà eleva il parere a verità — un arlecchino di giudizi che si scontrano, e fra le quali emerge solo quello più potente.
Poco tempo fa, la filosofa Franca d'Agostini ha pubblicato un saggio dal titolo eloquente: Verità avvelenata (Bollati Boringhieri 2010). L'idea è indagare le forme di argomentazione presenti nel discorso pubblico e mostrare, con esempi tratti per lo più da affermazioni di politici, quanto le fallacie logiche siano presenti ovunque nelle società democratiche, e in Italia oggi: "qualsiasi verità risulta fin da principio contaminata da uno sfondo di preliminare sospetto." Delegittimare, insultare, avvelenare l'intero pozzo del dibattito. Perché tutto questo? Ci sono delle ragioni generali (come il fatto, indicato dall'autrice, che le regole stesse del discorso razionale sono incerte), ma nel caso dell'Italia contemporanea ci sono anche ragioni più circostanziate. Contingenze storiche che hanno portato a quello che ritengo il segno più vasto della crisi democratica del Paese: lo spregio per la verità e la razionalità, il disinteresse per la buona argomentazione.
Come sempre, Berlusconi è insieme causa, sintomo e simbolo di questo problema. Nell'ormai classico articolo di Gomez e Travaglio uscito su "l'Espresso" il 13 maggio 2004, i due autori raccontano quarantaquattro bugie dette dal premier, "escludendo i 115 minuti di deposizione spontanea al processo Sme-Ariosto (durante il quale Berlusconi riuscì a pronunciare ben 85 bugie allo straordinario ritmo di una balla ogni 81 secondi)".
La cosa interessante che questo modo di ragionare — lo spregio totale per l'idea di verità — sembra aver attecchito un po' ovunque. Berlusconi, quando è cosciente di dire il falso, lo dice tranquillamente perché sa che ormai la verità non può sconfiggere più le sue affermazioni: non è, per così dire, attiva nel mondo. Quindi verità e falsità sono concetti che non interessano più — basta dire ciò che serve al momento, magari smentirlo domani, non ha importanza.
D'Agostini parla di "costruzione di una realtà2" basata sulla comunicazione e non sull'informazione, e il processo di tale costruzione è stato lungo e diabolicamente meticoloso, nel corso degli ultimi vent'anni. Ma la costante emissione di parainformazioni e il continuo vivere in una "realtà2" ha prodotto una risposta coerente da parte di chi ascolta, e la colpa non è limitabile a chi parla. In altri termini: si sta smarrendo l'idea di un pubblico etico, di un pubblico capace di recepire la verità. Credo sia questa la grande differenza marcata dal berlusconismo: l'erosione della verità ora è dolorosamente sociale e diffusa ovunque.
Come scrive Davide Tarizzo in un saggio dell'antologia Forme contemporanee del totalitarismo (Bollati Boringhieri 2007): "la sfera del senso viene completamente integrata e assorbita nella sfera dell'assenso. L'ambiguità è il suo sentimento più veritiero." In una politica dell'applauso, dove la claque sottolinea un fatto accettandolo e mettendolo in ostensorio, il dissenso o la critica perdono di valore. Ma è proprio dalla volontà di dubitare e mettere in discussione — dall'umiltà e l'incertezza — che nasce la ricerca seria.
Ora, questo spregio per la verità come bene non è cosa nuova, e ha un vago sentore democristiano. Nello splendido monologo de Il divo, Sorrentino mette in bocca ad Andreotti un'argomentazione di stampo cattolico: la massima responsabilità è salvare il bene facendo il male, ignorando la questione della verità. Una simile metafisica è la stessa, in fondo, del Grande Inquisitore di Dostoevskij: sacrificando la libertà per la legge, si assicura una pretesa salvezza.
Se questa interpretazione è corretta, potremmo dire che tale politica del falso era in "buona fede" — per quanto carica di molte responsabilità civili e umane. Al contrario, la torsione finale del berlusconismo è lo spregio della verità in quanto tale, per ragioni assolutamente private. Dire il vero non è un elemento pericoloso in una visione delle cose, ma soltanto un dato pratico che va eliminato, perché rischia di compromettere il regno della menzogna — del "fa' come ti pare". C'è dunque una palese tensione etica del falso, o meglio ancora dell'indifferenza verso la separazione tra vero e falso. Il potere< sommerge la verità, la rende inutile: a emergere è la soluzione più forte, più interessante o più supportata — non la più plausibile.
E sempre per questo motivo, la colpa è "dei magistrati" e "dei giornalisti". Perché "fine primario ed ineludibile del processo penale non può che rimanere quello della ricerca della verità" (sentenza n. 255/1992, presidente A. Corasaniti, redattore M. Ferri). E perché "è diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d'informazione e di critica, limitata dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e della buona fede" (legge n. 69, 3/02/1963, art. 2). Di qui la necessità della legge bavaglio e della sua estensione ai blogger. Tout se tient: il tema della verità è il filo rosso per comprendere l'inabissarsi della nostra etica pubblica.
Come reagire?
Alcuni pensano sia necessario un esame critico dell'idea di verità. Ad esempio Gianni Vattimo, che nel suo Addio alla verità (Meltemi 2009) propone di abbandonare questo concetto. Il ragionamento suona più o meno così: visto che c'è stato e c'è un uso ampiamente strumentale del vero come corrispondenza ai fatti, e uno svilimento totale del suo valore, la cosa migliore è lasciarlo perdere. Non ci sono verità disinteressate, l'oggettività è sempre schiava di determinati interessi. Qui Vattimo compie due errori tipici del relativismo: pensare che tutta la verità si riduca a Verità assolute (quelle religiose o di etica generale), e ritenere che in ogni caso ogni affermazione di verità corrisponda all'imposizione di una pretesa di dominio.
Ma questa è una reazione figlia della crisi, e non risolve nulla. Porta anzi ad assurdità palesi, come quando Vattimo parla della ricerca scientifica: "Magari [questi scienziati] cercano solo di vincere il premio Nobel, e anche questo è un interesse" (p. 25). Una conclusione che lascia quantomeno a bocca aperta.
Inoltre, c'è una miriade di verità con la "v" minuscola che sono perfettamente neutrali e sulle quasi ci basiamo ogni giorno: perché trascurarle? Pensare che chiunque dica il vero si arroghi una pretesa di dominio sull'altro — come se non esistesse alcuna verità condivisibile, come se lo stesso concetto uccida qualunque forma di dialogo o scetticismo — è un rimedio peggiore del male.
E allora, non sembra esserci atra prospettiva che quella di tornare alla buona vecchia etica della verità. La comprensione critica e morale del mondo non può che passare da questo concetto: minimale quanto si vuole, ma indispensabile. Che si tratti di comprare un chilo di pesche, o di dibattere attorno ai temi della bioetica.
Si può obiettare che non è affatto un compito facile. Certo: è estremamente delicato e comporta molti problemi: la responsabilità di fissare dei limiti, di trovare delle basi comuni, di argomentare con chiarezza, di fidarsi di determinati esperti, e soprattutto l'eterno rischio di sbagliare o cadere nella presunzione.
Ma questa è la condizione umana. Possiamo divorare il loto dell'egoismo e fregarcene che l'opinione pubblica venga inquinata dalla falsità. Oppure, possiamo accettare che bene e verità siano cose fragili e complesse, ma proprio per questo così bisognose d'attenzione. La scelta è solo nostra. Compiamola con responsabilità.
giorgio.fontana81@gmail.com
IL MANIFESTO, 12.08.2010
La verità ai tempi di Berlusconi
GIORGIO FONTANA
insieme a quello di Claudio Fava, apparso l'11 settembre il bellissimo articolo di Giorgio Fontana pubblicato dal Manifesto il 12 agosto.
L'UNITA', 11.09.2010
FURTI DI MEMORIA
Claudio Fava
I nostri eroi che se la sono cercata
In memoria grata di quelli che hanno preferito farsi gli affari del Paese a costo della vita: da Vassallo a Borsellino, da Ambrosoli a Falcone.
Anch’io ne conosco parecchi, come dice Andreotti, che se la sono cercata. Che invece di farsi gli affari loro, di calare la testa come giunchi di paglia aspettando che se ne andasse via la mala giornata, hanno avuto la sfrontatezza di far bene il loro mestiere: giornalisti, giudici, sindacalisti, commercianti, politici. Se l’è cercata, tre giorni fa, il sindaco Vassallo che invece di dire sempre no a quei galantuomini della camorra ogni tanto qualche “forse” poteva pure farlo sentire o no? Se la cercò Libero Grassi, diciamolo senza stare a girarci attorno: chi glielo portava, benedetto cristiano, ad andare in televisione per dire che lui il pizzo non l’avrebbe mai pagato? Glielo spiegò pure il presidente dei commercianti palermitani, usando come una profezia le stesse parole di Andreotti: che tu così te la stai cercando, lo sai? Forse lo sapeva, forse no: comunque lo ammazzarono tre giorni dopo.
Se l’è cercata Falcone, se l’è cercata Borsellino, se la sono cercata Terranova, Costa, Chinnici: potevano fare i giudici come si suggerisce adesso, processi corti, brevi, stretti, un occhio di riguardo a chi se lo merita, cassetti generosi per ingoiare e dimenticare i fascicoli più sfacciati. E invece no: la mafia, i mafiosi, gli amici intoccabili dei mafiosi… come un’ossessione, una compulsione, un’ansia di carriera. Ecco, professionisti. Nella vita e nella morte: se la sono cercata, questa loro bella morte, di che si vengono a lamentare oggi gli orfanelli?
Se la cercò pure il generale Dalla Chiesa, e su questo Andreotti era già stato allusivo quanto basta due giorni dopo che l’ ammazzarono. Venne a lagnarsi da me di suo figlio Nando, disse in un’ intervista, quel ragazzo gli dava solo dispiaceri... Mentiva, grossolanamente. Ma a tanti piacque credergli. E’ questo il punto.
Andreotti, amico conclamato di capi mafia che protesse e curò in salute per lo meno fino al 1980 (sta scritto nelle sentenze), interpreta un senso comune molto volgare ma molto diffuso. Che si esaurisce in due parole: cazzi loro. Di chi ha voluto fare l’eroe ad ogni costo, di chi s’è messo a fare il poeta, il don Chisciotte, il cacciatore di draghi e mulini a vento, il fustigatore di costumi. Cazzi suoi, se Ambrosoli se la volle prendere proprio con la P2 e Michele Sindona, il banchiere che salvò la lira (Andreotti dixit). Quando Giovanni Falcone, dopo l’attentato all’Addaura, cominciò ad andare incontro alla propria morte, il Giornale di Sicilia ricevette una letterina (che subito pubblicò, incorniciata come un Picasso) da parte di un gruppo di cittadini palermitani. Erano i vicini di casa del giudice e gli mandavano a dire che, orgogliosi delle sue battaglie, preferivano che se l’ andasse a combattere altrove: che se poi lo facevano saltare in aria davanti al portone com’era accaduto alla buon’anima di Rocco Chinnici, chi l’avrebbe pagato il conto per rifare l’intonaco alla facciata?
Andreotti, ormai prossimo a rendere conto a chi di dovere delle proprie verità e delle proprie menzogne, ha detto solo quello che pensa e che ha sempre pensato. Su Ambrosoli e su quanti hanno ritenuto, in questi anni, di dover mettere la vita al servizio della propria onestà intellettuale. Nella miseria di quelle sue parole, è stato sincero. E adesso possiamo girarci attorno quanto vogliamo, ma sappiamo che sono due idee di Italia inconciliabili tra loro: da una parte l’ex presidente del Consiglio, dall’altra Ambrosoli e quelli come lui.
In mezzo ci siamo noi, notai del nulla, pronti sempre a distinguere, a comprendere, a spiegare che è vero ma anche, ad ammirare i furbi, a sorridere di complicità su ogni volgarità, a maledire i Palazzi in attesa d’essere invitati a pranzo anche noi. E a trovare sempre un pretesto per parlar d’altro, per indignarci d’altro, per cambiare canale.
Non mi convincerete a chiamarlo senatore, il signor Andreotti. Né in questo pezzo né mai. Sono quelli come lui i veri clandestini della repubblica, non i nigeriani che sbarcano a nuoto sulle nostre spiagge. In fondo ce la siamo cercata anche noi, facendo finta per tutti questi anni che quelli come Andreotti siano stati davvero padri della patria. Non certo la nostra patria, non certo la mia patria.
11 settembre 2010
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"Gli italiani furono spesso accusati, a torto o a ragione, di non rispettare sufficientemente la verità. Va detto che poche persone in qualsiasi paese hanno per la verità un rispetto religioso; gli italiano non sono diversi dagli altri uomini. [...] Tuttavia, collettivamente, sembrano dimenticare, talora, l'importanza unica della verità. Spesso la ignorano, l'abbelliscono, vi ricamano intorno, la negano, a seconda dei casi."
Così Luigi Barzini, nel suo classico Gli italiani. Sono passati cinquant'anni, ma la frase sembra descrivere alla perfezione il presente. Allora lo spregio della verità è in realtà un tratto tipico della nostra storia? Chissà: in ogni caso, non mi pare abbia mai raggiunto forme gravi quanto quelle degli ultimi anni. Non è mai stato così istituzionalizzato e diffuso, reso sistema invece che norma di sopravvivenza quotidiana.
Ricordate il caso Di Bella? I media dicevano che la sua cura contro il cancro era miracolosa, quando in realtà tutti gli oncologi avevano espresso il massimo scetticismo. Ma Di Bella era televisivo, era perfetto, era un padre Pio laico della medicina. L'importante non erano i fatti quanto la comunicabilità di un evento. Era il 1997, e fu un simbolo evidente della tendenza progressiva a equiparare del parere degli esperti a quello di chiunque altro — purché interessante. Un po' come chiedere a Cannavaro cosa ne pensa di Saviano, e prendere la sua opinione per autorevole, perché uscita da una bocca celebre.
In questi casi, la verità non è il fine dell'indagine. Il fine dell'indagine è raccontare una storia. Cifra di questo atteggiamento è il trionfo della figura dell'opinionista: affondiamo in una quantità di pareri e idee senza una bussola in grado di orientarci correttamente verso i fatti. E mentre l'opinionismo è spacciato come è simbolo della libertà di parola e della democratica espressione dei propri giudizi, in realtà eleva il parere a verità — un arlecchino di giudizi che si scontrano, e fra le quali emerge solo quello più potente.
Poco tempo fa, la filosofa Franca d'Agostini ha pubblicato un saggio dal titolo eloquente: Verità avvelenata (Bollati Boringhieri 2010). L'idea è indagare le forme di argomentazione presenti nel discorso pubblico e mostrare, con esempi tratti per lo più da affermazioni di politici, quanto le fallacie logiche siano presenti ovunque nelle società democratiche, e in Italia oggi: "qualsiasi verità risulta fin da principio contaminata da uno sfondo di preliminare sospetto." Delegittimare, insultare, avvelenare l'intero pozzo del dibattito. Perché tutto questo? Ci sono delle ragioni generali (come il fatto, indicato dall'autrice, che le regole stesse del discorso razionale sono incerte), ma nel caso dell'Italia contemporanea ci sono anche ragioni più circostanziate. Contingenze storiche che hanno portato a quello che ritengo il segno più vasto della crisi democratica del Paese: lo spregio per la verità e la razionalità, il disinteresse per la buona argomentazione.
Come sempre, Berlusconi è insieme causa, sintomo e simbolo di questo problema. Nell'ormai classico articolo di Gomez e Travaglio uscito su "l'Espresso" il 13 maggio 2004, i due autori raccontano quarantaquattro bugie dette dal premier, "escludendo i 115 minuti di deposizione spontanea al processo Sme-Ariosto (durante il quale Berlusconi riuscì a pronunciare ben 85 bugie allo straordinario ritmo di una balla ogni 81 secondi)".
La cosa interessante che questo modo di ragionare — lo spregio totale per l'idea di verità — sembra aver attecchito un po' ovunque. Berlusconi, quando è cosciente di dire il falso, lo dice tranquillamente perché sa che ormai la verità non può sconfiggere più le sue affermazioni: non è, per così dire, attiva nel mondo. Quindi verità e falsità sono concetti che non interessano più — basta dire ciò che serve al momento, magari smentirlo domani, non ha importanza.
D'Agostini parla di "costruzione di una realtà2" basata sulla comunicazione e non sull'informazione, e il processo di tale costruzione è stato lungo e diabolicamente meticoloso, nel corso degli ultimi vent'anni. Ma la costante emissione di parainformazioni e il continuo vivere in una "realtà2" ha prodotto una risposta coerente da parte di chi ascolta, e la colpa non è limitabile a chi parla. In altri termini: si sta smarrendo l'idea di un pubblico etico, di un pubblico capace di recepire la verità. Credo sia questa la grande differenza marcata dal berlusconismo: l'erosione della verità ora è dolorosamente sociale e diffusa ovunque.
Come scrive Davide Tarizzo in un saggio dell'antologia Forme contemporanee del totalitarismo (Bollati Boringhieri 2007): "la sfera del senso viene completamente integrata e assorbita nella sfera dell'assenso. L'ambiguità è il suo sentimento più veritiero." In una politica dell'applauso, dove la claque sottolinea un fatto accettandolo e mettendolo in ostensorio, il dissenso o la critica perdono di valore. Ma è proprio dalla volontà di dubitare e mettere in discussione — dall'umiltà e l'incertezza — che nasce la ricerca seria.
Ora, questo spregio per la verità come bene non è cosa nuova, e ha un vago sentore democristiano. Nello splendido monologo de Il divo, Sorrentino mette in bocca ad Andreotti un'argomentazione di stampo cattolico: la massima responsabilità è salvare il bene facendo il male, ignorando la questione della verità. Una simile metafisica è la stessa, in fondo, del Grande Inquisitore di Dostoevskij: sacrificando la libertà per la legge, si assicura una pretesa salvezza.
Se questa interpretazione è corretta, potremmo dire che tale politica del falso era in "buona fede" — per quanto carica di molte responsabilità civili e umane. Al contrario, la torsione finale del berlusconismo è lo spregio della verità in quanto tale, per ragioni assolutamente private. Dire il vero non è un elemento pericoloso in una visione delle cose, ma soltanto un dato pratico che va eliminato, perché rischia di compromettere il regno della menzogna — del "fa' come ti pare". C'è dunque una palese tensione etica del falso, o meglio ancora dell'indifferenza verso la separazione tra vero e falso. Il potere< sommerge la verità, la rende inutile: a emergere è la soluzione più forte, più interessante o più supportata — non la più plausibile.
E sempre per questo motivo, la colpa è "dei magistrati" e "dei giornalisti". Perché "fine primario ed ineludibile del processo penale non può che rimanere quello della ricerca della verità" (sentenza n. 255/1992, presidente A. Corasaniti, redattore M. Ferri). E perché "è diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d'informazione e di critica, limitata dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e della buona fede" (legge n. 69, 3/02/1963, art. 2). Di qui la necessità della legge bavaglio e della sua estensione ai blogger. Tout se tient: il tema della verità è il filo rosso per comprendere l'inabissarsi della nostra etica pubblica.
Come reagire?
Alcuni pensano sia necessario un esame critico dell'idea di verità. Ad esempio Gianni Vattimo, che nel suo Addio alla verità (Meltemi 2009) propone di abbandonare questo concetto. Il ragionamento suona più o meno così: visto che c'è stato e c'è un uso ampiamente strumentale del vero come corrispondenza ai fatti, e uno svilimento totale del suo valore, la cosa migliore è lasciarlo perdere. Non ci sono verità disinteressate, l'oggettività è sempre schiava di determinati interessi. Qui Vattimo compie due errori tipici del relativismo: pensare che tutta la verità si riduca a Verità assolute (quelle religiose o di etica generale), e ritenere che in ogni caso ogni affermazione di verità corrisponda all'imposizione di una pretesa di dominio.
Ma questa è una reazione figlia della crisi, e non risolve nulla. Porta anzi ad assurdità palesi, come quando Vattimo parla della ricerca scientifica: "Magari [questi scienziati] cercano solo di vincere il premio Nobel, e anche questo è un interesse" (p. 25). Una conclusione che lascia quantomeno a bocca aperta.
Inoltre, c'è una miriade di verità con la "v" minuscola che sono perfettamente neutrali e sulle quasi ci basiamo ogni giorno: perché trascurarle? Pensare che chiunque dica il vero si arroghi una pretesa di dominio sull'altro — come se non esistesse alcuna verità condivisibile, come se lo stesso concetto uccida qualunque forma di dialogo o scetticismo — è un rimedio peggiore del male.
E allora, non sembra esserci atra prospettiva che quella di tornare alla buona vecchia etica della verità. La comprensione critica e morale del mondo non può che passare da questo concetto: minimale quanto si vuole, ma indispensabile. Che si tratti di comprare un chilo di pesche, o di dibattere attorno ai temi della bioetica.
Si può obiettare che non è affatto un compito facile. Certo: è estremamente delicato e comporta molti problemi: la responsabilità di fissare dei limiti, di trovare delle basi comuni, di argomentare con chiarezza, di fidarsi di determinati esperti, e soprattutto l'eterno rischio di sbagliare o cadere nella presunzione.
Ma questa è la condizione umana. Possiamo divorare il loto dell'egoismo e fregarcene che l'opinione pubblica venga inquinata dalla falsità. Oppure, possiamo accettare che bene e verità siano cose fragili e complesse, ma proprio per questo così bisognose d'attenzione. La scelta è solo nostra. Compiamola con responsabilità.
giorgio.fontana81@gmail.com
IL MANIFESTO, 12.08.2010
La verità ai tempi di Berlusconi
GIORGIO FONTANA
martedì 7 settembre 2010
vigilia di capodanno e se non son matti non li vogliamo
domani sera , anzi questa sera, perchè ormai sono le tre del mattino e faccio una certa fatica ad addormentarmi, è rosh hashana , che poi sarebbe il capodanno ebraico,e quest'anno sarà lunghissimo perchè subito dopo è sabato.
Noi lo passeremo con figli e nipoti che ormai sono diventati vicini di casa e quindi ci vogliono da loro ; io ho cucinato per tutto il giorno cibi vari da portare lì e subito dopo sono andata a una dimostrazione contro la deportazione (non riesco a trovare un'altra parola) di bambini di immigrati senza permesso che dovrebbe iniziare domani, of all days: la deportazione è stata voluta dal ministro eli ishai, un ultraortodosso.
non posso credere che succederà veramente.
a metà dimostrazione sono scappata di corsa a casa per aspettare una soldatessa che come ogni anno ci porta il regalo che un ufficiale dell'esercito , che era stato il comandante diretto di Joni, ci fa avere per capodanno, oltre al miele e ai cioccolatini che arrivano, come a tutti i genitori dei caduti, dal ministro della difesa.
ma il sapore amaro mi è rimasto in bocca.
un gran numero di ultraortodossi sta partendo in queste ore per L'ucraina per pregare sulla tomba del rabbino Rabi Nahman di Breslav .
Fatti loro. solo che alcuni dei signori, (le foto, in prima pagina sul quotidiano Yediot Aharonot sono state prese in aereoporto), hanno il viso coperto da un velo nero, peggio dei talebani, perchè non gli scappi di guardare una donna e farsi venire cattivi pensieri.
e per finire, un altro bellissimo pezzo scritto da Aldo Baquis per l'ansa .
ISRAELE, CANTANTE PENITENTE FLAGELLATO DA RABBINI
ORTODOSSI COL FRUSTINO DESTANO IRONIA
(ANSA) - TEL AVIV, 31 AGO - Desta clamore negli ambienti
ortodossi israeliani il recupero di una antica pratica religiosa
basata sulla flagellazione del peccatore.
L'iniziativa e' giunta da un rabbino molto controverso,
Amnon Ytzhak, celebre per la sue spiccate doti di 'comunicatore'
ed abile manipolatore dei mezzi di comunicazione di massa, fra
cui internet.
Il suo sito web 'Shofar' propone il video della
flagellazione - avvenuta nei giorni scorsi - di un cantante
ortodosso che e' fra i seguaci del rabbino Yitzhak, Erez
Yehieli. Questi si e' sottoposto di buon grado alla punizione
per espiare - ha spiegato - ''i suoi trascorsi peccaminosi''
negli anni di gioventu' in cui era laico.
Il video mostra il rabbino Yitzhak e il rabbino Ben-Zion
Muzafi mentre sono assorti a compulsare i testi sacri dai quali
desumono l'autorita' morale di percuotere il penitente. Dopo
aver pronunciato la formula di rito il rabbino Muzafi consegna
al figlio - pure un ebreo timorato - uno staffile di pelle di
toro e di asino. Nell'utilizzarlo, gli spiega, non dovra'
sentirsi in colpa ''essendo solo uno strumento del volere
divino''.
La telecamera non mostra direttamente le 39 staffilate
imposte a Yehieli. Ma la sua immagine si riflette sulla vetrina
di una libreria e consente di concludere che si e' trattato di
una flagellazione puramente simbolica, che non ha arrecato alcun
danno fisico.
Al termine della cerimonia i rabbini Yitzhaki e Muzafi si
sono congratulati con Yehieli e gli hanno augurato di cuore che
un giorno possa esibirsi ''di fronte al Messia, nel ricostruito
Tempio di Gerusalemme''.
La stampa ortodossa - che considera il rabbino Yitzhak un
elemento molto 'sui generis' - prende generalmente le distanze
dalla singolare cerimonia. In un sito web ortodosso uno dei
lettori annuncia con sferzante ironia l'inaugurazione di una
'sado-sinagoga'. Proseguendo sulla stessa linea di pensiero il
lettore aggiunge che ''i rabbini col frustino'' dovrebbero
almeno vestirsi in maniera adeguata: ''Ad esempio - suggerisce -
con vestiti di pelle, neri e molto attillati''
Noi lo passeremo con figli e nipoti che ormai sono diventati vicini di casa e quindi ci vogliono da loro ; io ho cucinato per tutto il giorno cibi vari da portare lì e subito dopo sono andata a una dimostrazione contro la deportazione (non riesco a trovare un'altra parola) di bambini di immigrati senza permesso che dovrebbe iniziare domani, of all days: la deportazione è stata voluta dal ministro eli ishai, un ultraortodosso.
non posso credere che succederà veramente.
a metà dimostrazione sono scappata di corsa a casa per aspettare una soldatessa che come ogni anno ci porta il regalo che un ufficiale dell'esercito , che era stato il comandante diretto di Joni, ci fa avere per capodanno, oltre al miele e ai cioccolatini che arrivano, come a tutti i genitori dei caduti, dal ministro della difesa.
ma il sapore amaro mi è rimasto in bocca.
un gran numero di ultraortodossi sta partendo in queste ore per L'ucraina per pregare sulla tomba del rabbino Rabi Nahman di Breslav .
Fatti loro. solo che alcuni dei signori, (le foto, in prima pagina sul quotidiano Yediot Aharonot sono state prese in aereoporto), hanno il viso coperto da un velo nero, peggio dei talebani, perchè non gli scappi di guardare una donna e farsi venire cattivi pensieri.
e per finire, un altro bellissimo pezzo scritto da Aldo Baquis per l'ansa .
ISRAELE, CANTANTE PENITENTE FLAGELLATO DA RABBINI
ORTODOSSI COL FRUSTINO DESTANO IRONIA
(ANSA) - TEL AVIV, 31 AGO - Desta clamore negli ambienti
ortodossi israeliani il recupero di una antica pratica religiosa
basata sulla flagellazione del peccatore.
L'iniziativa e' giunta da un rabbino molto controverso,
Amnon Ytzhak, celebre per la sue spiccate doti di 'comunicatore'
ed abile manipolatore dei mezzi di comunicazione di massa, fra
cui internet.
Il suo sito web 'Shofar' propone il video della
flagellazione - avvenuta nei giorni scorsi - di un cantante
ortodosso che e' fra i seguaci del rabbino Yitzhak, Erez
Yehieli. Questi si e' sottoposto di buon grado alla punizione
per espiare - ha spiegato - ''i suoi trascorsi peccaminosi''
negli anni di gioventu' in cui era laico.
Il video mostra il rabbino Yitzhak e il rabbino Ben-Zion
Muzafi mentre sono assorti a compulsare i testi sacri dai quali
desumono l'autorita' morale di percuotere il penitente. Dopo
aver pronunciato la formula di rito il rabbino Muzafi consegna
al figlio - pure un ebreo timorato - uno staffile di pelle di
toro e di asino. Nell'utilizzarlo, gli spiega, non dovra'
sentirsi in colpa ''essendo solo uno strumento del volere
divino''.
La telecamera non mostra direttamente le 39 staffilate
imposte a Yehieli. Ma la sua immagine si riflette sulla vetrina
di una libreria e consente di concludere che si e' trattato di
una flagellazione puramente simbolica, che non ha arrecato alcun
danno fisico.
Al termine della cerimonia i rabbini Yitzhaki e Muzafi si
sono congratulati con Yehieli e gli hanno augurato di cuore che
un giorno possa esibirsi ''di fronte al Messia, nel ricostruito
Tempio di Gerusalemme''.
La stampa ortodossa - che considera il rabbino Yitzhak un
elemento molto 'sui generis' - prende generalmente le distanze
dalla singolare cerimonia. In un sito web ortodosso uno dei
lettori annuncia con sferzante ironia l'inaugurazione di una
'sado-sinagoga'. Proseguendo sulla stessa linea di pensiero il
lettore aggiunge che ''i rabbini col frustino'' dovrebbero
almeno vestirsi in maniera adeguata: ''Ad esempio - suggerisce -
con vestiti di pelle, neri e molto attillati''
lunedì 6 settembre 2010
e rieccomi a tel aviv
in aereo, tornando a casa, già leggevo nel giornale di quel giorno dell'uccisione di una coppia di coloni , genitori di 6 figli dai cinque anni in su ,da parte di di -pare- terroristi del Hamas. le loro foto si confondevano con quelle di altri morti ammazzati :un giovane e di un'altra famiglia, tutti coloni, uccisi- mi pare, un giorno o due prima , mentre dalle altre pagine sorridevano Bibi, Obama e Abu Mazen a Washington. mi sono ranicchiata sul sedile, ho chiuso gli occhi cercando solo di dormire.
il mondo mi sembra coperto da una grande nuvola nera.
aggiungo qui un bellissimo articolo scritto da Aldo Baquis per l'ansa e un limk.
ve li consiglio entrambi.
MO: MISSIONE IMPOSSIBILE, SALVATO IL PICCOLO MOHAMMAD / ANSA
LA SOLIDARIETA' TRA ISRAELE E GAZA ALL'EPOCA DI PIOMBO FUSO
(di Aldo Baquis)
(ANSA) - TEL AVIV, 5 SET - Un documentario sulla lotta
accanita condotta da un ospedale israeliano per salvare la vita
di un bambino di Gaza nei mesi precedenti l'operazione Piombo
Fuso contro Hamas desta interesse e commozione in Israele, anche
perche' mette in luce alcuni degli aspetti paradossali del
conflitto.
Alle prime proiezioni nella Cinemateca di Tel Aviv la sala
era stracolma. Il regista Shlomi Eldar (un reporter della
televisione commerciale Canale 10) riceve centinaia di messaggi
di sostegno. Il New York Times ne ha scritto in termini
elogiativi e il festival Toronto lo presentera' presto.
In una conversazione con l'ANSA, Eldar ha spiegato che il
film ''Vita Preziosa'' e' nato per caso quando lui stesso ha
ricevuto nello studio televisivo la telefonata urgente del
dottor Raz Somech, dell'ospedale Tel Hashomer di Tel Aviv. Nel
dipartimento di Emato-oncologia era ricoverato un bambino di
Gaza di quattro mesi, con una grave deficienza immunologica.
''Per il piccolo Mohammed Abu Mustafa e' questione di giorni se
non troviamo i fondi per la operazione'', aveva avvertito il
dottore.
Come nelle fiabe, il servizio di Eldar va in onda ed uno
spettatore, padre di un militare israeliano ucciso in guerra,
chiama subito lo studio televisivo. I cinquantamila dollari
necessari a salvare Muhammad, dice, li mette volentieri.
Ma il documentario ('preciouslifemovie.com') e' ben altro che
una fiaba. La madre del piccolo, Raida, per la prima volta in
Israele, teme all'inizio di essere uccisa 'dal nemico'. Il
midollo dei familiari necessario a Mohammad compie itinerari
complessi per superare 100 chilometri di barriere e valichi fra
la Striscia e Tel Aviv. Come in tutte le vicende mediche,
momenti di gioia si alternano con quelli di sconforto, anche per
lo stesso Eldar. L'abnegazione di tutti consente infine al
piccolo di tornare a Khan Yunes, a sud di Gaza. Ma con una
svolta grottesca il conflitto cerchera' di rovinare la morale
edificante dell'episodio: il dottor Somech sara' richiamato come
riservista, nella operazione Piombo Fuso, fra le forze che
assediano Gaza mentre Raida e il piccolo Mohammad dovranno
rannicchiarsi in un angolo di casa per sfuggire ai
bombardamenti. Nei mesi successivi, Mohammad e' riuscito a
superare questa ed altre prove.
Per vent'anni Eldar ha seguito sul terreno gli eventi di
Gaza. Ma dal 2007, con il putsch militare di Hamas, non puo'
piu' entrare per motivi di sicurezza. Nel 2008, una settimana
prima di Piombo Fuso, riusci' egualmente a entrare di straforo a
bordo di una nave con aiuti umanitari di 'Free Gaza'. Ma fu un
dirigente di Hamas, Mahmud a-Zahar, a dirgli che per lui il
terreno scottava sotto ai piedi: in quanto israeliano, rischiava
di essere rapito da gruppi oltranzisti, doveva rientrare
immediatamente in Israele. Da allora Eldar segue Gaza a distanza
con una troupe locale, palestinese. ''Hamas e' al corrente, e
non ci ostacola''.
A Gaza Eldar ha ancora amici e conoscenti. ''C'era un tempo -
ricorda con nostalgia - in cui gli israeliani andavano a Gaza e
i palestinesi lavoravano qui. La gente si conosceva, gli uni
apprezzavano le qualita' degli altri, c'era anche un senso di
solidarieta' ''. Adesso e' rimasto solo un abisso. ''Peggio
ancora: la nuova generazione di Gaza non ha piu' alcuna
conoscenza di Israele, a prescindere dagli aerei da
combattimento o da quello che vedono alla tv''. Lo stesso vale
per gli israeliani. ''Da qui - lamenta - nasce la demonizzazione
dell'altro, l'indifferenza per le sue sofferenze''. Quello che
resta fra Israele e Gaza, in conclusione, e' il 'cordone
ombelicale' del valico di Erez dove ogni settimana decine di
madri come Raida passano per curare i figli negli ospedali di
Ashqelon, Tel Aviv, Gerusalemme. Una fiammella di speranza e di
umanita' di cui ''Vita Preziosa'' cerca di parlare perche' dai
due versanti del valico di Erez non vada persa la speranza.
(ANSA).
05-SET-10 15:55 NNNN
e questo è il link del documentario:
preciouslifemovie.com (fra parentesi, la bellissima colonna sonora e' di Yehuda Poliker)
il mondo mi sembra coperto da una grande nuvola nera.
aggiungo qui un bellissimo articolo scritto da Aldo Baquis per l'ansa e un limk.
ve li consiglio entrambi.
MO: MISSIONE IMPOSSIBILE, SALVATO IL PICCOLO MOHAMMAD / ANSA
LA SOLIDARIETA' TRA ISRAELE E GAZA ALL'EPOCA DI PIOMBO FUSO
(di Aldo Baquis)
(ANSA) - TEL AVIV, 5 SET - Un documentario sulla lotta
accanita condotta da un ospedale israeliano per salvare la vita
di un bambino di Gaza nei mesi precedenti l'operazione Piombo
Fuso contro Hamas desta interesse e commozione in Israele, anche
perche' mette in luce alcuni degli aspetti paradossali del
conflitto.
Alle prime proiezioni nella Cinemateca di Tel Aviv la sala
era stracolma. Il regista Shlomi Eldar (un reporter della
televisione commerciale Canale 10) riceve centinaia di messaggi
di sostegno. Il New York Times ne ha scritto in termini
elogiativi e il festival Toronto lo presentera' presto.
In una conversazione con l'ANSA, Eldar ha spiegato che il
film ''Vita Preziosa'' e' nato per caso quando lui stesso ha
ricevuto nello studio televisivo la telefonata urgente del
dottor Raz Somech, dell'ospedale Tel Hashomer di Tel Aviv. Nel
dipartimento di Emato-oncologia era ricoverato un bambino di
Gaza di quattro mesi, con una grave deficienza immunologica.
''Per il piccolo Mohammed Abu Mustafa e' questione di giorni se
non troviamo i fondi per la operazione'', aveva avvertito il
dottore.
Come nelle fiabe, il servizio di Eldar va in onda ed uno
spettatore, padre di un militare israeliano ucciso in guerra,
chiama subito lo studio televisivo. I cinquantamila dollari
necessari a salvare Muhammad, dice, li mette volentieri.
Ma il documentario ('preciouslifemovie.com') e' ben altro che
una fiaba. La madre del piccolo, Raida, per la prima volta in
Israele, teme all'inizio di essere uccisa 'dal nemico'. Il
midollo dei familiari necessario a Mohammad compie itinerari
complessi per superare 100 chilometri di barriere e valichi fra
la Striscia e Tel Aviv. Come in tutte le vicende mediche,
momenti di gioia si alternano con quelli di sconforto, anche per
lo stesso Eldar. L'abnegazione di tutti consente infine al
piccolo di tornare a Khan Yunes, a sud di Gaza. Ma con una
svolta grottesca il conflitto cerchera' di rovinare la morale
edificante dell'episodio: il dottor Somech sara' richiamato come
riservista, nella operazione Piombo Fuso, fra le forze che
assediano Gaza mentre Raida e il piccolo Mohammad dovranno
rannicchiarsi in un angolo di casa per sfuggire ai
bombardamenti. Nei mesi successivi, Mohammad e' riuscito a
superare questa ed altre prove.
Per vent'anni Eldar ha seguito sul terreno gli eventi di
Gaza. Ma dal 2007, con il putsch militare di Hamas, non puo'
piu' entrare per motivi di sicurezza. Nel 2008, una settimana
prima di Piombo Fuso, riusci' egualmente a entrare di straforo a
bordo di una nave con aiuti umanitari di 'Free Gaza'. Ma fu un
dirigente di Hamas, Mahmud a-Zahar, a dirgli che per lui il
terreno scottava sotto ai piedi: in quanto israeliano, rischiava
di essere rapito da gruppi oltranzisti, doveva rientrare
immediatamente in Israele. Da allora Eldar segue Gaza a distanza
con una troupe locale, palestinese. ''Hamas e' al corrente, e
non ci ostacola''.
A Gaza Eldar ha ancora amici e conoscenti. ''C'era un tempo -
ricorda con nostalgia - in cui gli israeliani andavano a Gaza e
i palestinesi lavoravano qui. La gente si conosceva, gli uni
apprezzavano le qualita' degli altri, c'era anche un senso di
solidarieta' ''. Adesso e' rimasto solo un abisso. ''Peggio
ancora: la nuova generazione di Gaza non ha piu' alcuna
conoscenza di Israele, a prescindere dagli aerei da
combattimento o da quello che vedono alla tv''. Lo stesso vale
per gli israeliani. ''Da qui - lamenta - nasce la demonizzazione
dell'altro, l'indifferenza per le sue sofferenze''. Quello che
resta fra Israele e Gaza, in conclusione, e' il 'cordone
ombelicale' del valico di Erez dove ogni settimana decine di
madri come Raida passano per curare i figli negli ospedali di
Ashqelon, Tel Aviv, Gerusalemme. Una fiammella di speranza e di
umanita' di cui ''Vita Preziosa'' cerca di parlare perche' dai
due versanti del valico di Erez non vada persa la speranza.
(ANSA).
05-SET-10 15:55 NNNN
e questo è il link del documentario:
preciouslifemovie.com (fra parentesi, la bellissima colonna sonora e' di Yehuda Poliker)
venerdì 27 agosto 2010
silenzio
venerdì 27.
mi sono svegliata nello strano silenzio della casa vuota....bello ma strano.
fuori di casa stanno organizzando la festa di Virgoletta coi tavoli stesi fin davanti alla mia porta di casa, e adesso vado anch'io ad aiutare .
sabato 28.
questa notte ,all'una di notte, è suonato il cellulare . ho preso una gran paura.
era l'allarme di casa a Tel Aviv .
Surreale.
il primo giorno di festa di virgoletta , ieri sera, non è andato un granchè. volevano ballare , invece ha piovuto e son dovuti scappar via di corsa. oggi il tempo pare stia migliorando. oggi ci sarà il secondo giorno di gran festa.
p.s. A tutti coloro che mi scrivono, qui o su facebook o per mail, grazie grazie grazie.adoro ricevere le vostre lettere, i commenti, i messaggi.
p.p.s Miriam, è Michal, quella pazza di mia figlia , che aspetta il quarto bambino.
mercoledì 25 agosto 2010
album di famiglia
prima sono partiti da virgoletta sharon mio genero , avraham ( mio marito) e le gemelle per la felicità di yuvi , il più piccolo di michal che le amava-odiava alla follia.
e con la migliore tradizione della mia mamma , che quando partivamo , per non lasciarsi prendere dall'angoscia , ci toglieva praticamente le lenzuola da sotto il sedere e le infilava in lavatrice insieme agli asciugamani mentre il papà ci sussurrava facendo finta di niente la "birchat cohanim", anch'io mi son data alle lenzuola, che sono già lavate e piegate e quasi nell'armadio.
quattro giorni dopo, oggi, alle quattro di mattina , è partita la michal con tre bambini mezzi addormentati , alla guida dell'automobile a noleggio, per malpensa.
non ne ha voluto sapere che l'accompagnassi a milano e del resto ha quasi quarant'anni.
ha ragione lei.
le loro lenzuola e asciugamani sono già in lavatrice.
ogni volta che partivamo il papà e la mamma temevano di non vederci mai più.
e così è successo , prima col papà.
poi con la mamma.
e più tardi a me, con joni.
per quello sono diventata un pò ansiosa.
adesso sono le cinque e mi sembra che stando sveglia li accompagni un pò a Malpensa.
ma li rivedrò presto. tra una settimana torno a casa anch'io , a montagne di posta e di cose da fare.
subito dopo è capodanno (ebraico).
e si torna alla vita normale. (?)
nelle foto ( si finisce sempre per fotografare i più piccoli) : Gaia sulla porta di casa, pronta a partire,Lia assaggia il suo pomodoro appena raccolto in giardino, dietro Michal , accanto Juvi; le gemelle in bikini,e le gemelle raccolgono more e lamponi, e magiano l'ultima pastasciutta prima di partire (poi vomitata in macchina).
martedì 24 agosto 2010
giorno di lavoro e virgoletta nella nebbia
non sono più abituata, dopo questa lunga vacanza, a stare tutto il giorno al computer a lavorare e a scrivere articoli in ebraico senza la tastiera in ebraico.
ieri l'ho fatto , e ieri sera mi è venuto un mal di schiena da non star più in piedi....
oggi invece , ultima giornata di vacanza di mia figlia michal e dei bambini , sto facendo baby sitter ai due maschi che come due decelebrati stanno davanti alla tivù ,mentre la grande e la madre sono andate in giro a fare spese.
michal comincia ad avere un bel pancino ( è il suo quarto) e io mi ci commuovo anche se penso che sia totalmente via di testa.....
adesso i due decelebrati sono scesi in giardino a sguazzare nella vascona che ho messo lì per loro, manche fosse una piscina olimpionica.
e stamattina ho fatto la "pommarola" con i miei pomodori ( il mio vicino irlandese dice che sta diventando un'ossessione) , il mio basilico e il mio peperoncino.
una squisitezza... c'è poco da ridere.
lunedì 23 agosto 2010
metodo feuerstein
"Se un bambino non riesce ad impararare , insegnagli tu un metodo con il quale possa imparare ad imparare"
Prof. Reuven Feuerstein
a tutti coloro che ne vogliono sapere di più , consiglio il blog della Professoressa Luisa Boninelli di Reggio Emilia, applicatrice del metodo Feuerstein http://www.unmomentostopensando.blogspot.com/
Prof. Reuven Feuerstein
a tutti coloro che ne vogliono sapere di più , consiglio il blog della Professoressa Luisa Boninelli di Reggio Emilia, applicatrice del metodo Feuerstein http://www.unmomentostopensando.blogspot.com/
sabato 21 agosto 2010
ritorno a virgoletta
dopo jesolo ( non ho mai scritto perchè non avevo il computer e in compenso cinque nipoti più uno in arrivo) siamo tornati a virgoletta che quest'anno straripa di ospiti e malgrado il divieto estivo di sosta la piazza è ugualmente piena di macchine . tutti disabili, mi dicono.
certo che sono molto aumentati dall'anno scorso, i disabili.
aggiungo le foto delle gemelle, le più piccole tra i nipoti, che raccolgono more e lamponi qui vicino.
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